Se, come ama dire Alain Prassard, il grande chef tre stelle Michelin, che siede di diritto nel Pantheon dei grandi di Francia, “il più bel libro di cucina l’ha scritto la natura” allora possiamo affermare senza tema di smentita che quel libro, la famiglia Serva, a Rivodutri, un paesino di poche centinaia di anime sulle falde occidentali del massiccio del Terminillo, lo scrive da sessant’anni a questa parte. Con grande autorevolezza, avendo conquistato ben due stelle Michelin, sempre rinnovate dal 2013, e anche con grande passione.
Solo la passione per questi luoghi incontaminati, un’oasi incantata di natura, di acque sorgive, di corsi d’acqua, di specchi lacustri, infatti, lontana da tutto e da tutti, potè spingere, sessant’anni fa, siamo nel 1963, il signor Emilio, dipendente Cotral in servizio su una linea di autobus che collegava i centri dell’alto Lazio, a buttare la divisa alle ortiche e a trasferirsi qui assieme alla moglie Rolanda per aprire una trattoria. Scelta audace e coraggiosa nella quale investirono tutti i loro risparmi. Qui comprarono un terreno lungo un corso d’acqua e qui costruirono la loro piccola trattoria. Per darle un nome non fu difficile, bastò affacciarsi alla porta e vedere i pesci nuotare in quelle acque. Nacque La Trota. Con mamma Rolanda che cucinava nel caldaio, sul camino, che tirava la pasta con le braccia robuste e con papà Emilio che cuoceva alla brace le trote, i lucci, il castrato.
Sandro e Maurizio vennero su in questo paradiso bucolico, tra fresche vallate, monti boscosi e panorami solenni, qualche partita a pallone con gli amici col sogno di diventare, da grandi, calciatori e nel tempo libero ore e ore a pescare lungo il fiume e a fare ‘pratica’ con il pescato che poi portavano da mamma e papà al ristorante. Al quale davano una mano fin da piccoli “cercando di finire prima possibile – ammette Maurizio – per non arrivare tardi alla partita della domenica”.
Una scuola di vita sfogliando il libro della natura
Con questa scuola di vita fu naturale, come lo sgorgare di una sorgente dalla montagna, che i due fratelli finito il liceo si impegnassero attivamente nel ristorante di famiglia continuando a sfogliare quelle pagine del libro della cucina di cui parla Prassard. Un libro che non si impara e non si studia a scuola ma solo nella pratica quotidiana, impratichendosi sempre più degli insegnamenti che venivano loro non solo dai genitori ma anche dal mondo che li circondava. Se provi a chiedere loro quale altro mestiere avrebbero potuto fare, ti rispondono che in realtà non hanno mai pensato ad altro. Chef lo sono diventati per quel superiore ordine delle cose che si chiama destino e che sceglie per te, perché non si sono mai posti il problema di fare altro.
Ed è stata la passione e anche un’audacia, che solo una temeraria fiducia nella volontà di riuscire può dare, ( ma in questo avevano un esempio illustre in papà Emilio e mamma Rolanda ) che li spinse, quando arrivò il momento del cambio generazionale, a mettersi alle spalle la trattoria di campagna, e a sposare senza condizioni, senza tentennamenti e senza incertezze la via di una cucina gourmet tutta dedicata al più povero dei più poveri dei cibi, il pesce di fiume e di lago, il primo che l’uomo preistorico riuscì a procurarsi a mani nude quando ancora non erano stati inventate lenze, arpioni e fucili.
