Le nuove regole della legge Capitali “potrebbero minare la competitività del mercato italiano”. Lo dice a chiaramente l’International corporate governance network (Icgn), uno alleanza di asset manager che gestisce circa 77 mila miliardi di dollari, in una dura lettera inviata lo scorso 16 agosto al ministero dell’Economia in cui elenca tutte le criticità del Ddl Capitali, ormai diventato legge, fortemente voluto dal Governo Meloni. Lo scopo del priovvedimento era quello di semplificare le norme e stimolare il mercato dei capitali. Il risultato, secondo gli investitori internazionali, andrebbe esattamente nella direzione contraria, complicando le cose.
Le criticità della legge capitali
Scriviamo” perché “preoccupati per le recenti modifiche legislative, che potrebbero minare la competitività del mercato italiano e ridurne l’attrattività per gli investitori istituzionali. Ci auguriamo che la riforma del Tuf”, il Testo Unico della Finanza, “sia un’opportunità per ripensare alcune di queste misure”, dice a chiare lettere il Ceo dell’Icgn Jen Sisson, un gruppo di gestori patrimoniali che comprende colossi del calibro di Axa Investment Management, Amundi, BlackRock e Franklin Templeton.
Dalla lettera, anticipata dal Financial Times, emergono le criticità sollevate dal network. Le elezioni del board e la presentazione delle liste, il voto maggioritario e, ancora, la possibilità di svolgere l’assemblea esclusivamente tramite un rappresentante designato.
L’elezione del board
“Temiamo che la nuova Legge Capitali renda più difficile la presentazione di una lista di candidati da parte del consiglio di amministrazione in carica e aumenti ulteriormente la complessità del processo”. Non c’è chiarezza sulle modalità di applicazione della norma e forse, i primi chiarimenti arriveranno solo ad aprile, in occasione dell’assemblea di Generali chiamata ad eleggere il nuovo cda. “Difficile capire come funzionerà nella pratica questo sistema”, scrivono i fondi, che poi si chiedono: “Quando e come si svolgerà la seconda votazione (per la lista del consiglio, ndr.)? In che modo gli investitori stranieri, ad esempio, potranno partecipare alla seconda votazione, se la società tiene un’assemblea generale a porte chiuse? Perché la procedura è più vincolante per la lista del consiglio di amministrazione uscente che per quella degli azionisti? Come potranno gli investitori prendere decisioni di voto informate con poca visibilità sulla composizione finale del consiglio?”.
La presentazione delle liste e il voto maggioritario
Il nuovo meccanismo per l’elezione del cda prevede un voto in due step, prima le liste e poi, ottenuto il via libera dei due terzi del board, i singoli consiglieri. Una modalità che, secondo i fondi globali, potrebbe dar vita a consigli d’amministrazione sbilanciati o privi delle competenze specifiche necessarie.
“Temiamo inoltre che questa riforma, con i notevoli ostacoli che crea, scoraggi i consigli dal presentare una lista di candidati”, aggiungono, affermando chiaramente di preferire il vecchio sistema rispetto alla legge Capitali approvata nei mesi scorsi.
Si passa poi al voto maggioritario, definitivo “problematico” perché, come spiega Mf, diluisce la voce delle minoranze. “Può servire a radicare il management e consentire ai fondatori e agli azionisti di controllo di monopolizzare il processo decisionale, mettendo potenzialmente a rischio gli interessi degli azionisti di minoranza”, spiegano i gestori. “In caso estremo, tali strutture creano opportunità di esproprio, con gli azionisti di controllo che ottengono benefici privati a spese degli azionisti di minoranza”.
Infine le modalità di svolgimento delle assemblee, con l’International corporate governance network che raccomanda “che le società prevedano, invece, delle soluzioni ibride per consentire agli investitori di scegliere tra un’assemblea virtuale o dal vivo”.
I fondi globali chiedono un incontro al Governo
Dopo aver invitato il Mef a ripensare alcune delle regole entrate in vigore con la legge Capitali nell’ambito della riforma del Tuf, il network chiede di “incontrare il governo o la task force Tuf per scambiare opinioni sulle misure che possono contribuire a promuovere la competitività del mercato italiano nel rispetto dei diritti degli azionisti”.
Puntuale la risposta di via XX Settembre: “Tutti i temi segnalati da Icgn, come dagli altri stakeholders sono all’attenzione della Commissione che sta lavorando al nuovo Tuf”, ha risposto il sottosegretario al Mef, Federico Freni che rassicura: “In una seconda fase del lavoro il governo garantirà a tutti gli stakeholders tempo e spazi adeguati per essere ascoltati in Parlamento, con l’obiettivo di raggiungere una riforma condivisa”.