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Il Civit e le consulenze che gridano vendetta

Il Civit dovrebbe essere l’Authority indipendente delle amministrazioni pubbliche, ma per affidare le consulenze chiede consigli all’ex ministro Brunetta – Tra indipendenza di valutazione e relazioni amicali sarebbe ora di voltare pagina – La difficoltà di accedere agli atti della pubblica amministrazione.

Il Civit  e le consulenze che gridano vendetta

Nella prolusione di apertura dell’anno accademico della Bocconi, già messa in evidenza su queste pagine virtuali, Piergaetano Marchetti ha ricordato che l’informazione di massa “è fiato continuo sul collo di chi governa, una pressione che genera risposte, trasparenza, informazione” in un circolo virtuoso “che genera altre domande di accountability”.

Uno dei principali problemi del funzionamento delle istituzioni in Italia è esattamente quello dell’accountability , o, per usare la nostra lingua, del rispondere apertamente del proprio operato, del render conto di ciò che si fa e si è. Apparirebbe di conseguenza urgente trovare il modo di innescare il processo dinamico che Marchetti prefigura: mettere in moto “una pressione che genera risposte, trasparenza, informazione”, che dovrebbe scuotere anche le strutture più chiuse e inani.

Sotto questo profilo Salvatore Bragantini sul Corriere della sera sembrava l’altro ieri individuare una delle cause nella mancata attuazione di una legge del 2009 che prevede la diffusione dei dati utilizzati per le valutazioni sul funzionamento delle pubbliche amministrazioni, e rilevava l’inadeguato funzionamento della Civit, l’organo che dovrebbe operare per la “valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche”.

La realtà, che è formata dal tendere alla realizzazione delle fantasie di infinite persone, supera sempre, e in questo caso purtroppo, la fantasia individuale. E così, in pochi giorni, dall’invettiva di Bragantini si è passati alla desolante situazione messa a nudo da un intervista al presidente dello stesso Civit, l’organo che doveva distinguersi costitutivamente per indipendenza dalla politica e dai condizionamenti di qualsiasi specie. Emerge dal sito Repubblica.it che trovandosi a dover affidare un incarico per redigere le relazioni sulla propria attività i rappresentanti della Civit hanno chiesto al soggetto che ne aveva proposto la designazione al Consiglio dei ministri, il ministro della funzione pubblica Renato Brunetta, a chi potessero assegnare la consulenza.

E il ministro non si è sottratto ed ha indicato il nome di un assistente del collega ministro per l’attuazione del programma, che a ben vedere è il destinatario della relazione, e la scelta è così caduta su un consigliere comunale di Avellino. E la Civit ha dato seguito.

Il “fiato sul collo” di chi governa o presiede organismi così delicati imporrebbe di non fermarsi qui, a questo punto, e c’è da sperare che sull’argomento non ci si distragga troppo rapidamente.

Che credibilità nei confronti dei pubblici funzionari può avere infatti un organismo con questi precedenti?

Ecco come il Civit descrive se stessa sul proprio sito web

CIVIT – Commissione indipendente . La legge affida alla Commissione, chiamata ad operare in posizione di indipendenza di giudizio e di valutazione e in piena autonomia, il non facile compito di indirizzare, coordinare e sovrintendere all’esercizio delle funzioni di valutazione, garantendo la trasparenza dei sistemi adottati e la visibilità degli indici di andamento gestionale delle amministrazioni pubbliche.

A questo compito – che è volto essenzialmente a favorire l’efficienza dell’attività pubblica e la qualità dei servizi resi ai cittadini, anche riconoscendo e premiando effettivamente il merito dei singoli e dei gruppi che operano all’interno delle amministrazioni – si accompagna quello di garantire la trasparenza totale delle amministrazioni, cioè l’accessibilità dei dati inerenti al loro funzionamento anche con la fornitura in rete di una accorta selezione di quelli veramente utili a consentire alle istituzioni e ai cittadini di operare un partecipato controllo sul modo di gestione della “cosa pubblica”” .

Il punto è il seguente: come si può denominare di “trasparenza totale” un sistema nel quale qualcuno (che tra l’altro abbiamo visto avere idee molto singolari in fatto di indipendenza ed autonomia) ha il potere di decidere “una accorta selezione dei dati veramente utili per un partecipato controllo sul modo di gestire della cosa pubblica”? Viene da domandarsi cosa ci sia dietro questa totalità declamata a fronte di una parzialità così evidente e peraltro, nella sua esiguità, così mal praticata come ha rilevato Bragantini.

