E’ il gran giorno delle liberalizzazioni. Tra le proteste di quanti hanno finora goduto di una nicchia privilegiata e le speranze dei consumatori di vedere a breve un calo dei prezzi, si rischia di creare pericolose illusioni e di far venir meno il sostegno della pubblica opinione all’avvio di un salutare percorso indispensabile a rompere le tante gabbie che imprigionano la spinta verso l’innovazione e la crescita dell’intero Paese.
Sarà bene chiarire subito che difficilmente le liberalizzazioni avranno effetti immediati e rilevanti sui costi dei servizi, ma tuttavia esse sono indispensabili perchè in tutti i campi toccati dai decreti del Governo possa mettersi in moto un processo di ricerca di maggiore efficienza e quindi una tendenza verso un maggiore sviluppo, con una prospettiva non immediata di riduzione dei prezzi per i consumatori o riduzione dei costi per lo Stato.
Il valore di questi primi decreti di Monti sta soprattutto nell’avvio di un processo di abbattimento di barriere e protezioni che si sono accumulate negli anni e che hanno reso l’Italia uno dei Paesi meno liberi dal punto di vista della creazione di una impresa o dell’avvio di una professione. Ma i vizi sono così antichi e radicati che non c’è da sperare che tutto cambi in poche settimane.
Prendiamo i tassisti che sono diventati (anche per loro demerito) il simbolo dell’Italia dei privilegi. L’aumento del numero delle licenze non sembra di per sè la strada più efficace per migliorare il servizio e per ridurne il costo. Il punto fondamentale sta nel fatto che le licenze concesse gratuitamente dai Comuni vengono poi liberamente commercializzate dai titolari, che si ritengono proprietari di un bene pubblico che invece dovrebbe essere dato in uso e poi, al momento del pensionamento o del ritiro del tassista, restituite allo stesso Comune concedente. Perchè si è tollerato per tanti anni un simile mercato di dubbia legalità? E come si può fare per porvi gradualmente fine? Questo è il problema di cui si dovrebbe discutere. Ed è questo il vero motivo inconfessabile delle proteste, a dir poco sopra le righe, di tanti tassisti.
Ma quello dei taxi è anche un fenomeno emblematico di come nel corso degli anni si siano aggrovigliati i nodi del nostro ordinamento economico. Metterci mano è indispensabile ma anche molto difficile e ci vorrà tempo per vederne gli effetti positivi. Prendiamo la questione dell’energia. Dario Di Vico ricorda oggi sul Corriere della Sera che in Italia l’energia costa alle famiglie il 12% in più della media Ue e che per le imprese il maggiore costo è del 26%. Ma la separazione proprietaria della Snam Rete Gas dall’Eni o la parziale liberalizzazione dei distributori di benzina (provvedimenti corretti e positivi) quanto potranno influire sull’attenuazione di queste differenze? Probabilmente poco perchè il nostro divario di prezzi dipende in massima parte dalle scelte fatte in passato circa le fonti di approvvigionamento dell’energia, quando si è rifiutato il nucleare e ci si è affidati al petrolio ed al carissimo gas. Bisognerà quindi fare un vero piano energetico per ridurre davvero i costi delle nostre fonti di approvvigionamento ed allineare i nostri prezzi a quelli degli altri paesi europei.
Il costo dei trasporti e l’inadeguatezza delle infrastrutture è sicuramente un secondo fattore, dopo quello energetico, che mina la competitività delle nostre produzioni. In questo caso tutto verrà affidato ad una nuova Authority per le reti con compiti molto vasti sia per le Ferrovie che per le autostrade ed i servizi pubblici locali. In questi casi il problema non è solo quello di avere tariffe più basse ma soprattutto quello di avere una maggiore efficienza così che merci e persone possano viaggiare più rapidamente. Per far questo occorrono anche nuovi investimenti che il sistema tariffario dovrebbe agevolare e non ostacolare come si rischia di fare con il price cap che appunto non tiene conto della remunerazione degli investimenti. La stessa cosa vale ad esempio per l’acqua, oggetto di un referendum truffaldino che ha fatto credere ai cittadini che l’acqua in quanto pubblica debba essere gratuita. Ad aumentare la confusione c’è anche il sig. Bortolussi, della Cga di Mestre, quando sostiene che le liberalizzazioni finora non hanno diminuito i prezzi dei vari servizi per i cittadini, ma anzi, spesso li hanno aumentati. In questo modo non si tiene conto che tariffe ferme da anni hanno portato all’azzeramento degli investimenti in questo settore come in altri analoghi, e che quindi di fatto noi stiamo consumando un capitale sociale, portando il Paese nel suo insieme sempre più in basso nella classifica dell’efficienza e della competitività.
Pensiamo ai notai. Qui il problema principale non sembra essere quello di aumentare il numero di questi professionisti, bensì quello di eliminare tutta una serie di adempimenti per i quali è previsto l’intervento di un notaio, come ad esempio le modifiche degli statuti di società, le assemblee straordinarie, le firme certificate, che attengono al formalismo burocratico amministrativo del nostro ordinamento, ma che riducono l’ efficienza economica delle nostre aziende.
Per poter rimettere in moto il processo di sviluppo fermo da 15 anni proprio a causa delle troppe ingessature che hanno spento la vitalità del sistema, occorreva dare un forte segnale sulla direzione che dovremo imboccare. E questo è stato fatto. Ora però occorrerà proseguire con ancora maggior vigore. Il vero pizzo viene prelevato dalle tasche dei cittadini dalla burocrazia pubblica con le sue procedure bizantine e dai servizi pubblici gestiti in sede locale. E’ qui che bisogna agire per eliminare le clientele e gli sprechi i cui costi poi vengono scaricati sui cittadini o con le tariffe o con l’alta tassazione. Prima ancora, come giustamente segnala in un articolo sul Corriere Galli della Loggia, bisognerebbe affrontare i costi dell’alta burocrazia, ormai una vera casta, che gode non solo di alte remunerazioni, ma soprattutto non è abituata ad essere valutata sulla base dei risultati ottenuti, ma che bada solo ovviamente con le dovute eccezioni al rispetto formale del groviglio di norme e di regolamenti che essa stessa ha contribuito a mettere in piedi e di cui ora ne è gelosissima custode.
Bene quindi comiciare a liberalizzare ma non è con questo tipo di burocrazia che potremo diventare un Paese moderno, verrebbe da dire un” Paese normale.”