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Auto green: anticipo della revisione a inizio 2025. Italia e Germania per un fondo sulla transizione

Il ministro Urso avverte: non solo i trattori, presto anche gli operai del settore auto marceranno per protesta su Bruxelles. L’Italia chiede di anticipare la revisione del 2035 per lo stop ai motori termici, denunciando i rischi di dipendenza dalla Cina e la crisi dell’industria automobilistica europea

Auto green: anticipo della revisione a inizio 2025. Italia e Germania per un fondo sulla transizione

Non saranno solo i trattori degli agricoltori europei a marciare verso Bruxelles. Tra breve i palazzi del potere politico europeo verranno assediati anche da migliaia di lavoratori del settore automobilistico che rischiano di perdere il lavoro. Una profezia che si sente di fare il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso che ha trasformato ieri un’iniziativa a Bruxelles della presidenza ungherese sull’automotive nell’era del “Green Deal” in un vero atto di accusa contro la politica della Commissione che si culla in pericolose illusioni e “non prende atto della realtà” del settore automotive.

Perché, sostiene il ministro, “se pensiamo di governare la transizione green senza considerare quella digitale né quella geopolitica, cioè la sicurezza nazionale e l’autonomia strategica europea, finiamo in un burrone”. I dati parlano chiaro: è crollata la produzione delle auto, alcune case automobilistiche hanno annunciato la chiusura di stabilimenti come l’Audi di Bruxelles che non produrrà nuovi modelli con conseguenti licenziamenti di migliaia di operai.

Stop ai motori termici entro il 2035: l’Italia chiede una revisione anticipata

Ecco perché al Consiglio competitività di oggi, giovedì 26 settembre, l’Italia insieme ad altri Paesi a cominciare dalla Germania presenterà un documento informale (“non paper”) alla Commissione europea per anticipare a inizio 2025 l’esercizio della clausola di revisione prevista per il 2026 per lo stop entro il 2035 dei motori a benzina e diesel. Questo, sostiene Urso “nell’assoluta certezza che non possiamo lasciare imprese e consumatori nell’incertezza su cosa fare”.

Il ministro ha avuto colloqui con gli omologhi di Spagna, Repubblica ceca, Austria, Germania. “Domani (oggi per chi legge) – aggiunge Urso – mi incontrerò con i ministri al Consiglio competitività e spero di riuscire a formulare una proposta da sottoporre alla Commissione per anticipare le revisione già prevista per il 2026, ai primi mesi del prossimo anno”. Di fronte ci sono due strade, osserva il ministro: “la strada maestra di confermare obiettivo al 2035 per lo stop ai motori endotermici ma decidendo di realizzare le condizioni necessarie per raggiungerlo; oppure, posticipare il passaggio all’elettrico”. Il ministro conferma di preferire “la prima strada” rendendo però “sostenibile l’obiettivo del 2035” per evitare che siano “gli operai a manifestare a Bruxelles”.

Il rischio della dipendenza dalla Cina nei piani green dell’Europa

In buona sostanza la road map immaginata dalla Commissione non è sostenibile e avrebbe già dimostrato le sue contraddizioni con il crollo del mercato europeo dei veicoli elettrici e la grave crisi delle case automobilistiche europee. Il ministro delle Imprese e del Made in Italy, in un’intervista apparsa ieri sul Financial Times ha messo in evidenza come il divieto dell’Ue ai motori endotermici per le auto a partire dal 2035 ha creato una “grave crisi” per case automobilistiche europee e deve essere urgentemente rivisto anche perché a rischio ci sono centinaia di migliaia di posti di lavoro nel settore automobilistico europeo.

Urso ha ricordato che i veicoli elettrici “costano troppo rispetto ai redditi degli europei e degli italiani” e l’adozione frettolosa dei veicoli elettrici da parte dell’Europa, senza aver prima sviluppato adeguate catene di fornitura nazionali potrebbe lasciare l’Ue troppo dipendente dalla Cina con il rischio di “passare dalla dipendenza dai combustibili fossili russi alla dipendenza da materie prime critiche provenienti dalla Cina, prodotte o lavorate in Cina”.

