È finito il tempo di pensare; dobbiamo agire velocemente. In questo tempo di grandi cambiamenti sociali, industriali, economici il rischio è di perdere l’occasione per essere attori protagonisti nella realizzazione di qualcosa di nuovo e realmente sostenibile. Prendiamo il settore dell’energia, della sua produzione, del suo utilizzo. Energia rinnovabile, fine dell’era delle fonti fossili, sviluppo sostenibile, tutela del territorio; sono solo alcune delle parole d’ordine dei giorni nostri che meritano profondo rispetto e profonda attenzione. Andiamo con ordine e cerchiamo di mettere insieme dati, fatti e previsioni: quanta energia consumiamo? E quanta ne produciamo? E da quali fonti? Non è semplice districarsi fra le diverse unità di misura dell’energia, quindi non me ne vogliano gli esperti della materia se cercherò di semplificare al massimo e approssimare i numeri e il loro confronto: si tratta qui di ragionare sui grandi numeri e sugli effetti che questi numeri hanno nel nostro quotidiano.
Quale energia consumiamo?
Ci aiutano i dati pubblicati dal ministero dello Sviluppo Economico, che fotografano la situazione al 2005, e quelli recentemente pubblicati dal Gestore dei servizi energetici, che invece forniscono una fotografia al 2010. Ebbene, viene fuori che nel nostro paese fra il 2005 e il 2010 la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili è aumentata dal 16% al 23%, mentre quella da fonti fossili (petrolio, gas, carbone) si è ridotta da più del 71% al 64%. Bene allora, siamo sulla strada giusta… Non è così semplice. Perchè gli stessi dati ci dicono che la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili si suddivide più o meno così:
– Il 65% proviene da fonte idrica, il cosidetto idroelettrico, un segmento che possiamo considerare vicino alla saturazione (a meno di realizzare nuovi bacini artificiali con conseguente ulteriore perdita di suolo)
– il 12% è riconducibile alle tanto vituperate pale eoliche
– il 7% deriva da fonte geotermica (il calore interno della Terra, quello che in un paese come l’Italia potrebbe rappresentare il vero potenziale alternativo)
– nonostante l’enorme sviluppo che ha avuto negli ultimi anni, condizionato e anche “drogato” dai vari sussidi e incentivi economici, attualmente il solare contribuisce solo per poco più del 2% alla produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili
ma ci dicono anche che:
-al 2010 importiamo il 14% dell’energia elettrica che consumiamo, e questo numero non sembra avere intenzione di diminuire drasticamente;
-fra le fonti fossili utilizzate per la produzione di energia elettrica, il gas naturale continua ad essere prevalente, con molto più della metà di quel 64% che citavamo prima. Se consideriamo l’efficienza degli impianti, approssimiamo e diciamo che questa percentuale corrisponde a circa 50 miliardi di metri cubi di gas metano all’anno. Teniamo a mente questo numero, ci servirà fra un momento.
Inoltre, dobbiamo fare i conti anche con l’utilizzo primario del gas naturale, cioè dobbiamo fare i conti con il riscaldamento di casa, con la cottura dei nostri cibi, con la macchina a metano comprata di fresco.
A questo proposito i numeri ci dicono che:
-circa 80 miliardi di metri cubi di gas naturale vengono consumati in un anno in Italia
-circa 50 miliardi di metri cubi di gas naturale sono utilizzati ogni anno per generare energia elettrica
-quasi 8 miliardi di metri cubi di gas naturale vengono prodotti ogni anno in Italia
-poco più di 70 miliardi di metri cubi di gas naturale vengono importati ogni anno in Italia
Cioè la produzione nazionale di gas naturale rappresenta poco meno del 10% del consumo totale; però rappresenta circa il 16% di quello utilizzato per produrre energia elettrica e il 26% del consumo di gas per uso primario. Provo a tradurla così: su 10 piatti di pasta che cuciniamo nei nostri fornelli, 2 e mezzo sono cucinati con gas naturale prodotto in Italia. Possiamo girare i numeri come vogliamo, mettere in risalto un aspetto piuttosto che un altro, evidenziare realtà locali di eccellenza e di autosufficienza energetica pulita che meritano più attenzione e che ci indicano la strada da seguire, ma alla fine lo scenario attuale ci dice che:
– le fonti rinnovabili sono ad oggi una fetta importante del bilancio energetico italiano (e direi globale) ma siamo ancora molto lontani da qualunque ipotesi di sostituzione totale delle fonti fossili
-siamo fortemente dipendenti dalle importazioni e dalla stabilità geopolitica dei paesi produttori di idrocarburi
-la produzione nazionale di gas naturale, per quanto in calo e sempre più sotto l’obiettivo critico e indagatore dell’opinione pubblica, rappresenta un fetta ancora non trascurabile del bilancio energetico nazionale
E quale energia consumeremo?
