Il Consiglio dei ministri ha approvato un decreto che riapre i termini per aderire al concordato preventivo biennale, fissando una nuova scadenza al 12 dicembre. La misura, già adottata in una prima fase fino al 31 ottobre scorso, aveva raccolto adesioni da circa 500mila partite Iva, generando un gettito di 1,3 miliardi di euro, ben al di sotto delle aspettative. Di fronte alle pressioni di commercialisti e forze politiche per ampliare la platea di contribuenti e aumentare i fondi, il governo ha optato per una nuova fase del “concordato bis,” che sarà inserita come emendamento al Decreto fiscale ora in discussione in Senato, accanto alla legge di bilancio. Ecco in dettaglio cos’è, come funziona e chi può trarre vantaggio dal concordato preventivo bis.
Perché si è deciso di riaprire i termini?
Piuttosto che optare per una semplice proroga, che avrebbe potuto rallentare l’impiego delle risorse già raccolte, l’esecutivo ha preferito introdurre una nuova finestra di adesione, mantenendo invariata la tempistica di contabilizzazione. Questo consentirà di utilizzare subito il “tesoretto” del concordato nella manovra, destinando i fondi a finanziare la riduzione dell’aliquota Irpef del secondo scaglione (dal 35% al 33%) già a partire dal 2024. Anche la premier Giorgia Meloni, in un recente incontro con i sindacati, ha ammesso che ulteriori tagli fiscali saranno possibili solo se le risorse della sanatoria supereranno le aspettative.
Raggiungere l’obiettivo fiscale resta però una sfida: sebbene la platea potenziale sia di 4,7 milioni di partite Iva, le adesioni attese sono solo 150mila; con meno di 100mila adesioni, la misura rischierebbe di fallire.
Cos’è e a chi conviene il concordato preventivo?
Il concordato preventivo è una sorta di “patto” con il Fisco che permette ai contribuenti di concordare un imponibile per il 2024 e il 2025, su cui applicare un’imposta sostitutiva ridotta, senza ulteriori accertamenti. L’adesione è riservata a chi ha già presentato la dichiarazione dei redditi entro il 31 ottobre e consente di sanare le dichiarazioni dal 2018 al 2022, pagando aliquote estremamente basse sul reddito evaso, calcolata sulla base del punteggio di affidabilità fiscale (Isa):
- 5% dell’imponibile per i contribuenti con indice Isa pari a 10,
- fino al 50% per chi ha un indice Isa inferiore a 3.
E su questo imponibile si pagherà un’imposta sostitutiva che varia sempre a seconda dell’affidabilità fiscale del contribuente:
- 10% per chi ha un punteggio Isa da 8 a 10,
- 12% per un Isa tra 6 e 8,
- 15% per chi ha un punteggio Isa inferiore a 6.
Per i redditi del 2020 e del 2021, è prevista una riduzione del 30% sull’imposta sostitutiva per tener conto degli effetti della pandemia.
Concordato preventivo bis: come e quando si paga?
Gli acconti devono essere versati entro il 30 novembre (o entro il 2 dicembre, poiché il 30 cade di sabato). Chi aderisce tra il 3 e il 12 dicembre potrà usufruire di un “ravvedimento operoso,” riducendo le sanzioni con un rapido pagamento. Il saldo finale potrà essere versato in un’unica soluzione entro il 31 marzo 2025 (o il 30 novembre 2024 per l’anno d’imposta 2018), oppure dilazionato in 24 rate mensili.
Una misura che si dice “apprezzata”: ma da chi?
“Chi non ha aderito entro il 31 ottobre potrà sfruttare questa nuova finestra,” ha commentato il viceministro dell’Economia Maurizio Leo, che ha presentato la riapertura dei termini come un gesto di ascolto verso professionisti e contribuenti. In un bilancio della prima fase, Leo ha sottolineato come circa 160mila partite Iva, inizialmente con punteggi Isa bassi (tra 1 e 8), abbiano migliorato la propria affidabilità raggiungendo un punteggio Isa di 10. “Abbiamo sottratto molti contribuenti alla sfera dell’evasione, permettendo loro di rientrare nella legalità,” ha dichiarato il ministro.
Resta da vedere se questa “riapertura” raccoglierà fondi sufficienti o se si rivelerà semplicemente una concessione fatta a denti stretti, inseguendo un risultato che appare sempre più incerto. In caso di adesioni insufficienti, il concordato preventivo potrebbe trasformarsi in una concessione inutile, costringendo il governo a rivedere al ribasso le promesse di riduzione delle tasse.