Condividi

Liste d’attesa nella sanità: che fine hanno fatto le promesse di ridurre i tempi? Quattro mesi di silenzio e disillusioni

Il piano per ridurre i tempi di attesa nella sanità, annunciato ad agosto, sembra essersi arenato. Molti decreti attuativi sono scaduti senza esito, e strumenti chiave come la piattaforma di monitoraggio e il meccanismo “salta code” sono in stallo, mentre le liste d’attesa continuano a crescere

Liste d’attesa nella sanità: che fine hanno fatto le promesse di ridurre i tempi? Quattro mesi di silenzio e disillusioni

Che fine hanno fatto le promesse di tagliare i tempi di attesa nella sanità? È da quattro mesi che non se ne sa più nulla e l’emergenza continua a colpire milioni di italiani costretti a rinviare cure o, peggio ancora, a rinunciarvi del tutto. Mentre il Governo si affanna a far fronte alle aggressioni a medici e infermieri con un decreto-legge recentemente approvato, un’altra emergenza, più vecchia e forse più insidiosa, resta irrisolta: le liste d’attesa. Il piano per abbatterle, presentato con grande clamore il 1° agosto dal ministro della Salute Orazio Schillaci, sembra essersi arenato: mancano tutti i decreti attuativi promessi. Secondo il sindacato dei medici ospedalieri Anaao, su 11 decreti attuativi previsti, ben 6 sono già scaduti senza esito, uno scade a breve e 4 non hanno nemmeno una scadenza precisa.

Il grande mistero della piattaforma nazionale

Uno dei pilastri del piano era la piattaforma nazionale per monitorare i tempi di attesa in tempo reale. Doveva essere pronta entro fine agosto, ma le linee guida per il suo funzionamento sono state approvate solo di recente e si trovano ancora all’esame tecnico della Conferenza delle Regioni. Secondo il ministero della Salute, la piattaforma non sarà operativa prima di gennaio, se non febbraio 2025. Fino ad allora, sarà impossibile verificare quali Regioni rispettano i tempi promessi, rendendo inefficaci le altre misure per ridurre le attese.

Anche il decreto sui poteri sostitutivi resta un miraggio

Un altro decreto cruciale è quello sui poteri sostitutivi dello Stato, che permetterebbe di intervenire nelle Regioni che non rispettano le regole. Inizialmente, questa misura avrebbe conferito al ministero della Salute ampi poteri ispettivi e sanzionatori, persino la possibilità di far scattare arresti nei casi più gravi. Ma le proteste dei governatori hanno portato a un compromesso, lasciando allo Stato il semplice ruolo di subentro senza veri strumenti punitivi. Senza questi poteri, però, l’intero piano rischia di cadere, dato che le Regioni restano controllori di sé stesse. Il decreto avrebbe dovuto essere approvato entro il 7 luglio, ma ancora non c’è traccia di un testo.

Lo stesso vale per il decreto sulla “Classificazione e Stratificazione della popolazione”, uno strumento fondamentale per pianificare le cure in base ai bisogni dei cittadini. Anche questo è scaduto da oltre due mesi.

Liste d’attesa, altre scadenze mancate e nuovi ritardi

Tra le scadenze non rispettate c’è anche la creazione dell’Unità centrale di gestione dell’assistenza sanitaria e delle liste d’attesa (prevista entro il 30 settembre). Per l’individuazione del Rappresentante unico regionale dell’assistenza sanitaria (Ruas), c’è tempo fino al 30 ottobre, ma la scadenza del 31 agosto per la nomina dei Ruas non è stata rispettata. Anche i piani operativi regionali per il recupero delle liste d’attesa, che dovevano essere pronti entro fine settembre, sono ancora in fase di preparazione. In particolare, è saltata la scadenza per la definizione del piano d’azione che avrebbe dovuto potenziare la capacità di erogazione dei servizi nelle Regioni più svantaggiate, parte del Programma nazionale equità nella salute 2021-2027. Infine, misure come l’incremento della spesa per il personale, la definizione del fabbisogno di personale e l’approvazione dei piani dei fabbisogni triennali per il servizio sanitario regionale non hanno nemmeno una scadenza stabilita.

Il “salta code” rimane in stand by

Un’altra grande incognita riguarda il “salta code”, un meccanismo che permetterebbe ai cittadini di accedere a servizi privati o intramoenia nel caso in cui le attese fossero troppo lunghe. Tuttavia, manca ancora il protocollo tra Salute, Mef e Regioni per decidere come utilizzare circa 500 milioni di euro di risorse non spese. Alcune Regioni hanno già dato indicazioni ai Cup, ma altre sono completamente ferme. Giovanni Migliore, presidente di Fiaso, ribadisce che “questo è uno strumento in più per le aziende”, ma mette in guardia: “Intervenire sull’appropriatezza delle richieste è fondamentale. Aumentare le prestazioni non è sinonimo di garantire la salute”.

Un commissario straordinario per le Regioni?

Come anticipato, entro il 30 settembre, le Regioni avrebbero dovuto costituire un’Unità centrale di gestione dell’assistenza sanitaria e delle liste d’attesa, ma finora solo alcune hanno preso l’iniziativa. Tonino Aceti, presidente di Salutequità, esprime la sua frustrazione: “I ritardi nell’adozione dei provvedimenti attuativi della legge sulle liste di attesa sono inaccettabili e insostenibili per i cittadini che ogni giorno devono fare i conti con attese interminabili per le cure”. Se la situazione non cambia, “potrebbe essere necessario pensare a un commissario straordinario per l’emergenza liste di attesa, perché sul diritto alla salute i ritardi non possono essere ammessi”.

I ritardi e l’assenza di misure concrete aggravano un problema che continua a colpire milioni di cittadini, lasciando l’emergenza delle liste d’attesa senza soluzione e minando il diritto alla salute.

Commenta