Un uragano sembra essersi abbattuto su STMicroelectronics, il colosso italo-francese dei semiconduttori. Una trimestrale deludente, il crollo del titolo in Borsa e voci di licenziamenti già bastavano a preoccupare analisti e investitori. Ma non è tutto: dietro la tempesta si nasconderebbero manovre opache da parte dei vertici aziendali. Secondo quanto riportato da La Stampa, Jean-Marc Chery, ceo di Stm, e Lorenzo Grandi, direttore finanziario (cfo), sarebbero accusati di aver nascosto l’allarme sui conti, contribuendo a un clima di incertezza che ha pesato non solo sul valore delle azioni, ma anche sulla credibilità dell’intero gruppo.
Stm, le accuse nella class action: previsioni errate e azioni vendute
Il colpo di scena è arrivato con le accuse degli ex manager dell’azienda. Secondo una class action intentata negli Stati Uniti contro Stm, il ceo e il cfo erano pienamente consapevoli delle difficoltà economiche fin dai primi mesi del 2023, ma hanno continuato a diffondere previsioni ottimistiche, occultando le reali problematiche del mercato. Le accuse non si fermano qui: durante lo stesso periodo, Chery e Grandi avrebbero anche venduto azioni della società per un totale di circa 8 milioni di dollari (4,1 milioni Chery e 3,7 milioni Grandi), sfruttando il clima di “solida crescita” che avevano contribuito a creare.
Questa storia ha preso forma in un’aula di tribunale, con la causa che è stata depositata il 21 gennaio presso la Southern District Court di New York. Gli azionisti danneggiati, tra cui Faith Close, Hassan Ibrahim, Aya Zalate e Ferdinando Garbuglio, accusano i vertici di aver travisato la situazione finanziaria, inducendo il mercato a sottovalutare la gravità della crisi. L’accusa principale? I numeri gonfiati. Secondo la causa, la vendita di prodotti sarebbe stata manipolata tramite sconti eccessivi, senza una reale approvazione, per “riempire” i canali di distribuzione e mascherare le difficoltà economiche, creando una bolla che dava l’illusione di solidità.
Le manovre interne: la lotta per il potere
Le accuse si fanno ancora più gravi con le testimonianze di otto ex manager di Stm, tra cui un dirigente chiave della divisione automotive – probabilmente Marco Monti, scrive La Stampa, che ha lasciato il gruppo nel gennaio 2024. Secondo la memoria presentata al tribunale, il testimone avrebbe partecipato a riunioni mensili con circa 25 alti dirigenti, tra cui Chery, durante le quali venivano discussi i dati del mercato e le previsioni di bilancio. Il testimone avrebbe avvertito i vertici del rallentamento del mercato e dell’irrealizzabilità degli obiettivi fissati per il terzo e quarto trimestre del 2023. Tuttavia, i suoi avvertimenti sarebbero stati ignorati: il management ha continuato a rilasciare previsioni di fatturato per il 2024 pari a 17 miliardi di dollari, salvo poi chiudere l’anno a 13 miliardi, segnando un crollo del 50% rispetto ai picchi precedenti. In quel momento, il mandato di Chery come ceo era in scadenza, e il clima di incertezza sulla leadership aziendale sembra aver spinto i dirigenti a mettere al sicuro i propri interessi. Insomma, un tentativo di “salvaguardare la propria pelle” a scapito degli azionisti e dei dipendenti.
Il futuro di Stm in bilico: licenziamenti e tagli in vista
Le ripercussioni non si fermano ai bilanci o alle cause legali. Secondo quanto riportato da Bloomberg, il colosso italo-francese sta progettando di ridurre del 6% la propria forza lavoro, una mossa che, se confermata, potrebbe tradursi in circa 2.000-3.000 posti di lavoro a rischio, soprattutto in Italia e in Francia. Il portavoce italiano ha dichiarato a La Stampa che “non sono state prese decisioni definitive”, ma il piano di ristrutturazione e riduzione dei costi fino al 2027 lascia poche speranze ai dipendenti.
A complicare ulteriormente la situazione c’è la rilevanza strategica dell’azienda. Stm non è solo una delle principali realtà nel settore dei chip, ma è anche un pezzo importante dell’industria italiana e europea. Infatti, il 50% delle azioni della società è controllato dal ministero dell’Economia e delle Finanze (Mef), il che significa che la situazione di crisi non riguarda solo il mondo finanziario, ma anche la politica.
Dopo la pubblicazione dei dati disastrosi, diversi parlamentari del Pd hanno sollecitato il governo italiano a intervenire per proteggere i lavoratori e l’interesse strategico nazionale. “Non possiamo permetterci di perdere terreno in un settore cruciale come quello dei semiconduttori,” hanno dichiarato, sottolineando l’importanza di tutelare l’autonomia tecnologica e industriale dell’Italia e dell’Europa.