La Corte d’Appello di Roma ha deciso: i 43 migranti inviati nel centro di Gjader, in Albania, dovranno rientrare in Italia. Un’altra bocciatura per il piano del governo Meloni, che per la terza volta vede la magistratura bloccare il trattenimento dei richiedenti asilo nel paese balcanico. I giudici hanno infatti sospeso il giudizio e rimesso gli atti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sollevando dubbi sulla legittimità della procedura adottata per il trattenimento dei migranti in Albania.
La decisione ha un effetto immediato: i 43 migranti, provenienti da Bangladesh ed Egitto, saranno trasferiti a Bari a bordo di una motovedetta della Guardia Costiera. Il rientro è previsto per la serata di sabato 1 febbraio. La reazione dell’esecutivo è stata immediata. Fonti governative parlano di “grande stupore” e ribadiscono che “non c’è la necessità di aspettare il pronunciamento della Corte di Giustizia europea”. Il sottosegretario all’Interno Galeazzo Bignami accusa apertamente “un pezzo della magistratura italiana” di ostacolare le politiche migratorie del governo, mentre Maurizio Gasparri (Forza Italia) denuncia “un’opera di boicottaggio della magistratura italiana contro le politiche di sicurezza per contrastare l’immigrazione clandestina”.
L’opposizione all’attacco: “Un clamoroso fallimento”
Di fronte all’ennesimo stop giudiziario, le opposizioni esultano e parlano di “disastro politico”. La segretaria del Partito Democratico, Elly Schlein, attacca duramente: “Giorgia Meloni si rassegni, i centri in Albania non funzionano e non funzioneranno. Sono un clamoroso fallimento“. La leader dem annuncia anche un’inchiesta parlamentare per verificare i costi della missione: “Chiederemo di avere il resoconto di tutti i fondi pubblici spesi. Siamo ormai a oltre un miliardo di euro che poteva essere investito per assumere infermieri e medici nella sanità pubblica”.
Il presidente di Italia Viva, Matteo Renzi, rincara la dose: “L’Italia sta sprecando milioni in Albania per una scelta irragionevole, illogica e illegale di Giorgia Meloni. Immagino che la premier sappia che dovrà pagare di tasca propria per questo spreco di soldi pubblici”. Per Riccardo Magi (+Europa), questa sentenza “è la pietra tombale sulle politiche migratorie messe in atto dal governo tra forzature giuridiche e colpi di mano parlamentari”.
Duro anche il giudizio di Nicola Fratoianni (Avs), che definisce la vicenda “un finale già scritto” e avverte: “Ora Meloni non usi questo episodio per fare la vittima e accusare la magistratura”. Mentre Angelo Bonelli (Europa Verde) sottolinea che “la decisione della Corte d’Appello smonta per la terza volta la propaganda del governo e certifica il fallimento dell’accordo con l’Albania”.
Migranti in Albania: un piano in bilico tra diritto e propaganda
Al centro della decisione dei giudici c’è la questione della conformità del piano con il diritto internazionale e con le garanzie previste per i richiedenti asilo. La Corte d’Appello ha sollevato dubbi sulla legittimità della lista dei “Paesi sicuri” stilata dal governo, sottolineando che non tiene conto delle condizioni di sicurezza per alcune categorie di persone, come le minoranze etniche e religiose, la comunità LGBTQI+, le vittime di violenza di genere e gli oppositori politici.
Il Tavolo Asilo e Immigrazione (Tai), che sta monitorando la situazione nei centri italo-albanesi, denuncia che la procedura di trattenimento “è di fatto illegittima, perché priva delle tutele previste dalla normativa in vigore”. Secondo il Tai, “le persone non hanno potuto farsi assistere da un legale né prepararsi adeguatamente per le audizioni con la Commissione asilo”.
In attesa della pronuncia della Corte di Giustizia Ue, prevista per il 25 febbraio, il governo promette di “superare questo ostacolo” e va avanti sulla sua linea dura, mentre le opposizioni incalzano per smantellare un piano che si sta rivelando sempre più un boomerang giudiziario ed economico. Il progetto albanese, nato come fiore all’occhiello della politica migratoria di Meloni, rischia di trasformarsi in un simbolo del fallimento dell’esecutivo su uno dei temi chiave della sua agenda.