Gli ultimi risultati elettorali negativi hanno scosso i nervi del partito di Umberto Bossi. Invece di tentare un’analisi seria delle ragioni della perdita di consensi che ha interessato non solo grandi citta’ come Milano, ma anche centri minori come Novara, i leghisti hanno rilanciato le parole d’ordine dell’estremismo secessionista, rafforzandolo con gestacci nei confronti dell’Italia e della bandiera italiana,sperando così di risvegliare lo spirito combattito del popolo padano.
Inoltre ,accanto alle bandiere al vento,l’azione pratica si è concentrata sulla difesa delle posizioni di potere detenute dalla nomenclatura leghista e sulla voglia di conquistarne altre.Così si spiega il voto contrario alla mozione presentata alla Camera sull’abolizione delle Province,la strenua difesa degli agricoltori che non hanno pagato le multe sulle quote latte,e,proprio oggi,le dichiarazioni del ministro Calderoli contro la privatizzazione delle società detenute dagli enti locali o dallo Stato centrale proposta dal ministro Tremonti per irrobustire la manovra di risanamento della finanza pubblica e renderla più credibile agli operatori del mercato finanziario che devono decidere se comprare o meno i titoli del debito poubblici italiano.
Se si considera, poi, che anche gli altri piccoli ritocchi alla manovra chiesti dalla lega vanno tutti nella direzione di difendere piccoli interessi di gruppi di loro presunti elettori,si ha la netta impressione che lo stato maggiore leghista sia totalmente inconsapevole della delicata situazione in cui si trova l’Italia,e che sia errata anche l’interpretazione delle cause vere di una certa disaffezione elettorale.
E’ dubbio infatti che i ceti produttivi del Nord ,una delle aree più ricche d’Europa, richiedessero alla Lega una banale sostituzione del grande e vorace settore pubblico centralistico,con un altrettanto grande e vorace settore pubblico regionale o locale. Nè è sensato pensare che gli imprenditori del Nord, grandi o piccoli che siano, abbiano veramente l’intenzione di chiudersi entro le mura del loro piccolo borgo pedemontano ,dimentichi del fatto che gran parte del successo dell’industria settentrionale deriva dall’aver saputo conquistare buone posizioni prima sui mercati europei ed ora su quelli globali.
I ceti produttivi del Nord hanno appoggiato il federalismo della Lega perchè volevano liberarsi dei lacci e lacciuoli degli ultimi Governi della prima Repubblica tutti dediti a coltivare clientele, per lo più, ma non solo,meridionali, invece che sostenere gli sforzi di efficienza dei ceti produttivi settentrionali. Ma ora si trovano una Lega sempre schierata in difesa delle aziende pubbliche settentrionali o all’attacco delle banche e delle Fondazioni bancarie.
Difendere gli interessi del territorio non vuol dire immiserirsi a guardare solo entro le mura di Gallarate o di Verona, ma al contrario avere una strategia di aumento della produttività e di posizionamento sul mercato mondiale che possa consentire alle imprese di prosperare.
I leghisti dovrebbero quindi essere in prima fila nel richiedere la riduzione degli sprechi pubblici in tutti i settori, dalla sanità ,alle pernsioni, ai costi della politica. Invece in tutta la lunga fase di preparazione della manovra Tremonti per il pareggio del bilancio nel 2014 (che poi quando è uscita non ha convinto i mercati,così che ora deve essere rafforzata) la Lega non si è segnalata per proposte innovative di tagli alle spese pubbliche, ma ha badato a difendere quella fetta della spesa che avvantaggia il loro ceto politico o frange dei loro elettori.
Insomma una Lega poco liberale e per nulla liberista che al di là delle chiacchiere, difende nel concreto il primato della politica e cioè gli interessi di potere della propria bottega. Ma è proprio questo quello che vuole in popolo del Nord?
Ernesto Auci