“Mes que un club”. Quando il Camp Nou non è gremito dei suoi 90mila e passa tifosi, sugli spalti è possibile leggere questa scritta, in giallo su sfondo di poltroncine blu e granata. Più di un club, più di una squadra di calcio. È questo il motto, la filosofia di sport e di vita dei colori blaugrana, scritto rigorosamente in catalano, simbolo dell’orgoglio e del senso di indipendenza di Barcellona e della gente che vive in questa zona della Spagna e che si riconosce nella fede del Futbol Club Barcelona.
A Madrid direbbero “Màs que un club”. Simile, ma diverso. Già, perchè le due città si “odiano” talmente tanto da non parlare neanche la stessa lingua. Diverse in tutto, anche in questo. Madrid è la capitale, monarchica e franchista, e la sua squadra, il Real, fu il simbolo degli anni della dittatura, dal suo inizio fino alla morte del caudillo de Espana, come veniva chiamato Francisco Franco. Che cavalcò i successi della squadra delle merengues (così vengono chiamati per il colore bianco delle maglie) per celebrare il suo potere e accrescere la sua popolarità, e accentrare tutto sulla capitale, reprimendo le autonomie regionali e le loro identità culturale con l’abolizione, fra l’altro, delle lingue locali.
Ecco perchè il Barça è “mes que un club”, ed ecco perchè questo motto sarà sempre scritto e pronunciato solo in catalano: è il simbolo della libertà della Catalogna progressista e democratica, e di Barcellona, la città di Gaudì, della cultura e del turismo.
E poi, il calcio. Che ha esacerbato nei decenni la rivalità tra le due città attraverso le infinite e infuocatissime sfide tra Real e Barcellona: il cosiddetto Clàsico.
Quella che andrà in scena sabato sera a Madrid è la sfida numero 216 contando le gare ufficiali in tutte le competizioni, e il bilancio finora è in sostanziale parità: 86 vittorie Real, 45 pareggi, 84 vittorie blaugrana, 361 gol Real, 347 Barça.
Ma, bilancio a parte, c’è ben poco di equilibrato in questa sfida. Innanzitutto, finale di Copa del Rey dell’anno scorso a parte, negli ultimi anni in campionato il Real non è che abbia battuto molto chiodo. L’ultima vittoria casalinga risale al 2008, l’ultima al Camp Nou addirittura al 2003.
Sicuramente dunque, sarà un derby infuocato, visti anche gli episodi dell’ultimo anno e mezzo, con l’arrivo di Mourinho sulla panchina del Real (ci mancava solo quello per esasperare la rivalità) nella stagione, la scorsa, che sarà ricordata come quella dei 7 clasicos: doppia sfida di campionato, doppia sfida di supercoppa di Spagna, finale di Copa del Rey e doppia sfida di Champions. Risultato? Tre vittorie Barça, tre pareggi (ma tutti “favorevoli” ai catalani) e solo una vittoria merengue.
Ma soprattutto, resta nella memoria quell’indimenticabile manita del 29 novembre 2010: 5-0 dei blaugrana e lezione di gioco a Cristiano Ronaldo e compagni. E soprattutto schiaffo morale all’altezzoso Mourinho, fresco di triplete con l’Inter e subito umiliato da Guardiola. Una manita poi ha provato a rifilargliela anche Mourinho, nelle sfide successive: sul campo non ci è mai riuscito, ma sulla faccia del povero Vilanova, vice di Guardiola, quasi. Indispettito per l’ennesima sconfitta subita, nell’ultima Supercoppa spagnola, ha infatti messo le mani addosso al collega, infilandogli le dita nell’occhio, episodio che gli costò squalifica e un assedio senza precedenti da parte della stampa spagnola.
“Mourinho è un flagello per il calcio spagnolo”, commentò il Barça indignato. E Guardiola? Lui no, non disse nulla. Nè ha mai risposto alle numerose provocazioni (che noi italiani conosciamo benissimo) del tecnico portoghese. Forse dobbiamo al suo aplomb che non sia scoppiata una vera guerra? Probabile, fatto sta che la sfida delle sfide si gioca anche sulle panchine. Come se non bastassero già tutte le dimensioni sulle quali si gioca questa eterna rivalità, si è aggiunto anche l’ormai leggendario scontro fra la sobrietà e la discrezione di Pep Guardiola e l’incandescenza e l’arroganza di Josè Mourinho (in comune hanno solo l’eleganza), sempre più frustrato e impotente di fronte al dominio del Barcellona, che oltre a vincere negli scontri diretti, nella scorsa stagione ha fatto l’en plein di titoli, lasciando al Real solo la Coppa del Rey.
Ma per un vincente come lo special One, questo è troppo poco, e a Barcellona lo sanno. Sanno che per lui è un’ossessione: è giunta l’ora di vendicare manita e quant’altro. Così come a Madrid sanno che in Catalogna possono agitare quante manite vogliono, ma dalle parti del Santiago Bernabeu non ne bastano due di mani per ricordare agli odiati rivali l’11-1 del 1943, risultato più ampio di sempre.
Solo due volte, e c’è da giurarci che siano state proprio le uniche due, quelle mani le hanno usate anche per applaudire gli avversari: l’ultima era in quel celeberrimo 0-3 del 20 novembre 2005, quando Ronaldinho realizzò una meravigliosa doppietta che sbalordì talmente i tifosi del Bernabeu tanto da strappargli una standing ovation. Era successo solo con Maradona, 22 anni prima.
Stavolta non ci sono nè Ronaldinho nè Maradona, ma le stelle non mancano. E speriamo che finisca come allora, con tanto spettacolo e per una volta un po’ di fair play. Vincerà lo stile di gioco dell’architetto Guardiola-Gaudì o il carattere di ferro del tiranno Mourinho-Franco? Al campo la sentenza, con un in bocca al lupo ad entrambe le squadre. Rigorosamente in lingue diverse. Vamos Real! Anem Barcelona!