Ribaltone europeo. Mentre sta per scoppiare l’Europa finanziaria e monetaria, è già rovesciata quella calcistica.
I gironi di Champions League hanno infatti emesso clamorosi verdetti: risorge il tanto bistrattato calcio italiano, con 3 su 3 qualificate, piangono le nobili Spagna e Inghilterra che vedono dimezzato il loro plotone (entrambe due squadre eliminate su quattro) e si qualificano agli ottavi persino sconosciute cenerentole come Basilea e i ciprioti dell’Apoel Nicosia.
Ma soprattutto, ciò che balza agli occhi è l’inaspettata abdicazione della gloriosa città di Manchester, che portava ben due squadre tra le favorite per la vittoria finale: il multimilionario Manchester City di Mancini e l’inossidabile United di Sir Alex Ferguson.
Manchester viene così cancellata dalla cartina dell’Europa del pallone con largo anticipo: l’infinita e strapagata truppa dello sceicco Mansour viene fatta fuori dal Napoli, di cui dispone 60 volte il budget, mentre i Reds, 3 finali nelle ultime 4 edizioni, confermano il loro lento declino facendosi eliminare addirittura dal Basilea.
Che la banda allenata dal baronetto scozzese fosse ormai vecchia e malandata lo si era capito anche dalla clamorosa sconfitta nel derby di campionato proprio contro il City, finito col punteggio tennistico di 6-1. La generazione Ferguson (70 anni, di cui 25 alla guida del club del Manchester United) sembra ormai conclusa, con l’onore e la gloria di 27 titoli vinti.
Ma che invece i giovani e lussuosi ragazzi guidati da Mancini per aprire il nuovo ciclo City venissero subito spazzati via dai “pezzenti” napoletani questo era già meno prevedibile.
Ma forse la chiave di lettura è proprio questa: troppo tardi per lo United, troppo presto per il City. I primi dovranno rifondare, i secondi crescere. Perchè per vincere non bastano i soldi, ci vogliono esperienza e know how. Lo dimostra il calcio italiano, sempre più povero ma che è l’unico che porta 3 squadre sulle 16 che vanno agli ottavi.