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Dazi di Trump, quali (e quanti) danni per l’Italia? Le stime: aggravi dai 4 ai 10 miliardi di euro

Dopo Canada, Messico e Cina, la scure dei dazi di Trump è attesa anche in Europa. Secondo gli analisti, i settori in Italia più a rischio vanno dalla meccanica, alla moda e poi agroalimentare e farmaceutica. Ma i settori ad alta specializzazione potrebbero salvarsi

Dazi di Trump, quali (e quanti) danni per l’Italia? Le stime: aggravi dai 4 ai 10 miliardi di euro

La prossima sarà l’Europa, Italia compresa. La bomba tariffaria di Trump, che si è già abbattuta su Canada, Messico e sulla Cina innescando preoccupazioni anche per la crescita delle economie, è attesa arrivare presto anche da noi. Le prime stime parlano per l’Italia aggravi dai 4 ai 10 miliardi, anche se alcune nicche particolarmente innovative potrebbero non essere bersagliate. Intanto alcune aziende Italiane hanno giocato d’anticipo.

Le contromosse europee alla minaccia di dazi

I prodotti europei saranno “molto presto” colpiti dai dazi doganali americani, ha detto Trump alla stampa. Spiegando che “si stanno davvero approfittando di noi, abbiamo un deficit di 300 miliardi di dollari. Non ci prendono le nostre auto o i nostri prodotti agricoli, quasi nulla e noi tutti prendiamo milioni di automobili, quantità enormi di prodotti agricoli”. Sul timing Trump ha spiegato: “Non ho un calendario ma arriverà molto presto”.

Intanto l’Unione Europea prepara le contromosse. Secondo il Corriere della Sera dagli uffici di Ursula von der Leyen in queste ore è stato aperto un canale negoziale con la Casa Bianca: Bruxelles sta cercando di offrire pacchetti di maggiori acquisti di gas liquido e aumenti della spesa militare per scampare ai dazi. Non solo. Tra le ipotesi di risposta c’è quella di colpire l’agroalimentare, le importazioni di whisky e bourbon, le Harley Davidson, i suv e i pick-up. Inoltre l’Europa potrebbe anche rendere più difficile ai big del tech come Microsoft e Tesla di accedere agli appalti pubblici. Il ministro dell’Industria francese, Marc Ferraci, auspica una “reazione aggressiva”, che deve “avere un impatto sull’economia americana per costituire una minaccia credibile. Dobbiamo smetterla di essere ingenui”.

Italia: settori più a rischi sono meccanica, moda, agroalimentare e farmaceutica

Lo ha detto anche la premier Giorgia Meloni: “L’Italia sarà colpita” nonostante le dichiarazioni di “simpatia” di Trump nei suoi confronti. Negli corridoi di palazzo Chigi circolano ipotesi di una scure di Trump sullo champagne francese, ma non per esempio su prosecco o franciacorta. Ma in generale la preoccupazione per le imprese italiane non manca per il contraccolpo, che potrebbe essere consistente, sull’export e di riflesso anche sul Pil nazionale.

Trump vorrebbe raddrizzare i rapporti commeciali degli Usa verso il resto del mondo. La bilancia commerciale americana anche nei nostri confronti è strutturalmente in deficit, mentre quella italiana, in base agli ultimi dati disponibili, quelli del 2023, è arrivata a toccare 42 miliardi di attivo. A fronte di 67,3 miliardi di euro di esportazioni italiane, dato che fa degli Usa il secondo destinatario delle nostre produzioni (dopo la Germania e prima della Francia), si contano infatti appena 25,2 miliardi di importazioni.

Giusto stamane è stato reso noto il dato di gennaio per il settore manifatturiero italiano che ha registrato una contrazione per il decimo mese consecutivo, mantenendo un ritmo simile a quello di dicembre, in un contesto di continua diminuzione della produzione e dei nuovi ordini. L’indice Hcob Global Purchasing Managers per il manifatturiero ha raggiunto 46,3, con un lieve incremento rispetto a 46,2 del mese precedente, ma ben al di sotto della soglia di 50, che indica una crescita. Jonas Feldhusen, economista di Hcob, ha sottolineato la scarsità di segnali positivi, evidenziando il crollo dei portafogli ordini, sia interni che esteri.

Confartigianato ipotizza che, ad un aumento dei dazi del 10%, le esportazioni potrebbero calare del 4,3%. Se poi i dazi dovessero aumentare del 20% il calo delle esportazioni potrebbe arrivare anche oltre il 16%. “Gli Stati Uniti sono il primo mercato nel mondo per 43 prodotti italiani, tra cui alcune produzioni ad alta tecnologia come i macchinari e prodotti con una marcata vocazione artigiana come la gioielleria e oreficeria, l’occhialeria, i mobili per la casa, le sedie e i divani, le pietre tagliate e lavorate, gli articoli sportivi, il vetro e la ceramica artistici, la coltelleria e la posateria e gli strumenti musicali” dice ancora Confartigianato. In tutto potrebbero essere penalizzate 44mila aziende italiane.

