GIORNALISMO TRA CARTA E WEB – New York Times, Associated Press e Dow Jones cercano da tempo un ceo ma faticano a trovarlo: perchè? – Perchè nessuno sa quale sia il modello di business adatto ad oggi e in grado di trovare un punto di equilibrio tra presente e futuro, tra editoria di carta e giornalismo online.
Al New York Times sembra piu’ complicato del previsto trovare un successore all’amministratore delegato Janet Robinson, che ha lasciato l’incarico a meta’ del dicembre scorso. In quasi due mesi non si sono sentite indiscrezioni sul nome del successore e, per quanto e’ dato sapere, nessuna compagnia di cacciatori di teste e’ stata incaricata di trovarne una adatta allo scopo.
Eppure, il brand del New York Times e’ uno dei piu’ forti e rispettati al mondo e lo stipendio non e’ male: nell’ultimo anno, Robinson aveva guadagnato piu’ di 5 milioni di dollari. I ricavi dell’azienda sono sempre considerevoli e hanno toccato i 2,3 miliardi di dollari nel 2011. Il posto di lavoro e’ nell’Ottava Avenue, al centro della citta’; piu’ importante del mondo per chiunque lavori nei media. Dovrebbe insomma essere in corso una vistosa competizione per accaparrarsi l’incarico, e invece quasi due mesi non sono bastati a individuare un successore.
Il New York Times non sta sperimentando da solo queste difficolta’: l’Associated Press non riesce a rimpiazzare il CEO Tom Curley, e Dow Jones cerca da tempo un amministratore. Sembra quasi che i posti di responsabilita’ nel settore editoriale non siano piu’ così ambiti, anche ad altissimo livello. Tutto sommato, i rischi sono molti e le possibilità di successo esigue. Esaminando i bilanci del New York Times (e di moltissimi altri giornali) negli ultimi dieci anni diventa chiaro che il vecchio modello di business è in grande difficoltà e non ce n’è ancora uno nuovo con il quale sostituirlo. I prossimi due o tre anni saranno decisivi e mai come in questo momento è necessario scegliere gli uomini giusti.
Ma per fare cosa? Essere troppo orientati al futuro rischia di danneggiare il valore principale dell’azienda, quello che ancora produce reddito. Guardare troppo al passato significa solo prolungare una lunga agonia senza alcuna possibilità di guarigione. E intanto le copie vendute dimuinuiscono e la pubblicità su carta cala al ritmo di 40 milioni di dollari l’anno. Ma bisognerà che qualche manager coraggioso si inventi presto qualcosa. Il New York Times, con tutta la sua spocchia, è ancora uno dei baluardi della società americana, una delle poche istituzioni in grado di fare cambiare l’agenda politica agli uomini di Washington. E’ impossibile pensare di farne a meno o anche solo di assistere alla sua straziante decadenza.
Giornalista, ha lavorato per 32 anni, dal 1979 al 2011, a "La Stampa", in qualità di capo del servizio politico e poi come primo caporedattore centrale; per 15 anni è stato vicedirettore, lavorando con 8 direttori diversi. Nel 2008 è stato corrispondente da Londra. Ha tenuto, per conto del giornale, i rapporti con il New York Times, Le Monde, The Guardian, El Pais, La Vanguardia ed El Clarìn, testate partner del quotidiano torinese. Dal 1980 ha coordinato le trasformazioni tecnologiche e grafiche, fino alla riduzione del formato e al passaggio al "full color" avvenuto nel 2006. Nel 2012 ha ideato e realizzato il nuovo layout della redazione, progettato per favorire la transizione dall’informazione su carta a quella digitale, ed ha allestito il Museo del giornale. Studioso di Mozart, ha tenuto guide all’ascolto delle sue opere liriche al Piccolo Regio e al Circolo dei Lettori di Torino. Con il Teatro Regio ha realizzato un Flauto Magico per i ragazzi, rappresentato nel gennaio del 2014, e ha ideato e scritto l’adattamento del Don Giovanni e del Flauto Magico che hanno rispettivamente aperto e chiuso in Piazza San Carlo a Torino il Festival Mozart nel luglio 2014. Nel 2007 ha pubblicato il saggio, tradotto in spagnolo ed inglese, "L’ultima copia del New York Times", dedicato alle trasformazioni che i quotidiani dovevano affrontare per sopravvivere alla minaccia di Internet