L’esplosione accelerata dei Bric sta modificando le dinamiche geopolitiche del nostro pianeta. Brasile, Russia, India e Cina negli ultimi anni sono cresciuti a tassi esorbitanti e le loro politiche hanno effetti diretti e immediati sull’economia globale. L’Italia non può permettersi di ignorarli: deve mettere a punto delle strategie che la rendano attraente ai loro occhi perché le opportunità che ci offrono sono importanti. Andrea Goldstein, senior economist dell’Ocse, ha presentato oggi a Roma il suo ultimo libro “Bric- Brasile, Russia, India, Cina alla guida dell’economia globale” che ha commentato in un’intervista a FIRSTonline.
FIRSTonline – Ha ancora senso partare oggi di BRIC? A parte gli straordinari tassi di crescita del Pil, quale altro fattore accomuna questi quattro Paesi?
Goldstein – Innanzitutto hanno delle caratteristiche fisiche molto simili: la popolazione, la superficie, gli interessi geopolitici e la loro capacità di provocare effetti immediati sull’economia globale. In secondo luogo tutti e quattro i Paesi stanno investendo molto in innovazione. E’ grande il loro sforzo in ricerca e sviluppo. Il caso cinese è sotto gli occhi tutti: i numeri di papers, brevetti, marchi depositati ogni giorno sono straordinari. Inoltre, le varie banche centrali, a partire dagli anni ’90, hanno intrapreso un processo di liberalizzazione finanziaria e hanno cominciato ad accumulare grandi riserve. Infine va sottolineato come, anche se in maniera diversa, lo Stato giochi un ruolo importante e strategico nello sviluppo industriale. Se in Cina si può parlare addirittura di pianificazione, in India e in Brasile i governi intervengono comunque direttamente nella gestione delle maggiori imprese nazionali.
FIRSTonline – Quali sono invece le principali differenze tra i BRIC?
Goldstein – Quella più evidente è il regime politico: l’India e il Brasile sono due democrazie, la Russia un regime autoritario e in Cina si può parlare di totalitarismo. E’ poi molto interessante notare il diverso andamento demografico nei vari Paesi: in Russia la popolazione diminuisce, in Cina e in Brasile sta invecchiando (anche se nel paese asiatico molto più rapidamente), mentre in India continua ad aumentare. E’ ovvio che questo si ripercuote anche sulla crescita pro-capite: infatti anche se il Pil indiano si è elevato in termini assoluti più di quello brasiliano, a livello pro-capite le tendenze si invertono e il paese sudamericano riporta risultati migliore. Bisogna anche aggiungere che sono state adottate politiche antipovertà più efficaci (e in numero maggiore) nel paese sudamericano che hanno contribuito all’aumento della ricchezza pro-capite.
FIRSTonline – Il Brasile si può considerare un modello, uno alternativo a quello cileno, per tutto il Sudamerica?
Goldstein – Non credo sia giusto contrapporre in modo così netto i due Paesi. Il Cile non è così ortodosso come molti ritengono. Ricordiamoci infatti che Codelco, la maggior impresa cilena di estrazione di rame, è nelle mani dello Stato e nessuno ha mai pensato di privatizzarla. Il Brasile è un paese con una maggiore popolazione e molto più complesso da diversi punti di vista e il presidente Lula ha cominciato le riforme con il consenso di Washington. Ambedue i paesi si contraddistinguono per il grande pragmatismo nelle scelte di politica-economica ed è questo il loro punto di forza. Io sarei cauto nel considerare come un tutt’uno i paesi sudamericani: ognuno ha storie e realtà molto diverse.
FIRSTonline – Nell’ultimo anno in India abbiamo assistito a clamorosi casi di corruzione. Come convive questa realtà con la crescita economica?
