Le pensioni minime saranno sicuramente rivalutate e indicizzate fino a 1.400 euro mensili. E’ il maxi-emendamento presentato oggi dal Governo alla Camera a prevederlo. E’ giusto che sia così? Se un anziano ha solo questo reddito è sicuramente una decisione all’insegna dell’equità. Ma la realtà è un po’ più complessa.
Come scrive un esperto del welfare Maurizio Ferrera sul Corriere della Sera di oggi, il quale ricorda che “secondo l’Istat un terzo dei pensionati percepisce trattamenti plurimi e più di un milione addirittura 3 o più assegni da enti diversi o di tipo diverso (ad esempio vecchiaia e reversibilità)”. Come regolare allora la rivaluzione dei minimi pensionistici di fronte al cumulo dei trattamenti, che vale circa 70 miliardi di euro? Il maxi-emendamento del Governo rivaluterà le pensioni anche per chi le cumula ad altri redditi? Ferrera suggerisce di selezionare le rivalutazioni incrociando la posizione pensionistica di ciascun beneficiaro con la situazione del suo nucleo familiare.
Ma la rivalutazione delle pensioni minime non è l’unico dilemma sul tappeto. Un altro, sempre sul Corriere della Sera, lo solleva il guru della consulenza aziendale, Roger Abravanel. Secondo l’ex capo di McKinsey Italia innalzare l’età pensionabile senza congleare le pensioni di anzianità ma creando incentivi a lavorare più a lungo solleva una questione di fondo: visto che è il lavoratore a decidere se andare in pensione o continuare a lavorare e che l’azienda deve accetarla, come evitare la cosiddetta selezione avversa, in base alla quale i lavoratori più produttivi se ne vanno in pensione per svolgere altre attività con partita iva e l’azienda è costretta a tenersi i meni produttivi fino ai 70 anni. Secondo Abramavel sarebbe meglio eliminare del tutto le pensioni di anzianità e modulare in modo più elastico i trattamenti previdenziali.