Questa è la situazione “oggi”; e qui entrano in gioco due rapporti pubblicati recentemente e disponibili sulla rete: Battle of the grids, Greenpeace report 2011. How Europe can go 100% renewable and phase out dirty energy. European grid study 2030/2050, EnergyNautics report 2011.
In questi due rapporti, la cui fonte è degna di rispetto e non può essere considerata “asservita” alle logiche economiche e di mercato di gruppi industriali di qualunque tipo, vengono prospettati diversi scenari su come si potrà sviluppare la fame di energia in Europa per singoli paesi e per fonte energetica, avendo come obiettivo l’abbandono totale delle fonti fossili nel 2050.
Oltre ad auspicare un efficentamento della rete europea, i modelli previsionali al 2030 e al 2050 evidenziano uno sviluppo delle fonti di energia elettrica per il nostro paese molto interessante, che provo a riassumere così: la potenza installata in Italia nel 2050 (semplificando molto proviamo a dire “la domanda di energia”) crescerà di 10 volte rispetto ad oggi. per rispettare questo scenario dobbiamo essere in grado di rispettare una tabella di marcia forzata, per poter passare, per esempio, dall’attuale 3.5 Gw di potenza installata con il fotovoltaico (dati GSE 2010) ai 29 Gw previsti per il 2030 e ai 114 Gw previsti per il 2050. Oppure dagli attuali 5.8 Gw installati con l’eolico ai 36 Gw previsti per il 2050. Oppure ancora dagli attuali 0,8 Gw dal geotermico ai 23,2 Gw previsti nel 2050. per raggiungere l’obiettivo ZERO (o quasi) FONTI FOSSILI nel 2050, si parte da un 2009 in cui le fonti fossili la fanno da padrona e si passa per un 2030 in cui le fonti fossili (ormai solo gas naturale) continuano a rappresentare la maggiore fonte di energia elettrica. E non dimentichiamoci quello che chiamavamo prima l’uso primario del gas naturale: in fondo dovremo continuare a cuocere i nostri pasti…
Un altro dato certo, incontrovertibile, indiscutibile, da aggiungere al nostro discorso è che le fonti fossili sono chiamate “non rinnovabili” perchè prima o poi finiranno. Quando? C’è chi dice fra poco, nel giro di 50, 60 o anche 100 anni, ma comunque finiranno. E allora il problema è serio: da una parte dobbiamo pensare molto attentamente alla sostituzione delle fonti di energia fossili con qualcosa di nuovo, meglio ancora se più pulito e rinnovabile; dall’altra è inimmaginabile pensare che questa sostituzione possa essere fatta dall’oggi al domani e con impatti sociali, economici, ambientali uguali a zero. Ma allora forse bisogna pensare che le fonti fossili ci serviranno ancora per un po’, quantomeno per accompagnare la sostituzione delle fonti energetiche ma anche di tutto ciò che è legato agli idrocarburi: asfalto, carburanti, e qualunque cosa fatta di plastica che ci possa venire in mente.
