È solo un +0,9%, ma rinfranca l’economia del Mezzogiorno. Diciamolo subito: per ora. Per il secondo anno consecutivo le Regioni del Sud fanno meglio di quelle del Centro Nord che toccano + 0,7%. Il Rapporto Svimez 2024 presentato a Roma è un indicatore storico delle tendenze in atto e quest’anno rivela che nel Mezzogiorno le costruzioni sono state fondamentali nell’ottenimento di quella percentuale di +0,9%. Ma è un “Sud si presta a comodo simbolo del successo della strategia governativa che lo rilancia quale ZES Unica” ha detto il Presidente Svimez, Adriano Giannola. La spesa pubblica con i fondi del Pnrr è stata un motore costante per tutto il 2024. Ma attenzione, siamo davanti a un effetto meteora, perché dal 2025 il Mezzogiorno tornerà a crescere meno del Centro-Nord (+0,7% contro +1,0%) e cosi anche nel 2026. Il direttore generale Luca Bianchi è stato molto chiaro sul punto. Del resto, cosa è accaduto per il reddito delle famiglie meridionali quest’anno? Si è dimezzato: +2,3% nel 2024 contro il +4,5% del 2023.
Tre milioni di lavoratori sottoutilizzati
Nel triennio 2024-2026 gli investimenti del Pnrr da Roma in giù valgono, comunque, 1,8 punti percentuali di Pil contro l’1,6 punti del Centro-Nord. In un anno il numero di occupati è cresciuto di 330 mila unità e nell’ultimo triennio l’occupazione è tornata sui livelli, mai recuperati fino a tutto il 2019, di metà 2008. Ma ci sono comunque 3 milioni i lavoratori sottoutilizzati o inutilizzati. La precarietà è un fenomeno tutt’altro che marginale in comparazione ad altre economie europee. In questo persistono vecchi comportamenti, molto percettibili nella vita di tutti i giorni, come la circostanza che “più di un lavoratore su cinque è assunto con contratti a termine”. Lo scenario è mutevole per la solita somma di fattori ambientali, politici e culturali. Ci sono ambiti in cui bisogna investire se si vuole migliorare : la tutela del territorio, l’ambiente, la sanità, le infrastrutture che i numeri di Svimez lasciano intravedere. A fronte di questo ci sono sacche di povertà che sopravvivono alle politiche di investimento. “Nel Mezzogiorno – dice il Rapporto – si concentra il 60% dei 2,3 milioni di lavoratori poveri italiani che sono circa 1,4 milioni.
Autonomia differenziata per fare cosa?
“L’andamento positivo dell’occupazione non ha impedito l’aumento delle famiglie con persona di riferimento occupata in povertà assoluta ”. Cosa vuol dire? Che il “tengo famiglia” è sopportato da persone che si adattano a lavori di ogni tipo. Un contesto deprimente, aggravato dalla fuga dei cervelli. In questo caso i numeri diventano il rovescio di una medaglia imbrattata. Negli ultimi 10 anni i giovani laureati che hanno lasciato il Mezzogiorno per il Centro-Nord sono quasi 200 mila. Dividiamo il Paese e rendiamo più rapido il percorso Sud-Nord? Cosa può venire dal progetto di autonomia differenziata? Poco o nulla. Il governo ha creato la Zes unica. “Illudersi che la Zes unica possa fare miracoli, con o senza decontribuzione, e con risorse abbondanti per il credito di imposta, è un diversivo pericoloso”, ha detto Giannola. L’idea di autonomia differenziata è, a dir poco conturbante rispetto alle necessità vere di milioni di persone. Sul piano industriale il Mezzogiorno “non è un deserto industriale”. Svimez dice che ci sono settori dove già oggi il peso del Sud è rilevante: agroindustria, navale e cantieristica, aerospazio, edilizia e automotive. Va bene, venga avanti chi vuole mettere soldi propri, purché lo Stato non lo ostacoli in mille modi. Sull’automotive, per esempio, si gioca una sfida europea connessa agli straordinari scenari della mobilità elettrica e sostenibile. Quei veicoli con annessi e connessi per il Sud valgono 13 miliardi di euro. Perché è stato sospeso l’investimento da 2 miliardi per la gigafactory di batterie a Termoli? Ritorna il problema dei capitali in un ambito altamente strategico. I fondi del Pnrr? Ci sono eccome, ma la macchina è lenta. Svimez avanza la proposta di un metodo Pnrr “adattato alle politiche di coesione, che subordini l’erogazione delle risorse al raggiungimento di precisi obiettivi”. Perché, alla fine, ” a nuttata passa”.