Una firma falsa a volte può rovinare una persona a volte, invece, può segnare, e in positivo, il destino di un’altra. E’ quello che è accaduto a Enzo Di Pasquale lo Chef del Ristorante Bistrot 900 a Giulianova Lido in Abruzzo.
34 anni, alto, magro, dinoccolato, dai lineamenti marcati e dai capelli arruffati, una via di mezzo fra Mac Ronay, il famoso comico francese che imperversò in televisione negli anni 70-80, quando dava vita al personaggio di Mago, maldestro e pasticcione, che si presentava come domatore di un ideale circo delle pulci riscuotendo un successo internazionale, e Franco Franchi, il segaligno compagno di Ciccio Ingrassia col quale formò un duo dalla comicità irrefrenabile.
Enzo Di Pasquale si può dire che oggi rappresenti al meglio la nuova leva di cuochi di questa regione che oggi può vantare una ristorazione di livello nazionale e internazionale il cui portabandiera il grande Niko Romito 3 stelle Michelin a Castel di Sangro, ha oramai varcato i confini anche europei con i tre ristoranti, gestiti con Bulgari, a Shangai, Pechino e Dubai. E non c’è solo Romito perché l’Abruzzo può vantare altri fiori all’occhiello stellati Michelin, come Nicola Fossaceca del Metrò di San Salvo Marina, Arcangelo Tinari di Villa Maiella a Guardiagrele, Davide Pezzuto di D. One a Montepagano di Roseto, Marcello e Mattia Spadone de La Bandiera di Civitella Casanova. Non c’è che dire, un bel parterre.
La firma falsa che segnò la vita del giovane Enzo fu quella che egli appose a 13 anni sul modulo di richiesta per l’iscrizione all’Istituto alberghiero di San Benedetto del Tronto (AP), facilitato dalla sua altezza che poteva ingannare sulla sua reale età. Una firma che il padre non avrebbe mai apposto perché aveva ben altri progetti per suo figlio.
Ma la scintilla era già scattata e il giovane Enzo affrontò le ire paterne – che da buon abruzzese aveva un forte carattere al punto che ancora oggi, che suo figlio può definirsi arrivato, resta ancorato alla sua idea – e, tosto come il padre, decise di proseguire dritto per la sua strada.
Ciò che colpisce nel percorso della vita professionale di Enzo Di Pasquale e che, a parte quella firma falsa iniziale, sembra che tutto gli sia capitato senza grandi ostacoli, o contrattempi.
La sua famiglia ha origini contadine, suo padre però negli anni ‘60 penso bene di abbandonare la terra come fecero in molti da queste parti, a per cercare un posto sicuro nelle Ferrovie dello Stato. Aveva moglie e tre figli e doveva garantire loro un futuro certo. E così restò nelle Ferrovie fino ad andare in pensione. E dopo? C’è stato un ritorno alle origini, è ritornato a lavorare la terra ma questa volta per assicurare prodotti genuini al proprio figlio Enzo che li propone ai clienti del suo ristorante sapendo come sono stati coltivati, come sono stati trattati, e quali sapori possono sprigionare.
Una famiglia solida la loro, con due sorelle più grandi di lui, e lui il più piccolo. “Ma – ci tiene a dirlo – non ero il più coccolato della famiglia, anzi i problemi erano proprio lo stacco generazionale” per cui il giovane Enzo è cresciuto sviluppando un carattere poco socievole ma molto autonomo.
I primi profumi di cucina Enzo li avverte quando a quattro cinque anni stava accanto alla sorella maggiore che lavorava in una mensa scolastica. Entrando in cucina sentiva quegli odori che poi gli sono rimasti impressi nella mente e che, uniti al ricordo dell’orto coltivato dal padre, lo hanno poi indirizzato verso una vita ai fornelli. Sorridendo ricorda oggi: “le merende che preparavamo con mia sorella, e il mio migliore amico (entrambi cuochi) fin da piccolo, spesso e volentieri prendevano forma come veri e propri banchetti…”Ed è influenzato dalle esperienze culinarie con la sorella e dall’attività agricola del padre il primo piatto che Enzo si cucina da solo a 12 anni: mezze maniche con verdure e ricotta stagionata, una ricetta presa su un libro di cucina da qualche parte trovato in casa. Il risultato? Più che soddisfacente. La vita è segnata.
