Salire all’ultimo piano dell’Hotel Eden incastonato fra la storia di Villa Borghese e i fasti trascorsi della dolce vita di Via Veneto, mette soggezione. Dalla Terrazza la vista è mozzafiato, hai tutta Roma ai tuoi piedi. I tramonti qui struggono l’animo di languide atmosfere. Un tempo qui era l’enorme e panoramica tenuta della facoltosa famiglia dei principi Ludovisi, che annoveravano nella loro storia la salita al soglio pontificio di Gregorio XV°. La tenuta, dopo la presa di Porta Pia e il trasferimento della capitale a Roma si trasformò in una miniera d’oro. I Ludovisi iniziarono a vendere terreni di cui il nuovo stato era affamato. E così nel 1887 sulle ceneri di boschi e vigneti sorse un imponente edificio studiato per ospitare appartamenti di lusso. Ma poco dopo un imprenditore svizzero Francesco Nistelweck si fece avanti fiutando l’affare di realizzare un hotel di lusso per i grandi della terra che visitavano la nuova capitale dello Stato unitario. In due anni l’albergo prese forma: fu il primo hotel a Roma dotato di ascensore, di elettricità, di riscaldamento e acqua corrente. Il successo fu immediato e l’hotel definito dall’Handbook Advertiser di Murray come “Il migliore hotel di Roma, con viste mozzafiato sulla città e la campagna circostante” divenne uno dei preferiti tra i viaggiatori dell’epoca. Ma è nei moderni anni ‘60 che la proprietà, con scelta ardita, decide di spostare prima il bar poi il ristorante nel rooftop, nell’area originariamente considerata di servizio all’ultimo piano e utilizzata da tutti gli alberghi per asciugare la biancheria. Scelta ardita perché fino ad allora i ristoranti degli hotel erano concepiti o al piano terra o al piano nobile, non certo in terrazza. E anche in questo l’Eden fu il primo.
Tutta questa storia, oggi, al ristorante La Terrazza, poggia sulle spalle dello Chef Fabio Ciervo, 40 anni, nativo di Sant’Agata dei Goti, la perla del Sannio, chef stellato Michelin, che all’Eden è approdato anni fa, dopo un cursus honorum di grande prestigio internazionale, ma che ha saputo conservare vivo e pregnante il ricordo della sua terra, delle sue tradizioni, dei sapori di un tempo. Come il ricordo delle castagne che il nonno lo accompagnava a raccogliere nei boschi raccontandogli tante storie, che solo gli anziani sanno, e che poi si sera si arrostivano sulla brace o, meglio ancora, o il ricordo di quella mela annurca che, sempre in compagnia del nonno, andava a raccogliere sugli alberi nella campagna e che poi, con un po’ di cannella e chiodi di garofano, avvolta nella carta stagnola veniva messa a cuocere nella cenere, sprigionando per tutta casa un aroma di zucchero caramellato che entrava dalle narici per andare diretto al cuore. E sicuramente è stato proprio il ricordo di quelle profumate atmosfere casalinghe che lo ha spinto da giovane ad abbandonare, dopo un percorso atletico di tutto rispetto, (si era dedicato alla ginnastica a corpo libero raggiungendo un buon livello: “ero bravo agli anelli”, ricorda con una punta di orgoglio) a iscriversi all’Istituto alberghiero di Benevento dove si appassionò ai primi apprendimenti sotto la guida vigile e affettuosa di Carlo Maturo di cui conserva ancora un grato ricordo. Questo nuovo mondo che gli si spalancava sotto gli occhi lo affascinò subito: “Quando ho iniziato la prima lezione di cucina ero super emozionato e qualsiasi cosa che iniziavo a fare mi dava gioia e piacere. Ricordo ancora che mi comprai i miei primi coltelli, che tengo ancora oggi con me. E di tanto in tanto racconto con orgoglio alla mia brigata che alcuni coltelli hanno ben 25 anni di cucina. Lì c’è la mia storia”.
Abbandonò dunque lo sport ma il rigore di una disciplina sportiva dura e impegnativa come la ginnastica a corpo libero gli rimase nelle ossa, o meglio, nel cervello. E Ciervo non pensò minimamente di risparmiarsi, ma spinto da quel sacro fuoco che muove tutti gli atleti al limite fisico pur di raggiungere un risultato, si diede subito nuovi traguardi. Così, terminato il corso all’alberghiero di Benevento se ne andò di filato all’Ecole Lenôtre a Plasir una delle più prestigiose e rigorose scuole di formazione professionale in Francia da dove sono usciti migliaia di professionisti che sono ancora la spina dorsale del mondo gastronomico d’oltralpe.
Uscire con il distintivo di questa straordinaria scuola e poter essere accettati, lavorare – e crescere – dai grandi nomi della ristorazione francese è tutt’uno. A Ciervo si spalancano le porte di Michel Roux, chef fra i più acclamati al mondo, detentore per ben 21 anni di tre stelle Michelin al Waterside Inn di Bray, Meilleur Ouvrier de France (MOF) en Pâtisserie nel 1976, Cavaliere de l’Ordre des Arts et des Lettres nel 1990, laurea honoris causa in Arti Culinarie della Johnson & Wales University negli USA, insignito dell’onorificenza di Cavaliere de la Légion d’Honneur nel 2004, Ufficiale dell’Impero Britannico. E ci fermiamo qui per descrivere la sua caratura, ma si potrebbe andare molto oltre.
