Da una parte il neo sindaco di Firenze Matteo Renzi che tuona dalla Leopolda: “Per il Pd ci vogliono i pionieri. Via burocrati e reduci!”. Dall’altra la più pacata replica di Bersani: “Io rispetto tutti, ma quelle di Renzi sono idee di anni ’80”. L’impressione è quella di trovarsi a un ennesimo scontro all’interno del principale partito della sinistra nel momento meno opportuno. Proprio ora che i sondaggi cominciano a segnalare un’inversione di tendenza nei confronti del centro-destra (più per demerito del Pdl che per merito del Pd) nel centro-sinistra la coesione interna si allontana. Allora è il caso di ragionare con calma.
Cominciamo dalla Leopolda. Non c’è dubbio che il “Big ben” di Renzi ha segnato un buon successo, soprattutto mediatico. Oltre tremila partecipanti (segno di un robusto e ricco sforzo organizzativo), buon ritorno su giornali e televisioni, ospiti importanti come l’ex sindaco di Torino Chiamparino. ma soprattutto una ghiotta (per la stampa) contrapposizione con il segretario Bersani impegnato negli stessi giorni a incontrare i giovani militanti del Mezzogiorno a Napoli. Per il resto però non c’è stato molto. Nel suo lungo intervento Renzi si è preoccupato più di accentuare il segnale di una contrapposizione anagrafica (i giovani pionieri contro i vecchi burocrati, responsabili, a suo dire, del debito pubblico italiano) più che di dare chiare indicazioni sulle cose da fare e con chi farle. Da una parte, quindi un messaggio tra il populista e il giovanilistico, dall’altra un generico riferimento all’esigenza di far prevalere i contenuti sugli schieramenti. Ma quali siano i contenuti non è ancora chiaro.
Renzi ha parlato di 100 idee da mettere in campo. Forse sono troppe per diventare qualcosa di concreto. Ma soprattutto Renzi, che ha pure fatto più volte riferimento alle primarie, non ha detto se lui sarà o meno della partita. Probabilmente ha ragione Stefano Folli che su “Il sole 24 ore” ha scritto che per il sindaco di Firenze “il difficile comicia ora” visto che “è facile raccogliere sorrisi e pacche sulle spalle quando si resta nel generico”.
Passiamo ora a Bersani e al suo incontro di Napoli (il luogo è già una notizia) con i giovani del Pd del Sud. Attenzione, è il senso del messaggio del segretario, “a non scambiare per nuove certe idee da usato da anni ’80. Sul mercato del lavoro siamo in una fase drammatica, tra cassa integrazione e la flessibilità maggiore del mondo, e c’è chi pensa che licenziando si può assumere. Queste ricette semplici, queste idee troppo facili portano solo guai”. E’ chiaro che il riferimento di Bersani è più a Berlusconi che al giovane sindaco di Firenze. Ma non mancano tra i sostenitori del segretario, coloro che considerano Renzi soltanto un populista giovanilista; e qualcuno si spinge fino a parlare di un vero e proprio “berluschino”. Cattiverie che animano ed hanno sempre animato la vita interna dei partiti, creando spesso confusione. E non c’è dubbio che nel Pd la chiarezza interna sia un obiettivo difficile da far vivere e soprattutto far percepire all’esterno.
Quante sono le correnti interne? Difficile contarle difficile individuarne i confini. E come si posizioneranno, rispetto all’irrompere del ciclone Renzi, i vari Letta, Fraceschini, Civati, Parisi, Veltroni, D’Alema, Bindi e quant’altro? Un modo per capire meglio ci sarebbe: un congresso. Ma i congressi oggi sono fuori moda. E allora tutto rimanda alle primarie. A patto però che siano primarie vere e aprte. Come quelle che si sono svolte in Francia. E non primarie rigide, come potrebbero essere quelle cosiddette di coalizione. Le quali avrebbero davvero poco senso se si riducessero ad un referendum tra Bersani, Vendola e Di Pietro. Se invece fossero primarie vere con più rappresentanti del Pd in campo, non è affatto detto che a soccombere sarebbe Bersani (che da tempo ha annunciato di volersi candidare) e non Renzi (che non a caso non ha ancora annunciato la sua candidatura).