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Giovani in fuga: l’Italia perde i suoi talenti, ma nessuno ne parla. Dal 2011 oltre 550mila under 35 hanno lasciato il Paese

La fuga dei giovani talenti italiani all’estero è un’emergenza sottovalutata: il Paese perde le sue migliori menti, il debito pubblico cresce e la natalità crolla. È sconcertante come un tema così cruciale rimanga ai margini del dibattito pubblico, mentre l’Italia diventa un deserto di opportunità

Giovani in fuga: l’Italia perde i suoi talenti, ma nessuno ne parla. Dal 2011 oltre 550mila under 35 hanno lasciato il Paese

Un tempo si emigrava con la valigia di cartone, oggi invece ci si sposta con il laptop sotto il braccio. Ma la sostanza non cambia: la nuova emigrazione italiana è un viaggio di andata (e quasi mai di ritorno) che svuota il Paese. Dopo il rallentamento della pandemia, il flusso è ripartito con numeri che fanno paura, simili alle emigrazioni di massa del secolo scorso. Tuttavia, mentre una volta a partire erano contadini e operai in cerca di fortuna, oggi chi lascia l’Italia è ben più qualificato. Ma cosa spinge questi giovani a partire, e quali sono le conseguenze per l’Italia?

Emigrazione giovanile in Italia: un problema quantitativo (e qualitativo)

Secondo uno studio della Fondazione Nord Est “Il deflusso reale è tre volte più grande e alimenta la competitività e la crescita degli altri Paesi europei”, nel periodo 2011-2023 ben 550mila giovani italiani tra i 18 e i 34 anni hanno lasciato il Paese. Il saldo migratorio è tragicamente negativo: -377mila persone. E non basta: le cifre ufficiali sono solo la punta dell’iceberg, perché molti giovani mantengono la residenza italiana pur vivendo all’estero. Insomma, il fenomeno è grande e ben lontano dal risolversi.

La differenza rispetto al passato sta nella qualità dell’emigrazione. Oggi a partire non sono più solo coloro che cercano una via di fuga dalla povertà, ma i più istruiti. Il deflusso maggiore proviene dalle regioni più ricche, come Lombardia e Veneto, dove il tasso di laureati tra i giovani emigrati è in costante crescita: nel 2022 il 48% dei giovani emigrati dal Nord Italia aveva una laurea, in aumento rispetto al 41% del 2021 e al 36% del 2019. E così l’Italia perde persone, capitale umano e, di conseguenza, competitività.

Una favola senza lieto fine

Per anni si è raccontata una sorta di “favola bella” secondo cui l’Italia partecipava, come tutti gli altri Paesi avanzati, alla normale circolazione dei talenti. Una visione rassicurante, che però i numeri smentiscono senza pietà. Questo scambio di persone tra l’Italia e il resto d’Europa non è affatto equilibrato. A partire sono tanti, a tornare pochi. E se guardiamo alla classifica delle destinazioni preferite dai giovani europei, l’Italia si trova all’ultimo posto con solo il 6% delle preferenze, superata persino dalla fredda Svezia (14,1%) e dalla piccola Danimarca (10%). In testa ci sono la Svizzera (34,2%) e la Spagna (31,6%), seguite dal Belgio (27,8%) e dai Paesi Bassi (16,9%). Questi luoghi sembrano offrire quel mix di opportunità lavorative e qualità della vita che l’Italia, per ora, fatica a garantire. E se Francia, Germania e Regno Unito decidessero di condividere i loro dati con Eurostat, l’Italia rischierebbe di figurare ancora più in basso in questo triste ranking.

Talenti in fuga: necessità o scelta?

Ma perché questi giovani italiani decidono di lasciare il Paese? È un interrogativo a cui spesso non si dà abbastanza spazio. Sono stati condotti due studi: uno sui giovani residenti nel Nord Italia, da cui parte la maggior parte degli emigranti, e l’altro sugli expat già stabiliti all’estero.

Gli espatriati possono essere divisi in due grandi categorie: chi emigra per necessità (28%) e chi lo fa per scelta (23%). I primi cercano principalmente migliori opportunità lavorative (26,2%) e una qualità della vita superiore (23,2%). I secondi partono spesso per motivi legati alla formazione (29,6%) o per trovare un ambiente più in linea con i propri valori (11,3%).

Chi torna lo fa per motivi familiari o nostalgia, ma la maggior parte rimane all’estero perché non vede in Italia opportunità per i giovani, né spazi per la crescita professionale. E lo dimostrano i numeri: l’87% di loro giudica positivamente la propria esperienza all’estero. La sensazione dominante è che il nostro Paese offra poche opportunità e non valorizzi abbastanza il talento.

