Un intervento veloce, quello di Kamala Harris. Dedicato soprattutto agli elettori indecisi. Un discorso di mezz’ora, non di più, per segnare la differenza tra la sua visione di America e quella di Donald Trump, tra il “Paese della libertà” e “quello del caos”, tra quello che unisce e quello che divide. A meno di una settimana dall’Election Day – il prossimo 5 novembre – Harris, vicepresidente degli Stati Uniti e candidata democratica, ha tenuto il suo comizio di chiusura della campagna elettorale. E più che rivolgersi ai suoi elettori, Harris ha parlato a quelli che ancora non hanno deciso, tra indipendenti e Repubblicani anti trumpiani. “È tempo di voltare la pagina”, ha detto. Non a caso è stato scelto l’Ellisse come punto di chiusura, perché è qui che il 6 gennaio 2021 Trump fece un cupo discorso intriso di violenza, che alimentò la rabbia dei sostenitori, che poi sarebbero andati a Capitol Hill per prendere d’assalto il Congresso.
Harris contro Trump: cosa ha detto la candidata dem
Harris ha voluto lanciare un messaggio di rassicurazione indirizzato ai moderati, ribadito che si occuperà di tagliare le tasse alla classe media, ma anche di affrontare – da ex procuratrice della California – la piaga della criminalità organizzata e dell’immigrazione incontrollata. “Quando sarò presidente – ha promesso – rimuoveremo tutti coloro che saranno entrati qui in modo illegale, ma allo stesso tempo dobbiamo essere consapevoli che siamo un Paese di immigrati”. Harris ha ricordato che difenderà lo stato sociale, le pensioni, la politica per calmierare i prezzi dei farmaci e dei beni alimentari.
Harris contro Trump: cosa non ha detto la candidata dem
Tuttavia, nelle parole di Harris è mancata la politica estera, forse il vero punto debole – assieme all’immigrazione – della sua campagna. Non a caso, la base le chiedeva un messaggio forte sul Medio Oriente, l’annuncio che Harris, una volta eletta, avrebbe imposto la pace a Gaza e fermato il massacro di donne e bambini da parte di Israele, ma non è successo niente di tutto ciò. La vicepresidente non ha parlato affatto della guerra, probabilmente perdendo l’ultima possibilità di conquistare il voto degli arabo-americani in Michigan, uno degli swing state, ovvero Stati in bilico, dove questa comunità è molto popolosa.
Alla fine ha preso corpo un discorso da leader, che ha mostrato una visione di Paese, ma priva di quel colpo a sorpresa in grado di ribaltare anche i sondaggi che nelle ultime tre settimane danno Trump in continua risalita. Se a livello nazionale la vicepresidente è avanti, seppure con meno di due punti, dopo aver avuto un vantaggio di cinque punti ad agosto, negli Stati chiave la situazione è molto a rischio: i due candidati sono testa a testa in Pennsylvania, Michigan, Wisconsin e Nevada, mentre Trump è leggermente avanti in North Carolina, Arizona e Georgia.
Harris contro Trump, sfida al rush finale
Nel mentre l’ex stratega del tycoon, Steve Bannon, si è mostrato molto ottimista, al punto da essere convinto che Trump vincerà come nel 2016. Sull’immigrazione il tycoon continua a picchiare duro e a fare proposte che colpiscono l’immaginazione della gente, come quella presentata in mattinata dal suo resort di Mar-a-Lago di sequestrare gli asset delle gang criminali e dei cartelli di droga, per farne fondi di compensazione per le famiglie delle vittime di crimini. Da questo punto di vista Harris ha continuato a restare su un piano più generale, privilegiando il racconto della sua visione ad atti concreti da realizzare, in caso di vittoria, nei primi giorni del suo mandato. Tuttavia, Harris ha ribadito un punto: come primo gesto firmerà la reintroduzione del diritto federale all’interruzione di gravidanza, tema che ha coinvolto milioni di donne americane. Ma per vincere sarà necessario conquistare anche parte dell’altra metà del Paese.