«Il nostro locale si trova a 3 metri da un corso d’acqua purissima, privo di fondo fangoso, ideale per il pesce d’acqua dolce. Siamo stati in qualche modo condannati – ironizza Sandro – a utilizzare trote, tinche, persici, coregoni… L’inizio è stato difficile, abbiamo dovuto “nobilitarli”, ma la gente scappava, eravamo avviliti». Gli fa eco Maurizio “Immaginate a Rivodutri decidere di tagliare con una linea che mediava per avere un’utenza anche locale, e di proporre una cucina elusivamente gourmet negli anni 90 era quasi folle con in più la discriminante del pesce d’acqua dolce che ancora oggi è accettato con diffidenza. In effetti per un buon periodo, dopo aver portato il menu erano più quelli che scappavano ( dopo la classica domanda: ma il mare?) con la scusa della finta telefonata che annunciava un imprevisto grave. Quello è stato il momento più difficile”.
Ma la famiglia Serva di padre, madre e figli, non è una razza che si tiri indietro di fronte alle difficoltà o agli ostacoli. Tutt’altro.
Sandro e Maurizio si convinsero che questa scommessa si sarebbe potuta vincere solo puntando a valorizzare la materia prima che avevano a disposizione, dandole una nuova dimensione qualitativa. Davanti ai loro occhi fin da piccoli scorreva un mondo incontaminato di sapori che andavano solo scoperti e fatti conoscere ad un pubblico tradizionalmente, storicamente, rivolto ai prodotti del mare. Quei fiumi, quei laghi di acque incontaminate che avevano costituito il formidabile scenario dei loro giochi infantili si presentavano loro come opportunità unica, per proporre una cucina sconosciuta ai più. Andava individuata una identità culinaria non convenzionale, bisognava rompere schemi e puntare su tecnica, lavorazioni complesse, modernità di gusti assicurando soprattutto leggerezza per ricreare al palato quella stessa sensazione di armonia che danno alla vista quei luoghi incorrotti e genuini.
Decidono così di farlo “giocando sulle consistenze e le temperature con occhio attento alla leggerezza delle preparazioni”, ricorrendo a un sapiente utilizzo delle erbe “che conferiscono ai piatti i profumi dei nostri luoghi”. Ed è così che la loro carta lascia molto spazio ai pesci d’acqua dolce perché le acque lacustri, fluviali e sorgive da secoli caratterizzano questo territorio; il pescato per molti secoli è stato anche fonte di sostentamento primaria. Ci sembrava doveroso continuare a proporre tale materia prima nel rispetto dei luoghi e della tradizione, anche familiare, con pietanze creative e ricette rivisitate”.
Tutto appreso sfogliando quel famoso libro della natura, aperto per primo dai loro genitori Emilio e Rolanda e poi amorevolmente seguito dai due ragazzi. Perché incredibilmente la grande scuola che Sandro e Maurizio hanno frequentato è stata solo quella dei loro genitori e soprattutto di Rivodutri, con la sua storia millenaria e le sue ricchezze paesaggistiche, con le sue erbe rare, le sue spezie, i suoi aromi e i suoi pesci trote, tinche, persici, coregoni…
“Mio padre e mia madre – dice Sandro – sono stati due docenti a costo zero: pescavano i pesci di fiume adiacente al ristorante, trote. gamberi, lucci, anguille. Hanno iniziato loro con i pesci di acqua dolce. E inoltre ho trovato sempre ammirazione per chef e ristoratori dove a fianco lavora una famiglia come ad esempio Don Alfonso Iaccarino e Santini del Pescatore a Canneto.
Due stelle credendo nelle proprie idee
Nessuna scuola alberghiera, nessun corso di specializzazione, nessuno stage presso grandi chef stellati, nessuna conoscenza che non fosse quella che si acquisisce sul campo di azione. Autodidatti puri come raramente se ne incontrano.
Lo spiegano bane Sandro e Maurizio Serva: “Nessuno in Italia e nemmeno in Europa è riuscito a dire qualcosa di interessante sull’altro pesce. Quindi noi non abbiamo avuto modelli, siamo stati autodidatti per forza e abbiamo dovuto credere per necessità in noi stessi e nelle nostre idee”.
E con quelle idee i due fratelli si sono imposti al mondo dell’alta cucina fino ad arrivare ad essere gratificati di due stelle Michelin ininterrottamente dal 2013, unico ristorante bistellato in Europa – altro primato – a proporre un menù prevalentemente di acqua dolce.
