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Dazi Usa, Prometeia avverte: chi semina tariffe raccoglie recessione. Ecco chi rischia di più

La nuova ondata di dazi Usa minaccia la crescita globale: Pil in calo e commercio in frenata. Secondo Prometeia, gli Usa rischiano la batosta peggiore, ma anche Cina e Eurozona non usciranno indenni

Dazi Usa, Prometeia avverte: chi semina tariffe raccoglie recessione. Ecco chi rischia di più

All’inizio del 2025, la scena economica globale sembrava già un po’ come una montagna russa: segnali contrastanti ovunque. Da un lato, negli Stati Uniti e in Europa, il rallentamento era palpabile, mentre in Cina iniziavano a farsi vedere timidi segnali di accelerazione. E poi, come se non bastasse, è arrivata la nuova politica tariffaria degli Stati Uniti, che ha aggiunto un ulteriore strato di incertezze difficili da decifrare. È questo il quadro che emerge dal brief di aprile di Prometeia, che esplora due scenari alternativi: uno si concentra sulla situazione attuale, dopo la sospensione dei dazi del 2 aprile, l’altro include le nuove tariffe e le ritorsioni commerciali che i partner stanno già mettendo in atto.

Dazi Usa: colpi e contracolpi sull’economia globale

Secondo Prometeia, i dazi introdotti il 2 aprile rappresentano un aumento di circa 14 punti percentuali rispetto all’aliquota tariffaria media statunitense prevista inizialmente. A peggiorare le cose, le misure di ritorsione dei partner commerciali: l’effetto più forte lo subirebbero gli Stati Uniti, che rischiano di perdere competitività globale come se i loro prezzi di esportazione aumentassero del 15%. Però c’è un lato positivo: le esportazioni rappresentano solo l’11% del Pil statunitense, quindi l’impatto è parzialmente contenuto.

Nel dettaglio, secondo il modello di Prometeia, gli Stati Uniti sarebbero i più colpiti, con una perdita del Pil pari a 1,6 punti percentuali rispetto al valore di riferimento in due anni, e con effetti che si estenderebbero anche nel medio termine. La Cina subirebbe un danno più contenuto, con una perdita di circa 1,1 punti percentuali del Pil, mentre l’Eurozona vedrebbe un calo di poco più di mezzo punto. A livello globale, queste misure porterebbero a una riduzione di un punto percentuale del Pil e a una contrazione del 2,1% nel commercio mondiale.

Dazi al 10% e guerra con la Cina: che conseguenze?

E se lo scenario rimanesse invariato, con un dazio universale del 10% e una guerra commerciale aperta con la Cina? In questo caso, gli Stati Uniti vedrebbero un deterioramento molto più marcato del Pil, con un calo di ben 2 punti percentuali nel 2026. Ma c’è un paradosso: nel medio termine, i dazi così elevati potrebbero ridurre drasticamente le importazioni dalla Cina, alleggerendo l’onere dei dazi e abbassando l’inflazione. La Cina, però, pagherebbe il prezzo più alto, con una perdita di circa 2,6 punti percentuali del Pil, soprattutto per via della perdita della sua quota di mercato negli Stati Uniti. L’Eurozona, pur beneficiando di dazi più favorevoli, subirebbe comunque gli effetti del rallentamento globale, con una perdita di 0,7 punti percentuali del Pil.

Italia 2025, crescita lenta e incertezze globali: cosa ci aspetta?

E l’Italia? A partire dallo scenario del 2 aprile, che prevede una riduzione della domanda estera per le esportazioni italiane e un aumento dei prezzi all’importazione, Prometeia ha costruito uno scenario più completo per l’economia del nostro Paese. L’analisi ha preso in considerazione anche il calo della fiducia delle imprese, le oscillazioni nei tassi di interesse e gli effetti sulla ricchezza delle famiglie. Il Pil italiano, che ha visto una crescita dello 0,5% nel 2024, è previsto crescere dello 0,6% nel 2025.

Nel breve periodo, i tassi di interesse nell’area euro dovrebbero scendere all’1,75% entro l’estate, dando una spinta a un’economia che altrimenti faticherebbe. L’inflazione sarà sotto controllo, rimanendo sotto il 2%, mentre i tassi a lungo termine dovrebbero rimanere bassi fino al 2026, quando la crescita inizierà a riprendersi. Tuttavia, l’incertezza rimane il vero nemico: una fiducia più debole potrebbe ridurre il reddito disponibile, spingendo i consumatori a essere più cauti e facendo diminuire il valore della ricchezza finanziaria. Secondo questo scenario, il Pil italiano potrebbe scendere di circa 0,6 punti percentuali rispetto alla previsione base nel 2025 e di 1 punto percentuale nel 2026, in seguito agli effetti collaterali delle misure commerciali e fiscali.

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