Emigrazione: ecco perché e cosa fanno i giovani talenti all’estero

Tra coloro che partono per necessità, ben tre su quattro hanno trovato un’occupazione stabile, quasi tutti come dipendenti. Curiosamente, quasi la metà di loro ricopre ruoli molto richiesti dalle aziende italiane, come tecnici, operai specializzati o semi-specializzati e lavoratori non qualificati. In termini assoluti, si tratta di oltre 130mila giovani.

D’altro canto, tra quelli che partono per scelta, il 29% si dedica agli studi o alla ricerca, mentre il 68% ha un’occupazione stabile, prevalentemente come dipendenti e, per la maggior parte, come impiegati. Sorprendentemente, quasi il 30% di loro occupa quelle stesse posizioni professionali che sono più ambite in Italia, per un totale di 56mila giovani.

In tutto, stiamo parlando di 186mila giovani all’estero, un dato che mette in evidenza un significativo mis-match ma anche un duplice “spreco”: da un lato, l’Italia forma talenti senza riuscire a trattenerli, e dall’altro, i giovani non trovano nel loro Paese un ambiente capace di valorizzare le loro competenze.

Le priorità di un “buon posto di lavoro”

Interessante notare come, per gli espatriati, lo stipendio è solo uno degli ingredienti della “ricetta” di un buon posto di lavoro, ma non il più importante. Tra le priorità emergono la buona reputazione dell’impresa, la sua apertura internazionale, un ambiente inclusivo, e il contenuto del lavoro stesso. Insomma, per i giovani talenti italiani, il contesto conta più del denaro.

Tra gli altri aspetti apprezzati all’estero ci sono la valorizzazione del ruolo dei lavoratori, l’equilibrio tra vita privata e lavoro, le opportunità di crescita e formazione, e politiche retributive che premiano il merito. Tutti questi ingredienti contribuiscono a rendere più difficile il ritorno in Italia, percepita come una società troppo tradizionale e chiusa.

Perché l’Italia non attira i giovani talenti?

L’Italia appare poco attraente agli occhi dei giovani expat, e questo è evidente in quattro aree chiave

  • Politiche pubbliche: gli espatriati vorrebbero vedere più attenzione alle politiche per i giovani, migliori infrastrutture digitali, politiche per il lavoro e sostegno alla famiglia.
  • Ambiente culturale: meritocrazia e apertura internazionale sono percepite come carenti nel sistema italiano. I giovani cercano ambienti che valorizzino il talento e promuovano scambi culturali.
  • Lavoro: salari adeguati al lavoro svolto e al costo della vita, opportunità in settori innovativi e crescita professionale sono le richieste principali.
  • Tessuto imprenditoriale: i giovani sono in cerca di aziende che non solo siano innovative, ma che dimostrino anche attenzione verso le esigenze dei loro collaboratori, ma in Italia ne trovano poche.

Nella graduatoria finale delle priorità emerge chiaramente la responsabilità degli imprenditori italiani: devono impegnarsi di più per creare un ambiente lavorativo che soddisfi le aspettative dei giovani.

Giovani in fuga: un paese che invecchia e si indebita

Le conseguenze di questa fuga di giovani talenti sono molteplici e tutte negative per il Paese. La natalità è in costante calo, con il 2024 che segna un drammatico abbassamento delle nascite, attorno alle 370mila unità. Questo fenomeno non solo riduce la popolazione attiva, ma contribuisce anche all’invecchiamento demografico, rendendo l’Italia sempre meno competitiva a livello globale. Inoltre, l’emorragia di talenti ha già comportato una perdita di capitale umano di 134 miliardi di euro dal 2011 al 2023: al Nord, la Lombardia ha perso 23 miliardi e il Veneto 13 miliardi, mentre al Sud la Sicilia ha registrato una perdita di 15 miliardi e la Campania 12 miliardi.

Questo disinvestimento umano riduce la competitività economica, con un mercato del lavoro che fatica ad adattarsi ai cambiamenti e a innovare. Le difficoltà nel fronteggiare le transizioni verde e digitale, insieme a una scarsa adattabilità socio-economica, aggravano la situazione. Le imprese investono e innovano meno, mentre la capacità di apprendimento sul lavoro continua a diminuire.

Infine, tutto questo ha ripercussioni anche sulla sostenibilità del debito pubblico. Meno giovani, meno imprese, meno crescita economica: il mix perfetto per rendere il debito una zavorra pesante da sostenere.

La nuova emigrazione italiana è un fenomeno che non può essere sottovalutato. Non è solo una questione di numeri, ma di qualità: il Paese sta perdendo i suoi migliori talenti, proprio quando ne avrebbe più bisogno. Se non si attua un cambio di rotta, c’è il serio rischio che sempre più giovani continuino a immaginare il loro futuro lontano dall’Italia. È inaccettabile che un tema così cruciale per il Paese rimanga in secondo piano, quando dovrebbe essere al centro dell’agenda di ogni policy maker italiano. È ora di affrontare questa realtà e agire, prima che sia troppo tardi.

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