Sull’importante questione dell’accesso ai dati della pubblica amministrazione è in atto, da molto tempo, uno scontro tra culture dell’amministrazione pubblica e scuole (e assetti di potere) del diritto.

La prima norma italiana di accesso agli atti è del 1986, e riguarda i dati in possesso delle pubbliche amministrazioni concernenti “ lo stato dell’ambiente”, dichiarate accessibili a “qualsiasi cittadino” in forza del diritto, appena allora formalizzato, alla salubrità e alla tutela dell’ambiente. La norma fu copiata dall’Access act americano e passò all’inizio quasi inosservata per la complessiva novità della materia. Essa produsse un articolato sviluppo di iniziative di raccolta dei dati, di loro organizzazione, presentazione, di ricerca di quelli mancanti e lo stesso prof. Marchetti le considera un caso di successo. La possibilità giuridica di accesso ha alimentato la domanda di informazione e ha rafforzato la consapevolezza del diritto ad un ambiente tutelato.

Quando quattro anni più tardi fu licenziata la legge 241/90 di riforma del procedimento amministrativo, che nelle intenzioni doveva condurre alla rivoluzione amministrativa e ne avrebbe avuto la potenzialità se non se ne fosse voluto azzoppare il cammino mettendo in campo altre priorità, la trasparenza degli atti – l’accesso- fu limitato alle situazioni di “motivata richiesta”, ma in un quadro generale che riconosceva la trasparenza come parte del processo di modernizzazione e di efficienza della pubblica amministrazione. Da allora le cose sono solo peggiorate, rendendo l’accesso agli atti una corsa ad ostacoli per il cittadino.

I dati in possesso della pubblica amministrazione di potenziale interesse per un cittadino o per chi voglia sviluppare una attività di impresa hanno una latitudine vastissima e,volendo pensare bene, è fanciullesco immaginare di poter individuare quelli “veramente utili”.

Infatti qualcuno potrebbe voler vedere l’autorizzazione all’occupazione di suolo pubblico rilasciata ad una birreria su una piazza romana e i cui tavolini dilagano fino ad ostacolare i pedoni o potrebbe volersi applicare per ragioni di studio a ragionare sul relativo canone, qualcun altro potrebbe voler conoscere i prezzi praticati all’ente locale dal fornitore dei servizi di ristorazione di una mensa comunale.

Dato il tenore dissuasivo della vigente norme in materia di accesso la discrezionalità della risposta da parte dell’amministrazione interessata è amplissima. Ben difficilmente qualcuno si avventura nella richiesta, anche perché le procedure di appello al silenzio rifiuto sono defatiganti e basate su una norma ottusa. Ci vuole una motivazione soggettiva fortissima. Se dunque qualcuno dorme al piano sovrastante la rumorosa birreria oppure se vuole entrare nel settore della preparazione di cibi per le mense dovrà avvicinare amichevolmente qualche funzionario pubblico, o qualche politico, che sia in grado di fornirgli l’informazione necessaria. Cosa questo contatto può provocare è del tutto evidente.

La ormai famosa Civit dopo aver affermato sul proprio sito di essere preposta a individuare i dati “veramente utili a consentire alle istituzioni e ai cittadini di operare un partecipato controllo sul modo di gestione della “cosa pubblica”, continua rassicurante: “Anche questa funzione è particolarmente rilevante, perché, nell’intento del legislatore, la trasparenza dei dati deve costituire lo strumento per assicurare l’integrità delle pubbliche amministrazioni e prevenire in tal modo il grave fenomeno della corruzione”. E’ impossibile non essere d’accordo, ma solo dalla trasparenza obbligatoria di tutti i documenti, con limitatissime eccezioni, si può arrivare se non a debellare almeno a contrastare la corruzione. Mentre chi ritiene che il funzionamento degli organismi pubblici possa essere affidato alle relazioni amicali e ai loro miserrimi commerci dovrebbe farsi da parte una volta per tutte. Su questa “liberalizzazione”, realizzata con successo in altri paesi europei, serve un intervento urgente del governo Monti.

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