Goldstein – Esistono due modi di interpretare il fenomeno della corruzione in India. C’è chi ritiene che sia un fenomeno endemico, che la stampa sia più libera di parlarne e la popolazione più pronta a denunciarla: quindi se ne parla semplicemente più di prima. C’è chi invece, meno ottimista, ritiene che la corruzione sia aumentata con la crescita e che oggi ci siano più occasioni per essere corrotti. L’accesso alle posizioni di potere rimane costoso e gli imprenditori sottostanno all’autorità statale: e si sa, più c’è di mezzo il pubblico più la corruzione divaga. Io sono più pessimista.
FIRSTonline – La Cina è un paese di cui bisogna aver paura o che dobbiamo considerare un buon alleato per il futuro?
Goldstein – Vederla come alleato è difficile, ma per l’Italia il gigante cinese offre molte opportunità. Non siamo gli Stati Uniti che temono il fenomeno da un punto di vista di equilibri sovranazionali: per noi sono maggiori le buone occasioni dei rischi. Siamo due realtà talmente diverse e lontane non solo a livello culturale ma anche per quanto riguarda le relazioni internazionali che il nostro compito è quello di reagire, di essere più presenti nel loro mercato, andando contro le chiusure mentali ed evitando di cadere negli stereotipi. Il nostro problema è semplice: ai cinesi non interessa l’Italia. Bright food, la Parmalat cinese, ha cercato di acquisire negli ultimi mesi due diverse aziende produttrici di biscotti americane, ma non ha ottenuto nessun risultato. Perché, dopo l’opa di Lactalis, gli asiatici non hanno fatto una controfferta? Dobbiamo diventare più attraenti anche per loro.
FIRSTonline – La Russia sembra diversa dagli altri paesi in primo luogo perché è una nazione industrializzata e non un paese in via di sviluppo. Il suo modello di crescita è sostenibile?
Goldstein – La Russia è forse il paese più simile ai nostri, almeno se si guarda alla composizione della società e all’importanza della classe media. E’ un paese giovane, che esiste da meno di vent’anni. Ha un tasso di alfabetizzazione maggiore rispetto agli Bric e non ha un problema di povertà endemica come gli altri Paesi. La densità di popolazione è bassa mentre l’urbanizzazione è elevata. Dei quattro forse quello russo è il modello di sviluppo meno sostenibile in quanto basato prevalentemente sulle risorse energetiche. Ma ne dispongono in quantità talmente esagerate che è difficile prevedere una fine alla crescita.
FIRSTonline – Quali le occasioni più attraenti per il nostro Paese?
Goldstein – Per l’Italia ci sono grandi opportunità in tutti i Bric. Ad oggi la maggiore presenza l’abbiamo in Cina con più di 1000 imprese. La relazione più stretta a livello di intensità di scambi commerciali è invece con la Russia, soprattutto nel settore energetico. In Brasile stanno investendo moltissime aziende ed è lì che c’è la più grande fabbrica italiana al mondo: la Betim della Fiat. L’India rimane tra tutti quello in cui la nostra presenza è più modesta. Il problema principale è che alle società del Quarto capitalismo italiano non vengono offerti gli strumenti giusti per affrontare dei mercati così complessi. Le differenze culturali, storiche, linguistiche sono grandi e le piccole-medie imprese non sanno come gestire patrimoni elevati in quelle realtà. Sono necessari più intermediari, capaci di aiutare i nostri imprenditori a costruirsi le loro reti di conoscenze. Nei Bric non ci sono banche italiane, è limitata la presenza dei giornali e le ambasciate non hanno molto peso. Dall’altro lato anche il nostro Paese è chiuso per gli stranieri: basta contare il numero di studenti provenienti dall’estero nelle nostre università. Non possiamo chiuderci ed alzare barriere dobbiamo intercettare le domande e i capitali di questi paesi. C’è bisogno di uno sforzo per creare basi sostenibili per il nostro Paese: delle strategie come quelle portate avanti da Milano nei settori della moda, del design e degli immobili che hanno esportato i nostri brand in tutto il mondo. Se poi ogni cinese si compra un paio di scarpe italiane siamo a posto: è come vendere un airbus. Ma quello non si cambia una volta l’anno, le scarpe sì.