Una vita che
è stata tutta in discesa, lo ammette lui stesso con disarmante sincerità: ”Sono
stato molto, molto fortunato, ho lavorato con maestri e sono stato in tanti
posti in cui volevo proprio lavorare. Sempre retribuito, senza stage o corsi.
Quindi di difficoltà ne ho incontrate poche. Invece – e qui le parole si fanno
di più lungo e ponderoso respiro – discorso diverso che meriterebbe esser
spiegato meglio, comunque, la vera difficoltà è quando nel mezzo della tua
carriera, incontri l’amore…”. Ma questa è un’altra storia e il discorso viene
lasciato cadere.
E dunque se è vero che la fortuna aiuta gli audaci bisogna dire anche che gli audaci poi vengono gratificati da loro scelte. E a guidare Enzo di Pasquale è stata sempre le sua grande, smisurata passione per la cucina, la sua determinazione nel voler guardare sempre oltre la siepe, la sua pervicacia nel voler raggiungere uno scopo prefissato, un obiettivo, a tutti i costi, qualità che lo hanno messo in buona luce con i grandi chef che lo hanno avuto al loro fianco. E mettiamoci pure che, a tratti, la sua lunacità lo porta a mettersi spesso in discussione, a confrontarsi con se stesso, a spingersi verso sfide azzardate anche quando pensa che ciò possa comportargli qualche problema, ma non demorde fino a che non si convince che quella intrapresa è la strada giusta.
Certo la partenza dall’alberghiero di San Benedetto del Tronto è stata un ottimo inizio. Da lì sono usciti Davide Di Fabio, finito come sous chef all’Osteria Francescana; Danilo Cortellini, chef all’ambasciata italiana a Londra e ambasciatore della nostra cucina in Inghilterra; Leonardo Di Teodoro, pasticciere al ristorante stellato Tosca di Ginevra.
Di lì di Pasquale prende il volo.
Tre nomi, tra carichi da novanta lo fanno crescere nel suo percorso professionale, tre esperienze di cucina indimenticabili.
Il primo è quello di Lucio Pompili, del Symposium di Cartoceto, un vero e proprio poeta del territorio marchigiano e dei suoi prodotti, di cielo (selvaggina) terra e mare che sa declinare i suoi piatti con una modernità che non sconfina mai nell’oltre, che sa manipolare tutti i più moderni ritrovati di ultima generazione senza che nessuno se ne possa avvedere, un illusionista. Uomo esplosivo dalle mille idee.
Il secondo è quello di Enzo Santin, il grande chef de la Cassinetta di Lugagnano, fucina di grandi chef stellati, uno che, entrato in cucina per la prima volta a 39 anni riesce a far diventare il suo ristorante una stazione obbligata del gusto italiano, si lega da amicizia a Gualtiero Marchesi, è il secondo chef italiano a prendere le tre stelle Michelin dopo il profeta Marchesi, ma trova anche l’incredibile coraggio, a 73 anni, di rinunciare alle Tre stelle della Guida Rossa, così come Marchesi, roba da far tremare i polsi.
C’è poi Fabio Barbaglini, lo Chef di FOOO, Florence Out Of Ordinary alla Fortezza da Basso, entrato nella lista dei mille migliori ristoranti del mondo, stilata sulla base delle più importanti guide e rubriche gastronomiche internazionali, uno chef vocato alla natura nelle sue espressioni più coinvolgenti. Di Pasquale lo conosce da Santin poi lo segue in Val d’Aosta apprendendo come fondere il rigore di Santin con gli insegnamenti della scuola francese.
E ancora Massimo Guzzone, chef di casa Agnelli che aprì un ristorante sul tetto del Lingotto “La pista”, per abbandonarlo dopo due anni, per riprenderlo e rilanciarlo facendolo diventare ristorante di riferimento dell’alta ristorazione torinese.
