Quello visto ieri nello studio ovale a fianco del primo ministro inglese, Keir Starmer, era un Trump che appariva ragionevole, quasi dialogante, che affermava di avere buoni rapporti sia con Putin sia con Zelensky per il quale si rimangiava la definizione di “dittatore”, che annunciava dazi dal 2 aprile ma solo “per reciprocità con la Ue”. Insomma, un Trump che sembrava avere “cambiato rotta” secondo il commento a caldo rilasciato dallo stesso Starmer a Washington per concordare una linea comune su Ucraina e dazi a poche ore dalla visita alla Casa Bianca del presidente francese Emmanuel Macron.
Terre rare in Ucraina, oggi la firma Trump-Zelensky
L’attivismo europeo degli ultimi giorni guidato da Parigi e Londra ha forse consigliato a Trump un atteggiamento più “morbido”, consapevole del fatto di non essere più l’unico padrone del campo in grado di dettare condizioni a tutti e su tutto, contando solo su isolate alleanze europee come l’Ungheria di Orban o l’Italia di Meloni. Sullo sfondo resta tuttavia la narrativa di Trump di fare sempre e comunque l’interesse degli americani ma inserito però in un quadro di sicurezza e prosperità globali.
È così anche per l’accordo che oggi Trump firmerà con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky sulle cosiddette “terre rare” per un valore previsto di 500 miliardi di dollari. Una visita che stava per essere annullata all’ultimo momento ma che pare sia stata confermata per intervento diretto del presidente francese Macron. Si prevede di creare una società mista ucraina e americana rispettivamente al 50% per lo sfruttamento dei giacimenti il cui ricavato verrebbe destinato alla ricostruzione del Paese. Secondo il Ministero delle risorse naturali e dell’ambiente dell’Ucraina, le rocce del Paese contengono materie prime “essenziali” tra cui grafite, litio, titanio, berillio e uranio. Le risorse necessarie per produrre batterie, sistemi radar e armature, essenziali per i settori della difesa e della tecnologia, e contribuirebbero in qualche modo a ridurre la dipendenza Usa dai minerali cinesi.
Sebbene il Paese abbia mappato più di 20.000 depositi e siti minerari, solo circa 8.000 di essi sono stati valutati come vitali. Di questi, meno della metà erano sfruttati prima dell’invasione su vasta scala dell’Ucraina da parte della Russia fino a tre anni fa.
Donald Trump ha definito l’accordo sui minerali un ‘backstop’, una sorta di garanzia per la sicurezza dell’Ucraina. La parola è la stessa usata da alcuni leader europei, tra cui Emmanuel Macron e Keir Starmer, per descrivere la garanzia di sicurezza che vorrebbero dagli Stati Uniti per sostenere un contingente di truppe a guida europea. Ma, ha spiegato Trump “bisogna fare un accordo di pace prima di inviare i peacekeeper”. Trump si è detto fiducioso sulla possibilità che si raggiunga presto un accordo tra Mosca e Kiev ma ha considerato irrealistica l’ipotesi di un ingresso dell’Ucraina nella Nato. Secondo il presidente americano Putin starà ai patti e ”non invaderebbe di nuovo l’Ucraina”. Trump si è preso tutto il merito di avere avviato il negoziato. ”Se non fossi stato eletto io, nessuno avrebbe parlato con Putin” ha detto.
Trump, l’Europa e la questione dei dazi
Con Starmer il presidente Usa ha affrontato anche la questione dazi. “L’Ue è dura con noi sul commercio, non ci piace come l’Ue tratta le nostre aziende. Per questo avremo dazi reciproci con l’Ue al 2 aprile” ha annunciato Trump. Poche ore prima era stato molto più duro affermando che l’Unione europea “è stata creata per fregare gli Stati Uniti, questo è il suo scopo, hanno fatto un buon lavoro, ma ora sono io il presidente”. La risposta del portavoce della Commissione Ue non si era fatta attendere: l’Ue rappresenta un mercato unico di 450 milioni di consumatori dal quale negli anni hanno tratto grande profitti le aziende americane fino a creare un interscambio di 1,5 trilioni di dollari l’anno. “Siamo pronti a collaborare se vengono rispettate le regole. Ma proteggeremo anche i nostri consumatori e le nostre aziende a ogni passo”, aveva detto il portavoce della Commissione.
Che il clima tra Washinton e Bruxelles non sia dei migliori lo testimonia anche il fatto che l’incontro inizialmente previsto tra l’alto rappresentante per la politica estera dell’Unione Kaja Kallas e il segretario di Stato Marco Rubio è stato cancellato “ per questioni di agenda”. Si trova a Washington in questi giorni anche la Presidente del Parlamento Roberta Metsola secondo la quale “le tariffe e le guerre commerciali producono solo perdenti, mentre il Parlamento europeo sta lavorando per una situazione vantaggiosa per tutti”.
Un clima che si è riflesso anche alla riunione dei ministri finanziari del G20 a presidenza sudafricana con un’eco sulla questione dazi. Per la prima volta non si è raggiunto un accordo su un testo di conclusione della riunione. Sarebbero emerse divergenze su come gestire la finanza per il clima. Altro punto problematico il tema legato al protezionismo. Un funzionario europeo che ha partecipato alle riunioni del G20 ha detto che “parole dure” sono state scambiate tra i ministri delle finanze europei e i funzionari statunitensi alla luce delle minacce di Trump.
L’asse Parigi-Londra mette in ombra l’Italia
L’attivismo di Francia e Regno Unito nei confronti della nuova amministrazione Usa ha messo un po’ ai margini il ruolo della premier italiana che nel debriefing di Macron sul suo incontro con Trump avrebbe chiesto al presidente francese in maniera secca: “Io vorrei sapere a che titolo sei andato a Washington”. Macron avrebbe assicurato di aver «rappresentato soltanto la Francia» ma è ormai evidente che Parigi e Londra (uniche due potenze europee presenti nel Consiglio di sicurezza dell’Onu e potenze nucleari) vogliono guidare una forza di pace in Ucraina. L’Italia teme che domenica nel vertice con alcuni Paesi Ue convocato a Londra il premier Starmer possa annunciare nuove iniziative che potrebbero aprire nuove divisioni tra gli Stati membri.
In questo momento a sostenere la linea di Meloni sarebbero Germania e Polonia molti cauti sull’invio di truppe. Di autonomia strategica e aumento delle capacità operative nel settore della Difesa si parlerà oltre che a Londra anche a Bruxelles il 6 marzo nel vertice straordinario convocato dal presidente del Consiglio Ue Antonio Costa come seguito del “reatreat” di inizio febbraio. La presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, ha già annunciato una proposta formale per il 19 marzo nel settore della difesa con uno strumento finanziario per rendere più rapido l’acquisto di sistemi d’arma.
È un dato ormai appurato che nei tre anni trascorsi dall’invasione della Russia in Ucraina, le principali aziende di difesa dell’Ue hanno aumentato significativamente la loro presenza di lobbying a Bruxelles. Le prime 10 aziende di difesa dell’Ue hanno aumentato di circa il 40 per cento il loro budget nelle operazioni di lobbying. Tendenza è particolarmente evidente per il gigante della difesa svedese Saab, che ha raddoppiato la sua spesa, seguito da Airbus e Dassault, che hanno entrambi notevolmente aumentato i loro sforzi di lobbying.