L’alleanza tra Italia e Germania per un’industria automotive più competitiva

Un alleato importante dell’Italia è la Germania. Ieri il ministro delle Imprese ha avuto un colloquio in videoconferenza da Bruxelles con il vicecancelliere e ministro dell’economia e della protezione climatica, Robert Habeck. I due ministri hanno condiviso la necessità di prevedere un approccio rivolto alla neutralità tecnologica e di prevedere investimenti comuni, pubblici e privati, per il sostegno dell’industria europea a fronte delle sfide globali, come indicato nel rapporto sulla competitività redatto da Mario Draghi. Il ministro tedesco, ha riferito Urso “intende mantenere la data del 2035 per lo stop ai motori a combustione interna ma è disponibile a discutere di tutte le condizioni per giungere a quell’appuntamento con un’industria europea competitiva, discutere su quali risorse, anche risorse comuni, e della neutralità tecnologica come una delle condizioni fondamentali”.

Un Piano quello europeo che, secondo Urso, deve prevedere risorse finanziarie adeguate per accompagnare la transizione industriale con un fondo dedicato, un ambiente favorevole per le imprese con focus sulle Pmi e creare un equilibrio tra politiche verticali e azioni orizzontali.

Urso e l’auto: ricette di ripresa o ingredienti per il disastro?

Non tutti concordano, però, con Urso. Secondo Pasquale Tridico capodelegazione del Movimento 5 Stelle al Parlamento europeo le ricette illustrate dal ministro per rilanciare il mercato dell’automobile “non sono la soluzione e rischiano di aggravare, anziché migliorare, la grave crisi che attraversa il settore e le conseguenze disastrose sull’occupazione. Oggi abbiamo toccato il fondo con solo nel mese di luglio quasi 37 milioni di ore di cassaintegrazione autorizzate, con un aumento del 28% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. A Torino l’aumento è del 49,4% rispetto allo stesso periodo del 2023, numeri che non si vedevano dai tempi del Covid. La metà degli stabilimenti nella filiera automotive italiana è a rischio chiusura”.

Per Giorgio Gori, eurodeputato Pd “le imprese automobilistiche europee, che sull’opzione elettrica hanno investito oltre 250 miliardi di euro, non chiedono di rinviare la scadenza del 2035, ma chiedono che la politica europea acceleri la transizione verso l’elettrico con investimenti e scelte riguardanti tutte le componenti dell’ecosistema: fonti energetiche, produzione europea di batterie e componenti high tech, materie prime, infrastrutture di ricarica”. Gori ha reso noto di avere incontrato, in un’audizione con il gruppo dei socialisti e democratici europei della Commissione Industria, i rappresentanti delle principali case automobilistiche del nostro Continente ma “nessuna di queste ha dimostrato interesse per rivedere la deadline che interrompe la vendita nel 2035 di autovetture con motore termico. Le aziende hanno già investito centinaia di miliardi in quella direzione e non chiedono un cambio di rotta, come invece auspicato dal Governo italiano”.

La posizione di Stellantis: una crisi da trasformare in opportunità

In una nota di ieri, tuttavia, Stellantis dice di “accogliere con favore l’indicazione del ministro Urso di un fondo europeo per sostenere la transizione, identificando nell’accessibilità dei modelli elettrici il principale freno al decollo di questo mercato. Infatti, la produzione di modelli dipende dalla domanda dei clienti, per i quali l’accessibilità è il primo criterio di acquisto: per avere prodotti accessibili è necessario ridurre i costi di produzione, a partire dall’energia. Senza dimenticare la necessità di una spinta culturale forte, senza tentennamenti. Siamo fiduciosi – aggiunge la nota – che la stretta collaborazione con le organizzazioni sindacali e con il governo italiano ci permetterà di trovare soluzioni efficaci e sostenibili per il nostro futuro comune, trasformando questa crisi in opportunità per fare dell’Italia il Paese guida della transizione”.

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