E qui entriamo su un terreno molto spinoso: qualunque ipotesi di ritorno al nucleare è stata nuovamente bocciata dal recente referendum (e non solo dal recente dramma giapponese) e le ricerche di idrocarburi sul nostro territorio, a terra come a mare, sono nell’occhio del ciclone da molto tempo, e non importa cercare di spiegare che non esistono le consizioni ambientali, tecnologiche e anche legislative perchè l’incidente nel Golfo del Messico possa ripetersi nei mari italiani: siamo tutti contro e basta. È un terreno sul quale non vorrei addentrarmi, una serie di puntate di Quark o di Report dedicate esclusivamente a questo argomento sarebbe sempre insufficiente nonostante la bravura e l’intelligenza delle rispettive redazioni e conduttori.
E allora?
Ci sono due ulteriori elementi da aggiungere alla discussione: 1) l’uomo del XXI secolo è un animale energivoro, e continua a non accontentarsi mai; 2) sono finiti i tempi in cui l’uomo occidentale poteva sfruttare le risorse dei paesi non sviluppati senza pagare nessun conto, perchè i paesi non sviluppati hanno giustamente deciso di svilupparsi e perchè ormai il paese globale è tale per cui gli effetti di un qualunque evento in un qualunque luogo si ripercuotono su una area molto vasta, in termini ambientali, di informazione, di mercato. E voglio sottolineare un grande falso ideologico di questi tempi: non esiste una fonte di energia realmente pulita, a impatto zero, a zero emissioni o come vogliamo dire. Consideriamo l’intera filiera produttiva delle diverse fonti “pulite”, pronti? Bene cominciamo: il sole è pulito e inesauribile, ma non lo è il silicio di cui sono composti i pannelli che ne catturano l’energia, e la cui estrazione è sempre più in mano all’industria mineraria cinese e fortemente richiesto anche dall’industria informatica.
Altro componente è il telluro di Cadmio, altamente tossico e nocivo. È ancora sconosciuto il reale costo economico e ambientale dello smaltimento su ampia scala dei pannelli a fine vita. le componenti metalliche e plastiche delle pale eoliche NON sono inesauribili e il ciclo della loro lavorazione – intesa come produzione, trasporto del prodotto finito e smaltimento futuro- non è certo a impatto zero. il gas prodotto dalle centrali a biomassa è – in media – composto da gas metano e da una percentuale elevata di scarti anche nocivi che devono essere rimossi dalla miscela gassosa prima del suo utilizzo oppure finiscono in atmosfera. Giusto come esempio, il gas naturale prodotto dai giacimenti della nostra Pianura Padana è composto generalmente da circa il 94-99% di metano puro. Inoltre, andrà tutto bene ma solo fino a quando la quantità di vegetale utilizzato nella filiera della combustione non supererà la quantità di vegetale coltivato e prodotto: a quel punto non sarà più rinnovabile…
Potrei continuare così, e potrei essere tacciato di semplicioneria o anche di qualunquismo, ma la riflessione deve essere sul fatto che qualunque scelta che l’animale uomo potrà fare in qualunque ambito, questa avrà sempre degli impatti sul territorio, sull’ambiente che lo circonda, sul mercato, sul mondo che lascerà ai propri figli. E allora ecco che entra in gioco la parolina magica: sviluppo sostenibile, e subito dopo filiera corta, smart grid e così via. Nel campo dell’energia ma in qualunque altro campo delle attività umane. E allora cosa serve? Un sano mix di fonti energetiche, gestito con un sano mix di progetti a grande, media e piccola scala, pensati da una grande politica strategica nazionale e guidati, attuati, gestiti, controllati da corrette e sane politiche locali di sviluppo del territorio. Ci troveremo di fronte ad un cambiamento epocale, ad un modello di sviluppo del tutto nuovo, ad una politica nazionale che promuove un insieme imperfetto ma virtuoso di progetti di sviluppo de-centralizzati, uno diverso dall’altro ma sinergici, un insieme che si adatta e si calibra diversamente di territorio in territorio.
