La crisi finanziaria internazionale è un’eco lontana sulla stampa neozelandese, presa in ostaggio dalla Rugby World Cup che ha preso il via proprio in questi giorni nel lontano Paese australe. Anche in periodi normali, le scarse pagine internazionali dei principali giornali sfoggiano per lo più articoli sull’ultima lite tra Brad Pitt e Angelina Jolie. L’Italia, poi, i cui conti sono oggi sotto osservazione dai principali organismi internazionali, fa di solito la sua comparsa per storie di mafia o, più recentemente, per la saga pseudo sentimentale di Silvio Berlusconi. Non è quindi sorprendente se il maggiore argomento di conversazione nei bar alla moda del Viaduct Harbour di Auckland o sull’elegante lungomare di Wellington è chi arriverà in finale nel terzo evento sportivo più importante al mondo. Anche perché in gioco quest’anno non c’è solo la coppa. Ma anche gli introiti economici, che si sperano cospicui. Gli ultimi numeri parlano di 95mila visitatori in arrivo per un evento dalla durata di 45 giorni. Anche se la vendita dei biglietti non va come sperato (la raccolta finora è stata di 264 milioni di dollari neozelandesi) e il conto del Governo si prospetta in perdita (per 39 milioni di dollari), l’industria dell’ospitalità (che rappresenta il 9% del Pil nazionale) si aspetta un rilancio dopo un periodo di fiacca seguito alla serie dei terremoti a Christchurch che ha allontanato molti turisti. Un recente studio della Banca centrale stima un’iniezione da 700 milioni per un’economia da 127 miliardi di dollari. È dalla stessa ricostruzione post-terremoto, tuttavia, che ci si aspetta il principale stimolo all’economia con spese per le infrastrutture pari a due miliardi di dollari nei prossimi dieci anni.
Se il Paese ha sofferto (soprattutto psicologicamente) negli ultimi mesi, lo stato di salute della sua economia resta buono. La Nuova Zelanda, rinomata a livello internazionale per la sua natura incontaminata, è ancora un Paese legato alla terra. La maggior parte delle sue esportazioni riguarda il settore agricolo, con la carne, latte e ortofrutta in testa e quello delle materie prime, con la lana in prima linea. I principali mercati di sbocco sono l’Australia e i Paesi asiatici, tra cui la Cina, con cui ha siglato un accordo di libero scambio qualche anno fa. Aree rimaste indenni dalla crisi che ha severamente colpito gli Stati Uniti e l’Europa. Se culturalmente, la Nuova Zelanda resta vicina al Regno Unito e al continente europeo, geograficamente e culturalmente è di fatto un Paese asiatico con stretti rapporti con le nazioni vicine, Australia in primis. Quest’ultima, essendo la principale esportatrice di carbone e minerali ferrosi verso le economie emergenti, sta vivendo un ininterrotto boom da materie prime, di cui la Nuova Zelanda gode di riflesso. Divise da una rivalità atavica (i neozelandesi sono soliti dire che tifano la squadra nazionale e chiunque giochi contro l’Australia) e con qualche scaramuccia commerciale, tra cui un bando all’import delle mele neozelandesi che è durato per decenni con gran scorno degli orgogliosi kiwi, il legame fra le due nazioni resta forte e per il momento ha protetto la piccola Nuova Zelanda dalle tempeste internazionali: dopo un breve periodo con il segno negativo dall’ultimo trimestre del 2008 al primo del 2010, Wellington ha ripreso a crescere, segnando un +1,7% nel quarto trimestre del 2010 e un +0,8% nei primi tre mesi del 2011. Il tasso di disoccupazione è al 6,5%, mentre il tasso ufficiale è al 2,5% e dovrebbe rimanere invariato fino alla fine dell’anno a causa dell’attuale fragilità delle economie a livello globale e nonostante incoraggianti dati di ripresa economica. E se la Borsa non sta andando benissimo, ciò non è un riflesso della situazione interna. “La stagione dei profitti sta andando benissimo – spiega il commentatore finanziario Arthur Lim -, ma il settore agricolo, che rappresenta la colonna vertebrale del Paese è sottorappresentato in Borsa”. La stellare performance di Skellerup, continua Lim, attiva nell’equipaggiamento per l’industria lattiera, è un miglior indicatore: + 69% di utili nell’ultimo trimestre.
La Nuova Zelanda aspetta quindi, protetta e da molto lontano, che la bufera finanziaria internazionale passi e nel frattempo si immerge nella Coppa del mondo che arriva come una lunga parentesi di entusiasmo e ottimismo dopo un periodo di lutto seguito al terremoto. In nome della lealtà sportiva e del fair play, i kiwi si apprestano ad accogliere con il sorriso non solo gli amati-odiati australiani, ma anche tutte le squadre europee espressione nell’immaginario popolare di una perfida Bruxelles. Cresciuto leggendo (pochi) articoli sulla UE dell’eurofoba stampa britannica ristampati sui quotidiani nazionali, il kiwi medio è sospettoso dell’Unione europea, che accusa di connivenza con la potente lobby degli agricoltori (con ostacoli all’esportazione di prodotti neozelandesi verso il Vecchio continente), e scettico nei confronti dell’euro. Europa litigiosa e in difficoltà? Niente di nuovo sotto il sole, sembra dire l’imperturbabile neozelandese. Meglio pensare al rubgy.