Ancora una volta Ciervo non si culla sugli allori e continua a costruirsi e strutturarsi pietra su pietra passando dalla Francia in Spagna, la nuova frontiera della grande cucina, per Martín Berasategui Olazábal, gigante della cucina spagnola che si fregia con il suo Restaurante Lasarte-Oria nei Paesi Baschi di tre stelle Michelin dal 2001 e detiene dodici stelle in totale, più di qualsiasi altro chef spagnolo. E non è finita perché poi è la volta delle cucine di Heston Blumenthal, chef tristellato e star televisiva britannica fondatore e proprietario del ristorante The Fat Duck a Bray nel Berkshire, considerato uno dei più grandi esponenti della gastronomia molecolare. Quindi vola oltreoceano da Thomas Keller, uno dei grandi d’America, l’unico che sia riuscito a conquistare tre stelle Michelin in due locali diversi e distanti, il “Per Se” a New York e il “The French Laundry nella Napa Valley, inserito perennemente nell’elenco annuale dei migliori 50 ristoranti del mondo.
Ora, uno che è passato per tutte queste esperienze
da far tremare i polsi, secondo voi, se gli domandate quale è stato il primo
piatto da chef nella sua vita, cosa ti risponde? In maniera disarmante: “uno
spaghetto al pomodoro!”. E qui si capisce anche la natura dell’uomo, solare e dinamica, determinata
e disciplinata, animata da giusta ambizione. Lontano
mille miglia da certi atteggiamenti divistici ai quali ci hanno abituato certi
Chef mediatici che imperversano nelle varie trasmissioni televisive, Ciervo
mantiene caratterialmente e culinariamente ben radicati i piedi per terra nella
sua terra di origine anche oggi che è un affermato
Chef, in uno dei ristoranti più ‘’in’ della capitale, che ha conquistato da
tempo la stella Michelin, che ha avuto l’onore di cucinare per la Regina
Elisabetta, per Capi di Stato per grandi attori, cantanti, uomini d’affari.
Lo spaghetto al pomodoro è l’attestazione del ritorno alle origini, della
ricerca dell’essenza dopo la liberazione da tutte le sovrastrutture mentali di
una cucina costruita in questi anni per aggiunta e non per sottrazione, ma
soprattutto l’adesione ad uno stile di cucina che punta all’essenzialità coniugando
salutare e salutistico.
Ospiti illustri arrivano all’Eden nel 1890
Per Ciervo la cucina si basa infatti innanzitutto sull’innovazione, attraverso lo studio continuo delle ultime metodologie scientifiche, approvate da scienziati e nutrizionisti, per il miglioramento del sistema nutritivo e attraverso la costante attenzione nei confronti di tecnologie sempre all’avanguardia. La sua cucina punta quindi al concetto del benessere grazie a nuove ricette ideate per lo stile di vita contemporaneo e per soddisfare in modo salutare il fabbisogno nutrizionale. Ovviamente in questo contesto l’attenzione principe è per l’ingrediente attraverso un’attenta selezione di materie prime stagionali provenienti da coltivazioni biologiche. In questo modo le caratteristiche degli alimenti restano inalterate e gli ingredienti possono esprimere al massimo le loro proprietà. Stabilite queste basi fondamentali di un nuovo linguaggio culinario è evidente che la ricerca del gusto avviene perseguendo l’equilibrio di sapori che bilanciati esaltano la texture dell’alimento e ne garantiscono il gusto. Dulcis in fundo per Ciervo l’arte l’estetica, la creatività e il design hanno un valore importante. Le sue creazioni hanno ognuna il proprio carattere grazie al sapiente abbinamento tra la simmetria degli ingredienti e la geometria del piatto.
E il grande artificio gastronomico si compone quindi in un piatto all’apparenza semplice, che conquista per come si propone apparentemente elementare, in realtà frutto di uno studio maniacale che gioca su sapori e consistenze per dipanarsi in bocca in un’armonia dinamica. Provare per credere la sua ‘crema di ricci di mare’, o il ‘raviolo ripieno di brodo di bollito a modo mio’ con rafano o il cacio e pepe del Madagascar profumato ai boccioli di rosa, lo ‘stracotto di intercostata di manzo con cavolfiore caramellato e cipolla bianca’ piatti che rappresentato la sua filosofia di cucina molto incisiva ed elegante allo stesso tempo.
E sulla mitica terrazza dell’Eden dalla quale si sono affacciate teste coronate, uomini politici, grand commis di stato, attori, industriali provenienti da tutta Europa e dalle Americhe, Ciervo ha voluto portare accanto al suo lussuoso ristorante anche il più puro profumo della sua Campania allestendo una pizzeria. Pizze ovviamente di alta qualità realizzate con un blend di farine semintegrali e integrali macinate a pietra, offrendo un prodotto di gusto, innanzitutto, ma anche altamente digeribile, fatto di ingredienti mediterranei, di sapori genuini ma anche originali. Così come è originalissimo il suo signature dish, omaggio alla romanità come la sua famosa cacio e pepe, con pepe del Madagascar, profumata ai boccioli di rosa, mantecata unendo il pecorino romano e un filo d’olio extra vergine d’oliva.
Così facendo gli è riuscita la più impensabile delle alchimie, far incontrare sui tetti della capitale il sole di Roma con quello di Napoli, e gli esiti di questa congiunzione astrale sono a dire il vero eccezionali.