Stando a Prometeia le nuove sanzioni doganali potrebbero costare all’Italia da un minimo di 4 ad un massimo di 7 miliardi di dollari in più all’anno, da 6 a 9 miliardi conteggiando i dazi applicati già nel 2023 al Made In Italy. Due gli scenari che ipotizza il centro di ricerca bolognese. Il primo prevede un aumento di 10 punti parziale, cioè mirato sui prodotti che già sono sottoposti a dazi, in tutto circa 3.000 referenze, ed in questo caso la stima per il nostro Paese è di un costo aggiuntivo di oltre 4 miliardi essenzialmente a carico del sistema moda che arriverebbe a sfiorare il miliardo e mezzo di dollari di maggiori costi, seguita dalla meccanica che arriverebbe ad un miliardo, dall’agroalimentare e da autoveicoli e moto.

Il secondo scenario simula invece un aumento tariffario generalizzato di 10 punti dei dazi con un costo aggiuntivo che supererebbe i 7 miliardi. In questo secondo caso sarebbe la meccanica a pagare i costi maggiori arrivando poco sotto quota 2 miliardi, quindi moda, agroalimentare, prodotti intermedi, farmaceutica e auto. Elettronica ed elettrotecnica si vedrebbero praticamente raddoppiare l’onere arrivando attorno a quota 400 milioni, mobili e chimici per il consumo si attesterebbe attorno ai 150 milioni per settore, ma partendo praticamente da zero ed anche questo insomma sarebbe un bel salasso. “Il nuovo protezionismo” dicono gli analisti di Prometeia Claudio Colacurcio e Carmela Di Terlizzi che hanno redatto lo studio “andrebbe in questa ipotesi a interessare anche i beni a media e alta intensità tecnologica, come anche nella farmaceutica, che sono oggi meno esposti al tema delle tariffe perché funzionali alle produzioni domestiche”.

Rispetto agli altri grandi paesi europei, solo la Germania, che oggi è il primo esportatore europeo verso gli Usa, subirebbe un impatto maggiore del nostro con un aggravio stimato in 7,5/15,3 miliardi di dollari a seconda degli scenari. A Francia e Spagna sarebbe invece richiesto un onere più basso del nostro, rispettivamente pari a 2/5,5 miliardi e 1,2/2,3 miliardi di dollari.

“Le imprese sarebbero costrette a scegliere se farsi carico dell’aumento tariffario per mantenere il proprio posizionamento competitivo oppure lasciarlo peggiorare a causa dei prezzi finali più alti per effetto dei dazi” sintetizzano i ricercatori di Prometeia profetizzando tempi bui per le aziende che vivono di export.

L’alta specializzazione potrebbe salvarci

Secondo un report di Banca Fucino però, al di là dell’impatto immediato dei dazi, “accanto a prodotti tipici del made in Italy come i prodotti alimentari e l’abbigliamento, si trovano categorie con un peso anche maggiore come macchinari, mezzi di trasporto e articoli farmaceutici che costituiscono le vere e proprie colonne portanti dell’industria e dell’export italiani”. Queste, dice il rapporto, costituiscono “nicchie di mercato difficilmente contendibili e produzioni in gran parte altamente sofisticate, e dunque con un alto grado di specializzazione, e quindi è presumibile che Usa nel breve medio termine non saranno in grado di rimpiazzare le forniture italiane su queste categorie di prodotti». Si tratta, infatti, di produzioni tutte ad alto valore aggiunto che non solo richiedono ingenti investimenti ma anche tempi prolungati di messa a punto.

Le aziende che giocano d’anticipo

In queste ultime settimane alcune aziende hanno giocato d’anticipo. “Vediamo aziende che anticipano le loro importazioni negli Stati Uniti”, ha affermato Patrick Lepperhoff, amministratore delegato della società di consulenza per la supply chain Inverto di Colonia. “Hanno elaborato scenari basati su quanto potrebbero essere colpiti dai dazi e hanno deciso in modo piuttosto ampio di importare volumi tali da essere coperti per un certo periodo di tempo”. Case automobilistiche come General Motors e Mercedes, i produttori francesi di cognac e i produttori italiani di parmigiano e spumante hanno tutti accelerato le consegne negli Stati Uniti. Nel frattempo, gli acquirenti di materie prime hanno intensificato gli acquisti di acciaio, alluminio e soia. Nel complesso, le importazioni statunitensi di container da 20 piedi sono aumentate a novembre e dicembre, raggiungendo il livello più elevato dal 2021.

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