Tassare o no le Big Tech e costringerle a versare un contributo alle società telefoniche per l’uso che fanno delle reti? Vai a capire che cosa ha davvero in mente il ministro del Made in Italy e delle imprese, Adolfo Urso. Due giorni fa il ministro, a leggere Il Foglio, era partito lancia in resta: “Serve un contributo delle Big Tech agli investimenti sulle reti di telecomunicazioni”. La questione si sarebbe potuta risolvere nel Ddl Concorrenza che deve essere approvato dal Parlamento entro l’anno e che farebbe dell’Italia il primo Paese europeo a tosare i grandi gruppi di Internet, Google in testa ma non solo, che delle reti italiane hanno sempre fatto un uso parassitario. Ma il sogno è durato lo spazio del mattino. Scriveva ieri la Repubblica: “Il Governo ci ripensa. Big Tech non pagherà la rete”. E aggiungeva: “Vince Big Tech, perdono le società telefoniche: il contributo a carico dei giganti digitali per l’utilizzo della rete non entra nella legge sulla Concorrenza”. La Camera dei deputati ha ritenuto “non compatibili” gli emendamenti anti-Big Tech che erano stati presentati. “Un stop tecnico – chiosa il quotidiano romano – dietro il quale ci sarebbe un repentino ripensamento del ministro Urso”. Essere o non essere? Urso assomiglia ad Amleto ma forse ancora di più al Re tentenna. Giù dalla torre.
Urso, il ministro come Amleto: tassare o no le Big Tech? Un giorno dice di sì e l’altro giorno fa marcia indietro
Il ministro Urso aveva definito “necessario” un contributo delle Big Tech alle società delle tlc per l’uso parassitario che fanno delle reti. Ma sono bastate 24 ore per innescare la retromarcia. Amleto o Re tentenna?