Nel 2024 gli italiani hanno continuato a fare ricorso ai prestiti per finanziare i consumi, con un aumento del credito al consumo che ha sfiorato il 5,3% rispetto all’anno precedente. I finanziamenti complessivi per l’acquisto di beni e servizi hanno raggiunto quota 169,3 miliardi di euro, in netto rialzo rispetto ai 160,7 miliardi di fine 2023. È un trend che non si arresta, nonostante il costo del denaro sia tornato a salire nei primi mesi del 2025. A rivelarlo è l’ultimo report della Fondazione Fiba di First Cisl, basato su dati di Banca d’Italia e Bce.
l boom degli acquisti a rate
Comprare a rate è diventata una scelta sempre più diffusa. In Italia il credito al consumo incide per quasi un quinto sul totale dei prestiti richiesti dalle famiglie, una quota molto più alta rispetto alla media europea. Il confronto con altri Paesi rende bene l’idea: mentre in Germania e Francia il peso del credito al consumo è rispettivamente al 9,5% e al 12,7%, in Italia ha toccato il 18,9% all’inizio del 2025. Questo significa che, rispetto ai cittadini degli altri grandi Paesi europei, gli italiani tendono a indebitarsi di più per sostenere la spesa quotidiana.
Non si tratta solo di una questione culturale o di abitudini finanziarie: dietro questa corsa al credito c’è anche una crescente difficoltà delle famiglie a sostenere i consumi con il solo reddito disponibile. E se da una parte il ricorso alle rate permette di mantenere un certo tenore di vita, dall’altra espone i nuclei familiari a maggiori rischi nel lungo periodo, soprattutto in un contesto in cui il costo del denaro è destinato a salire ancora.
Tassi in risalita, Italia più cara della media Ue
Il credito, in Italia, non solo è molto utilizzato ma è anche più costoso che altrove. A febbraio 2025, il Taeg – il tasso annuo effettivo globale che esprime il costo reale di un prestito – ha raggiunto il 10,45% sulle nuove operazioni di credito al consumo. Si tratta di un valore decisamente superiore rispetto alla media dell’area euro, ferma all’8,38%, e ancora più distante dai livelli registrati in Francia e Germania. La discesa dei tassi registrata nella seconda parte del 2024 si è già esaurita: il trend si è invertito a gennaio, e da allora i costi del credito sono tornati a salire.
Anche sul fronte dei mutui per la casa il quadro non è più favorevole. Dopo un breve periodo di sollievo, a febbraio il Taeg medio è salito dal 3,5% al 3,58%, segnando un’inversione di tendenza che riguarda non solo l’Italia, ma anche altri Paesi europei. La Bce, pur non avendo ancora modificato i tassi di riferimento, ha di fatto frenato le aspettative di un allentamento rapido della sua politica monetaria restrittiva.
Nord più dinamico, Sud più fragile
Dal punto di vista territoriale, la crescita dei finanziamenti ha mostrato una maggiore vivacità nel Centro-Nord. Regioni come Emilia Romagna, Toscana e Lombardia hanno registrato gli aumenti più consistenti nel corso dell’ultimo trimestre del 2024. Al contrario, nel Sud il ritmo di crescita è stato più contenuto. Ma se la domanda di credito aumenta a ritmi diversi lungo lo Stivale, resta comune a tutto il Paese la tendenza a fare ricorso al prestito anche per spese non eccezionali.
Il Sud, però, si conferma più vulnerabile sotto il profilo della sostenibilità del debito. I dati sul deterioramento dei prestiti – cioè la percentuale di quelli che diventano difficili da restituire – mostrano un miglioramento a livello nazionale, con una riduzione dal 0,262% al 0,222% durante il 2024. Le difficoltà restano evidenti in regioni come Sicilia, Campania e Calabria, dove la rischiosità del credito rimane sopra la media.
Cessione del quinto, un segnale da non sottovalutare
Un altro fenomeno da monitorare con attenzione è la crescita costante della cessione del quinto dello stipendio o della pensione. Si tratta di una forma di finanziamento in cui la rata viene trattenuta direttamente alla fonte, e che spesso viene scelta da chi ha già difficoltà ad accedere ad altri prestiti. Dal 2011 alla fine del 2024, il volume complessivo di questo tipo di finanziamenti è quasi raddoppiato, passando da poco più di 10 miliardi a oltre 18 miliardi di euro. Solo nell’ultimo anno l’aumento è stato dell’1,1%.
Non si tratta solo di un dato tecnico: la crescita della cessione del quinto è spesso sintomo di una fragilità sociale crescente. Quando il ricorso al debito diventa strutturale, e coinvolge anche fasce di popolazione con redditi fissi e medio-bassi, si crea un meccanismo difficile da invertire.
Una corsa al credito che pone interrogativi
Il quadro che emerge dal report di First Cisl è chiaro: gli italiani chiedono più credito, nonostante i tassi siano tornati a salire. La spinta agli acquisti a rate è forte, ma porta con sé anche segnali di fragilità che le istituzioni dovranno considerare. Il 2025 si apre dunque con una doppia sfida: da un lato, il contenimento del costo del denaro, che dipenderà dalle decisioni della Bce; dall’altro, il rischio che l’indebitamento delle famiglie superi la soglia di sostenibilità.
Il credito può essere una risorsa, ma solo se resta uno strumento temporaneo. Quando diventa una necessità costante, è il segnale che qualcosa, nel modello economico, non sta più funzionando.