La attuale totale mancanza di una grande e illuminata politica energetica strategica a scala nazionale mette ancor più in risalto tante eccellenze locali di risparmio energetico, di autosufficienza, di ottimizzazione, di green economy, ma porta alla totale mancanza di coordinamento, alle eccellenze ma anche ai paradossi di tante politiche energetiche locali quando si prova a mosaicarle, cioè a metterle una accanto all’altra e vedere come stanno insieme… Strano paese l’Italia: tutti contro le esplorazioni del sottosuolo alla ricerca di petrolio o gas naturale (e non importa se l’Italia può vantare tante realtà industriali di “petrolieri” che lavorano con l’eccellenza nella tecnologia e nella tutela del territorio); tutti contro le nuove infrastrutture ferroviarie (e non importa se oggi si tratta solo di fare una indagine e, di fatto, nessun cantiere è già operativo), ma la macchina guai a chi me la tocca, il treno uffa è sempre in ritardo, ma qui non c’è campo per il mio smart-phone di ultima generazione, no al petrolio in Abruzzo o in Sicilia o in Emilia, però faccio avanti e indietro con gli Stati Uniti in aereo.
È la distorsione della partecipazione, è il fenomeno NIMBY (Not In My BackYard, Non Nel Mio Giardino), un fenomeno che nasce da esigenze nobili di democrazia partecipata e di democrazia dal basso, ma che ormai risente sempre più della mancanza di cultura e di programmazione da parte delle istituzioni nazionali, all’interno della quale si inseriscono meccanismi molto locali di protesta e di mero calcolo elettorale. Continuo a sorprendermi nel vedere i dati presentati dal NIMBY Forum (www.nimbyforum.it), che fornisce un quadro delle opere di pubblica utilità che subiscono contestazioni a livello territoriale e ambientale; dei più di 300 fra impianti ed infrastrutture in Italia attualmente censiti, oggetto di contestazione, la stragrande maggioranza è relativa ad impianti di produzione di energia, e fra questi quelli più contestati sono impianti fotovoltaici, eolici o centrali a biomassa.
Diciamolo, l’opzione zero non è contemplabile, sconfina verso l’ipocrisia: o si va verso l’accettazione consapevole e partecipata o si legittima la non-azione. Oppure si hanno alternative valide, ma io ancora non le vedo. E allora? Cosa vogliamo fare? Ci sono le condizioni per affrontare la sfida del risparmio energetico? Siamo capaci di affrontare la sfida che Greenpeace propone? Quale tabella di marcia stiamo seguendo?
Sviluppo? Sostenibile?
È necessario pensare, o meglio applicare, una politica dell’energia che vada verso la consapevolezza, senza falsi miti e senza false paure: non esistono impatti zero e gli idrocarburi ci serviranno per un po’ di altro tempo. Pensiamo allora a sviluppare la produzione domestica che, seppur modesta, fornisce un contributo importante alla bolletta energetica, alla diminuzione della dipendenza, e con il suo indotto promuove ricerca e produce reddito. E pensiamo a come svilupparla in maniera seria, da adulti: si può fare, e le comunità locali possono esserne consapevoli e partecipare direttamente ai benefici.
Le regole ci sono, tante e forse troppe, pretendiamo che vengano applicate seriamente e non blocchiamo lo sviluppo, pretendiamo che la comunità locale venga informata correttamente e che si trovino i giusti meccanismi di partecipazione. È compito della politica trovare le giuste forme per attuare questo, è compito della politica gestirle, è compito del cittadino pretenderlo, è compito del cittadino non farsi condizionare e pensare con la propria testa. Sviluppo sostenibile non può voler dire “sviluppo zero”, non può voler dire “non facciamo più nulla”; il sogno dello sviluppo sostenibile è realizzabile solo con una condivisione della visione del bene comune, una corretta attività industriale e un corretto e condiviso risparmio energetico.
Fra le tante, tantissime cose che mancano oggi all’Italia, forse c’è anche l’idea (la volontà? la capacità? la cultura?) di applicare un semplicissimo trinomio: prevenzione, controllo, sanzione. Chi sbaglia paga, ma chi lavora bene deve continuare a poterlo fare. Altrimenti non supereremo mai la sindrome NIMBY, che in altre parole significa “Non a casa mia, ma se viene da lontano – magari dalla Nigeria o dal Sudan o dal Kazakstan – allora il petrolio, o il gas, o il silicio va bene perchè sennò come vado in macchina, come accendo la luce in casa?”.
Questo non è sviluppo sostenibile.