Nella loro passione per il territorio Sandro e Maurizio serva includono anche la ricerca di prodotti che esprimano la genuinità delle tradizioni dell’entroterra laziale come “la ricotta, l’Olio della Sabina che per noi è la prima dop d’Italia, la Castagna di Antrodoco, il Tartufo bianco del Cicolano che spopola anche ad Alba”.
Con la stessa capacità con cui sono riusciti a nobilitare sapori e valori sostanziali del pesce di fiume nel loro menù i due fratelli, che si integrano perfettamente e interscambievolmente nei loro ruoli in cucina, propongono accanto ai sublimi e indimenticabili Filetti di trota cotti nel succo d’ananas, riso venere croccante, salsa di mango e vaniglia o Zuppa di tinca, uovo di carciofo, carpa in crosta di semi di papavero, realizzati con materia prima povera ma di grande successo o ancora la Zuppa di agrumi, cioccolato bianco al sale ripieno di mango e gelato di olive nere della Sabina, ( che da soli valgono il viaggio su per le falde del Terminillo, un “piccione nel bosco”, ovvero una quaglia laccata con more, mosto e sesamo o i Cannoli di olive nere ripieni di pollo, peperoni e friggitelli che rendono bene tutti gli aromi e i profumi della campagna e del sottobosco locale. Ma se c’è un piatto che può essere definito la sintesi della loro cucina, così come – e non sembri blasfemo l’accostamento – l’uovo della Pala di San Zeno del Mantegna è il punto di confluenza di tutte le rette del dipinto, è L’uovo di carciofo, salsa di topinambur e gocce di mentuccia:un trionfo del gusto, che come una scatola cinese è una esplosione di sorprese che rivela via via una stratificazione di sapori che richiede una estrema difficoltà di realizzazione.
La passione e l’amore riversato dalla famiglia Serva nella cucina si ritrovano poi in sala, regno dei due figli, Amedeo, figlio di Maurizio, e Michele, figlio di Sandro. E ancora una volta l’imprinting della famiglia Serva viene portato al massimo livello. Tanto Emilio e Ronalda avevano trasformato la loro trattoria di campagna in un posto in cui ci si ritrovava fra amici a scambiare quattro chiacchiere gustando una buona cucina, tanto Sandro e Maurizio, coadiuvati dai figli, danno estrema importanza alla cultura dell’accoglienza come tratto distintivo del loro ristorante. Per loro infatti «Vi può essere una grande tavola ma il ristorante non avrà un’anima se questa non è supportata da un’accoglienza vera e spontanea, se non si trasmette in sala la passione e la filosofia del proprio lavoro”.
“La nostra cucina è espressione del territorio , ci piace raccontare la nostra terra tramite i nostri piatti – affermano all’unisono Sandro e Maurizio – Cucinare i pesci d’acqua dolce per noi ha un significato particolare, omaggiare i nostri genitori, gli abitanti di questo territorio con quei pesci che durante la guerra erano unica fonte di sostentamento”.
La lista degli ospiti illustri che si sono avventurati fino a Rivodutri per assaporare i loro piatti è ricca di nomi di attori, cantanti, artisti, personalità del mondo politico, imprenditoriale e istituzionale italiane ed estere. Ma per Sandro e Maurizio “La gratificazione avviene ogni volta che il tuo ospite ti strige la mano e va via sorridendo, e pensi alla famiglia che non ti fa pesare nulla”. Perché tutto ciò che è oggi La Trota ha solo un comune denominatore e si chiama Sacrificio, con la S rigorosamente maiuscola.
Sandro e Maurizio Serva
Ristorante La Trota
Indirizzo: via S. Susanna, 33 – 02010 – Rivodutri (Rieti)
Tel.: +39 0746 685078
Web: latrota.com
E-mail: info@latrota.com