Il segreto di un buon caffè espresso è, ovviamente, nella qualità della materia prima, oltre che nella bravura del barista di fiducia o nella affidabilità della vecchia moka di casa. Questi, però, per quanto psicologicamente rilevanti, sono criteri soggettivi: a stabilire invece le regole “scientifiche” per il miglior caffè possibile è stato un team guidato da Christopher Hendon, professore di Chimica all’Università dell’Oregon, in uno studio pubblicato sulla rivista Matter.
Mettendo insieme chimici, fisici e informatici di Stati Uniti, Gran Bretagna, Irlanda, Australia e Svizzera, Hendon è arrivato alla conclusione che la qualità di un espresso migliora se si riduce la quantità di caffè e soprattutto se si utilizza una polvere macinata in modo più grossolano. “Sembra controintuitivo – spiega il professore americano -, perché l’acqua passando attraverso una polvere di caffè macinata più sottilmente avrebbe più granelli, e quindi una maggiore superficie, da cui estrarre le molecole che danno il gusto. Ma se è macinato troppo fine il caffè intasa il fondo e riduce la capacità estrattiva dell’acqua”.
Insomma il segreto di un buon espresso è nella macinatura grossolana e in non più di 15 grammi di polvere di caffè per ogni tazzina, un quantità che in realtà per noi italiani corrisponde a quella di un “caffè doppio” (di solito la dose di quello servito al bar oscilla in Italia tra i 6,8 e i 7,5 grammi). Incrociando gli studi dell’Università dell’Oregon e il prezioso manuale Scienza del caffè, curato da Carla Severini, ordinario di Tecnologie alimentari all’Università di Foggia, vengono fuori i seguenti numeri: il diametro dei granelli della polvere di caffè deve essere di 300-400 micron (milionesimi di metro); la velocità di estrazione deve essere di 1 milliltro al secondo e la quantità da bere nella tazzina deve essere compresa tra 18 e 25 millesimi di litro.