Alla fine Berlusconi ha preso la decisione giusta. Indicare Ignazio Visco come Governatore della Banca d’Italia assicura la salvaguardia dell’autonomia dell’istituzione, anche se le modalità attraverso le quali si è giunti a questa indicazione hanno aperto una ferita ulteriore nel nostro sistema istituzionale, procurando per di più una perdita di credibilità e quindi di fiducia da parte di tanti ambienti internazionali nei confronti del nostro sistema politico. C’è da sperare ora che questa nomina non procuri ulteriori strappi al vertice della Banca e che il direttore generale Saccomanni, immesso suo malgrado nel tritacarne della politica, voglia assicurare per un congruo periodo quella continuità che gioverebbe al consolidamento dell’immagine dell’istituzione, specie rispetto a tutti gli interlocutori esteri.
C’è comunque da sperare che la scelta di Berlusconi non sia solo dovuta alla necessità di superare il groviglio di veti incrociati nel quale si era cacciato a causa delle sue stesse incertezze, ma nasca da una adesione convinta alle tesi esposte da Ignazio Visco sulle modalità attraverso le quali è possibile perseguire un duraturo risanamento del bilancio pubblico insieme ad un più sostenuto sviluppo della nostra economia. Sarebbe bello se Berlusconi si fosse convinto della oppurtunità di avere un uomo come Visco al vertice della Banca d’Italia, leggendo l’intervento fatto da quest’ultimo il 30 agosto di fronte alle commissioni Bilancio e finanze della Camera e del Senato. In quella audizione infatti, Visco, descrive con lucidità le manovre che dovrebbero essere attuate in tempi brevi per rendere credibile l’obiettivo dell’azzeramento del deficit nel 2013. Non si tratta di misure facili da adottare ma nemmeno di cose al di fuori della nostra portata e, se ben calibrate,possono portare non solo maggiore crescita ma anche una migliore equità sociale.
In primo luogo, anche se non lo dice esplicitamente, Visco supera la stucchevole polemica di queste settimane sul così detto “costo zero” del decreto per lo sviluppo. Infatti quello che vanno dicendo molti deputati della maggioranza, e cioè che per fare sviluppo è necessario che lo Stato spenda un po’ di soldi e che quindi Tremonti deve allargare i cordoni della Borsa, è una cosa non solo impossibile vista la situazione della nostra finanza pubblica, ma addirittura controproducente. La crescita non si può più fare attraverso un ulteriore allargamento della intermediazione delle risorse da parte del sistema politico che produce solo inefficienze e quindi sprechi, ma passa attraverso una riduzione ed una razionalizzazione degli apparati istituzionali e delle derivazioni burocratiche. Visco infatti consiglia l’abolizione delle Province, l’accorpamento degli enti che svolgono funzioni simili, la concentrazione della presenza burocratica sul territorio, l’adozione di costi standard eccetera,insomma una decisa politica di tagli della spesa da effettuarsi attraverso l’adozione della tecnica dello spending review, cioè andando a vedere in tutte le amministrazioni quello che è utile continuare a fare e quello che invece deve essere totalmente abolito.
Insomma i politici non devono chiedere a Tremonti altri soldi da spendere, magari in maniera discrezionale, ma devono ridurre la loro presa sulle risorse, lasciando più spazio all’iniziativa privata ed al mercato, certamente rafforzando, quando necessario, le autorità di regolazione e di controllo.
Poi ci sono tante altre azioni che Visco enumera con precisione per recuperare competitività. Si va dal completamento della riforma delle pensioni, alla razionalizzazione della spesa sanitaria dedicando parte delle risorse così recuperate al sostegno del lavoro femminile e giovanile. Per quel che riguarda la creazione di condizioni più favorevoli alla crescita delle imprese, oltre alla riduzione degli oneri amministrativi derivante dalla riorganizzazione degli apparati pubblici, Visco cita esplicamente la necessità di ridurre gli oneri sociali che gravano sui lavoratori e sulle aziende stimando che tale manovra porterebbe nel triennio ad un incremento del Pil di 0,3-0,4 punti percentuali. Essa dovrebbe essere finanziata con la riduzione dei contributi alla cassa unica assegni familiari che mostra un attivo di 7 miliardi di Euro e/o con un inasprimento delle imposte sugli immobili che in Italia sono minori rispetto a quelle degli altri paesi. Non si tratta di una vera e propria patromoniale, ma è qualche cosa simile a quanto proposto dai rappresentanti delle associazioni dei datori di lavoro, ai quali però il Governo non si è nemmeno degnato di rispondere.
Visco poi ricorda le misure volte ad incrementare gli investimenti delle concessionarie attraverso la rimozione degli ostacoli amministrativi, che ne frenano l’operatività, e la necessità di spendere bene i fondi comunitari che attualmente sono stati utilizzati solo per il 15% e che ancora hanno disponibilità per 23 miliardi di Euro. Si riconferma inoltre la necessità di cedere il patrimonio pubblico in special modo le società possedute dagli enti locali, così da inserire più mercato e più concorrenza anche i questi settori, oltre a fare cassa o a tagliare le risorse che oggi vanno a copertura dei deficit.
Quello presentato da Visco ai deputati e ai senatori è un piano completo che, fermo restando il risanamento dei conti pubblici, può dare quella “sferzata” al sistema italiano tante volte promessa ma mai attuata. Oggi l’urgenza del risanamento ha fatto sì che il peso della manovra penda per oltre il 60% dal lato della maggiori tasse. Questa situazione va riequilibrata premendo di più sul taglio delle spese. Molte delle misure per il rilancio dello sviluppo avranno effetti diluiti nel tempo. Ma questo non è una ragione per non farle. Decidere di adottare questi provvedimenti e dare affidamento sulla loro attuazione, migliorerebbe la fiducia nei nostri confronti e le aspettative degli operatori finanziari, portando ad un abbassamento dei tassi d’interesse sul nostro debito pubblico e quindi sulla raccolta delle banche, rendendo più facile e meno caro il credito alle imprese.
Le cose da fare sono tante e tra loro collegate. Ma non si tratta di manovre “lacrime e sangue”, almeno non di più di quanto il Governo sta facendo adesso con la presione fiscale spinta oltre il 45% del Pil, vetta mai raggiunta in precedenza. Speriamo solo che Berlusconi, prima di proporre la nomina di Visco abbia meditato sulle sue ricette per uscire dalla crisi e si sia convinto ad uscire dalla paralisi ed a prendere il toro della crisi dal verso giusto.