In maniera diversa ognuno segna e impronta la sua crescita professionale. Glielo ha testimoniato in un’intervista: “Chi mi ha indirizzato in questo mondo è sicuramente Lucio Pompili: mi ha dato la chiave. Chi mi ha insegnato il mestiere e cosa significhi essere un professionista è Ezio Santin, con lui ho aperto il portone di questo mondo fantastico. Poi il carattere “uomo“ l’ho tirato fuori con Massimo Guzzone che mi ha insegnato che questo mondo fantastico è pieno di imprevisti e ostacoli per il quale bisogna combattere giorno dopo giorno”.
Viaggia in Italia e viaggia all’estero il nostro Di Pasquale ma la voglia di affermarsi nella sua terra è forte, l’Abruzzo pulsa nel sangue.
E col suo carattere ostinato e tenace ci riesce. Viene a sapere che un imprenditore ha rilevato a Giulianova una vecchia palazzina Liberty del ‘900 abbandonata per farne un albergo. Non ci pensa su due volte, non aspetta che nessuno lo chiami. Si presenta e si propone. L’idea è di realizzare un ristorante che faccia parlare di sé. Inizialmente la famiglia degli albergatori ha qualche titubanza, Di Pasquale butta lì l’idea di una prova, un pranzo per poche persone. Inutile dire che gli indugi cadono subito, i proprietari si rendono conto che il ragazzo di numeri ne ha parecchi, fin troppi. Si parte nel 2014. Le tappe vengono bruciate. Solo due anni dopo Di Pasquale si offre di prendere in gestione il ristorante come Chef patron assicurando comunque anche la ristorazione dell’albergo.
E qui tutte le esperienze in Italia e all’estero, tutte le caratteristiche del suo carattere, la sua curiosità, la sua lunaticità perfino, prendono corpo in una proposta eclettica, molto personale, chd prende il nome di “Bistrot 900” dove Abruzzo e nord Europa,America e Giappone si fondono in qualcosa di unico.
Per Di Pasquale il confronto con altre culture diventa un bagaglio irrinunciabile di conoscenze dal quale attingere in modo sapiente e disciplinato, per le sue creazioni.
Nel suo Bistrot 900 non ci si siede per ordinare tradizionalmente primo, secondo contorno e frutta o dessert. Ma per provare emozioni nuove, sulla base della creatività e della libertà personale dello chef che entra in profondità nella sua amata terra come un’escavatrice in grado di portare alla luce nuove sensazioni interiori.
Nella sua cucina regna il grado d’intensità gustativa, sulla base di un punteggio tutto personale dello Chef, che valuta le componenti gustative dall’acido all’amaro, dal dolce al minerale per cui può anche accadere che una pasta arrivi verso il termine del pranzo.
Il suo diventa un “teatro del gusto”, all’interno del quale gli ospiti possono trovare il piacere della scoperta di sensazioni stimolanti per il palato e per tutti i propri sensi, in una atmosfera intima e raccolta, in cui viene “curata, conservata e tramandata, la sana abitudine di sedersi a tavola, e di farsi coccolare per vivere una vera e propria esperienza di gusto”.
Provare, per credere, lo Spaghetto con succo di barbabietola rossa e salsa curry e cocco, o in stagione, o il Pomodoro cuore di bue, datterini e cocomero, con brodo di caciotta un piatto che nasce dal ricordo della merenda d’estate, pane e pomodoro, più una fettina di caciotta finito con una fettina di cocomero che d’estate non manca mai. Ma anche Seppie, nduja, polvere di limone-arancio, pane al nero, finocchi di mare oppure Cipolla, fagioli neri e alghe, cicoria spontanea e mostarda per capire che siamo approdati in un altro modo e mondo
Insomma Ristorante Bistrot 900 in soli quattro anni è diventato qualcosa che certamente nel panorama gastronomico abruzzese non passa inosservato ma il nostro, così come Mac Ronay che faceva saltare le pulci in virtuali esercizi agli anelli e al trapezio, potrebbe aver in serbo ancora qualche sorpresa. Vinta una scommessa, non è sicuro di sedersi.
“Non sono ancora convinto che la carriera in cucina è quello che farò. Magari penserò di cucinare in una mensa scolastica come mia sorella, per far avvicinare i piccoli al cibo. Le nostre carriere senza educazione al cibo non vanno da nessuna parte”. Che pensi ad una nuova dimensione? Ah saperlo, come diceva il compianto prof. Riccardo Pazzaglia dal teatro di Quelli della notte…