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Gaza, la tregua regge tra scambi di prigionieri e aiuti umanitari. La ricostruzione durerà decenni e costerà miliardi

Nella notte sono stati liberati 90 detenuti palestinesi, ma Hamas segnala l’assenza di un prigioniero previsto nell’accordo. La pace resta fragile, con una ricostruzione titanica e costi miliardari all’orizzonte

Gaza, la tregua regge tra scambi di prigionieri e aiuti umanitari. La ricostruzione durerà decenni e costerà miliardi

Un po’ di respiro a Gaza. Dopo mesi di conflitto incessante, la Striscia di Gaza torna a vedere un barlume di tregua, e la sensazione, per quanto fragile, è quella di un sospiro collettivo. Israele e Hamas hanno finalmente trovato un accordo che, almeno per ora, permette a camion di aiuti umanitari di entrare e a prigionieri di tornare a casa. Questo rilascio segna l’inizio della prima fase di un lungo processo: nei prossimi 42 giorni, ci si attende il ritorno di altri 33 ostaggi israeliani e la liberazione di 1.890 palestinesi.

Insomma, un passo avanti ma la strada verso una pace duratura è ancora lunga.

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Scambio di prigionieri e aiuti umanitari a Gaza: i numeri della tregua

Nelle prime ore della tregua, 630 camion carichi di beni di prima necessità hanno attraversato i confini. Di questi, 300 si sono diretti nelle zone settentrionali, le più colpite. “Dopo 15 mesi di guerra senza tregua, i bisogni umanitari sono enormi,” ha affermato Tom Fletcher, vicesegretario agli Affari umanitari dell’Onu. È un inizio, ma le necessità restano immense.

Sul fronte umano, il bilancio è altrettanto significativo. Israele ha rilasciato 90 prigionieri palestinesi, tra cui 69 donne, una minorenne, otto ragazzi e 12 uomini condannati per reati minori come incitamento e condotta disordinata. In cambio, Hamas ha restituito tre donne israelianeEmily Damari, Doron Steinbracher e Romi Gonen – accolte a Tel Aviv in scene di commozione profonda. “Hanno attraversato l’inferno, ma oggi passano dall’oscurità alla luce, dalla schiavitù alla libertà” ha dichiarato il premier israeliano Benjamin Netanyahu.

Ostacoli e incertezze: per Hamas manca una persona

Non tutto procede senza intoppi: Hamas ha lamentato che un prigioniero previsto dall’accordo non è stato rilasciato e sta facendo pressioni su Israele tramite mediatori internazionali. Un nodo delicato che, si spera, non comprometta il delicato equilibrio di questi giorni.

E adesso? Il futuro è incerto, ma qualche barlume di ottimismo c’è. Il ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani ha sottolineato che le prossime sei settimane saranno decisive per consolidare questa tregua. “Si potrebbe persino ridare slancio agli Accordi di Abramo,” ha dichiarato il ministro italiano, mentre il presidente eletto degli Stati Uniti Donald Trump ha definito l’accordo “un primo passo verso la pace”.

Tra camion carichi di aiuti, liberazioni di prigionieri e trattative ancora in corso, Gaza vive oggi una tregua che sa di sollievo ma anche di incognita. La pace, se mai arriverà, sarà frutto di negoziati complessi e della volontà condivisa di non tornare indietro. Intanto, i bambini giocano di nuovo per strada e le famiglie, finalmente, guardano il cielo senza temere i droni. Ed è già qualcosa.

La ricostruzione di Gaza: un’impresa titanica

Ricostruire Gaza dopo i devastanti bombardamenti è una sfida immane, sia per l’entità delle distruzioni sia per le risorse necessarie. Con oltre 50,8 milioni di tonnellate di macerie secondo l’Onu ci vorranno 14 anni e circa 1,5 miliardi di dollari solo per rimuoverle, considerando un costo medio di 280 milioni per 10 milioni di tonnellate. Sotto questa montagna di detriti si trovano materiali pericolosi come l’amianto e 7.500 tonnellate di ordigni inesplosi, oltre a resti umani, richiedendo interventi specializzati.

Il Programma di sviluppo delle Nazioni Unite (Undp) stima un costo di 40 miliardi di dollari entro il 2040, mentre proiezioni più pessimistiche, come quella del Rand Corporation, arrivano a 80 miliardi, includendo l’impatto sul mercato del lavoro e sull’economia locale. A questo si aggiunge il nodo politico: chi guiderà Gaza? Mahmoud Abbas si dice pronto a riportare l’Autorità Nazionale Palestinese (Anp), ma molti, come il ministro israeliano Gideon Sa’ar, dubitano della sua capacità. L’ipotesi più plausibile è una gestione temporanea affidata a un comitato internazionale, con il supporto di Stati arabi moderati.

Qatar ed Egitto hanno proposto una conferenza internazionale per coordinare i lavori, mentre gli Stati Uniti, sotto la guida di Donald Trump, hanno escluso un ritorno di Hamas al potere.

Un compito colossale, quindi, che non riguarda solo l’ingegneria e la diplomazia ma anche il destino di oltre due milioni di persone, per anni intrappolate in una delle aree più densamente popolate e sofferenti del mondo.

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