La quantità di rifiuti prodotta in Italia resta la più alta in Europa. Potremmo recuperarli ma un sistema efficiente ancora non c’è. È questo il punto debole della catena industriale italiana su cui la politica incide ancora poco. Ogni volta che si affronta il tema, le discussioni finiscono inevitabilmente sulle infrastrutture che, se presenti, farebbero dell’Italia un modello. Soprattutto per il recupero di materia e la riduzione di rifiuti secondari. Rispetto a quello che c’è “abbiamo bisogno di promuovere il riutilizzo e il recupero energetico per una gestione più sostenibile dei rifiuti”, dicono i ricercatori del Laboratorio per i servizi pubblici locali, Ref Ricerche.
Rifiuti industriali, cosa dice lo studio di Ref Ricerche
Da tempo il think tank di Ref è un punto di riferimento per quanti si occupano di economia circolare e di transizione verde. Le possibilità di creare un circuito economico virtuoso in un Paese che ha 82 milioni di tonnellate di scarti industriali, ci sono. Sì, qualche progresso negli ultimi anni c’è stato, ma i dati non sono sufficienti a farci credere che si sia sulla buona strada.
L’ultimo studio “Rifiuti e Pil: perché l’Italia produce più rifiuti tra i grandi Paesi Ue?” prodotto dal Laboratorio, dice che è urgente ormai lavorare sui sottoprodotti industriali. “Occorre potenziare la loro disciplina, dotare il riciclo di strumenti economici di sostegno, accrescere la capacità di recupero energetico per trattare scarti e rifiuti non riciclabili” spiega Donato Berardi, direttore del think tank di Ref. Insomma, siamo più o meno all’abc dell’economia circolare, l’unica strada che può mitigare gli effetti dell’acquisto sfrenato di materie prime. Per un’economia matura questo è una piaga che brucia.
Rifiuti industriali, la partita degli impianti di recupero
I ricercatori milanesi considerano i rifiuti secondari un indicatore dell’efficacia del ciclo di gestione industriale. La valutazione è corretta se pensiamo che nel 2022 quei rifiuti sono stati un terzo della produzione industriale e il loro destino poteva essere diverso, in particolare rispetto al Pil. Evidentemente non ci preoccupiamo ancora degli sprechi che, tuttavia, pesano sui bilanci delle aziende e il decoupling non è nelle corde della nostra economia.
“Il disaccoppiamento tra produzione di rifiuti e crescita economica, noto appunto come decoupling, è un obiettivo cruciale per la transizione verso un’economia circolare” scrivono i ricercatori. Tra il 2018 e il 2022, l’Italia ha registrato un incremento del Pil del 4,3% ma negli anni 2012-2022, la produzione di rifiuti è cresciuta molto più del Pil. Tuttora la produzione di rifiuti per unità di Pil è la più alta rispetto a Germania, Francia e Spagna e non riusciamo a recuperarli.
Al contrario, se riuscissimo a reinserire gli scarti nei processi produttivi, il rapporto rifiuti-Pil cambierebbe profondamente e le diseconomie industriali calerebbero in maniera apprezzabile. Ma quanta attenzione c’è su questo punto? Come si procede a livello centrale e periferico? In ordine parso. La lentezza, oltre le incertezze, sulla costruzione degli impianti per il recupero anche energetico degli scarti, sono il rovescio di un sistema industriale che deve fare un salto di prospettiva. Gli impianti per recupero di materia sono 4.399, numero nettamente inferiore al fabbisogno per avvicinare il Paese all’Europa.