Intel l’azienda, beniamina dell’era informatica all’avanguardia nel settore dei chip per computer negli anni ’90 e 2000, come nel film “Sliding doors” ha scelto una strada che poi l’ha portata alle difficoltà attuali: non ha creduto, come altri, agli sviluppi dell’intelligenza artificiale. E ora si ritrova ad arrancare, mentre persino il suo titolo potrebbe essere scalzato da Wall Street per lasciare il posto alla rivale Nvidia che invece ha scelto l’altra strada e ora si trova nell’olimpo dell’Ai. Intel non è sola del resto ad aver fatto quella scelta, ma il percorso è il medesimo: come Intel si ritrovano all’ombra dei grandi anche altri che a quei tempi erano al top. Per esempio, Nokia, Cisco, Blackberry, Motorola.
Intel fuori dal listino?
La brutta notizia più recente di Intel riguarda Wall Street: dopo 25 anni il produttore di chip potrebbe essere rimosso dal Dow Jones Industrial Average a Wall Street. I motivi vanno ricercati nelle altre brutte notizie emerse nelle ultime settimane. A partire dal tonfo di quasi il 60% quest’anno del titolo, registrando la peggiore performance tra le società del listino: la concorrente Amd ha perso meno del 2%, mentre le azioni di Nvidia hanno più che raddoppiato il loro valore quest’anno. Ed è proprio il prezzo delle azioni l’elemento chiave per l’inclusione nel Dow Jones, a differenza dell’indice S&P 500, che tiene conto del valore di mercato.
Il deludente rapporto trimestrale di Intel di inizio agosto, ha innescato un calo del prezzo delle azioni di oltre un quarto del loro valore (-26%), nel peggior giorno di contrattazione dal 1974 dopo che il produttore di chip ha sospeso i dividendi e ha annunciato la riduzione del 15% della sua forza lavoro.
Sliding door: il nodo in quella decisione-chiave del 2018
Quando è stato scoperto il motore a scoppio non erano in pochi a credere che sarebbe potuto essere utilizzato per funzionare carrozze o aziende. Quando è iniziato a circolare internet molti hanno creduto che fosse un vezzo che avrebbe fatto poca strada. Intel, insieme ad altre aziende top del settore, nel 2017 e nel 2018, avevano avuto la possibilità di acquistare una quota di OpenAI, l’allora neonata organizzazione di ricerca senza scopo di lucro che lavorava in un campo poco conosciuto chiamato intelligenza artificiale generativa.
In quell’occasione i dirigenti delle due aziende, secondo una ricostruzione di Reuters, hanno discusso di varie opzioni, tra cui l’acquisto da parte di Intel di una quota del 15% per 1 miliardo di dollari in OpenAi e poi di un ulteriore 15% se avesse prodotto hardware per la startup al prezzo di costo. Dal canto suo OpenAI era interessata a un investimento da parte di Intel perché avrebbe ridotto la sua dipendenza dai chip di Nvidia e avrebbe consentito alla startup di costruire la propria infrastruttura. Ma alla fine Intel ha detto no: l’allora Ceo Bob Swan non pensava che i modelli di intelligenza artificiale generativa sarebbero arrivati sul mercato nel breve periodo, ripagandolo in quel modo l’investimento.
OpenAI, che poi nel 2022 ha lanciato ChatGPT, è ora valutata intorno agli 80 miliardi di dollari, secondo i calcoli del New York Times. Intel è ora surclassata dal rivale da circa 3 trilioni di dollari Nvidia che ha saputo cogliere l’attimo nel settore dei chip spostandosi da quelli per la grafica dei videogiochi (Gpu) ai chip necessari per costruire, aggregare e far funzionare grandi sistemi di Ai generativa come il GPT4 di OpenAI e i modelli Llama di Meta Platforms.
Negli ultimi dieci anni, grazie ad uno sforzo finanziario nell’ordine di 30 miliardi dollari, Nvidia, guidata ora da Hensen Huang, si è trasformata da semplice fornitore di chips (pensati in casa e poi prodotti da altri su licenza) in un’azienda capace di produrre sistemi più complessi dall’A alla Z, compresi i supercomputer. Intanto sempre più spesso i chip di nuova generazione (ne nascono due all’anno) vengono affittati a caro prezzo piuttosto che venduti, garantendo così a Nvidia un grande potere rispetto all’intero sistema digitale.
Per due decenni, invece Intel ha creduto che la CPU, o unità di elaborazione centrale, come quelle che alimentano i computer desktop e portatili, potesse gestire in modo più efficace le attività di elaborazione richieste per creare ed eseguire modelli di intelligenza artificiale
“Quando l’intelligenza artificiale ha preso piede… Intel semplicemente non aveva il processore giusto al momento giusto”, ha affermato Lou Miscioscia, analista della banca d’investimento giapponese Daiwa.
Per la prima volta in 30 anni, la società tecnologica vale meno di 100 miliardi di dollari.
Alla ricerca del chip Ai di successo
L’ex boss del mercato, il cui slogan di marketing “Intel Inside” e che ha rappresentato a lungo il gold standard della qualità, sta ancora lottando per lanciare sul mercato un prodotto di chip AI di successo. Il Ceo di Intel Pat Gelsinger hs detto che il chip Gaudi AI di terza generazione che l’azienda intende lanciare nel terzo trimestre di quest’anno, avrà prestazioni migliori rispetto ai concorrenti. Gelsinger ha inoltre detto che il suo chip AI Falcon Shores di prossima generazione verrà lanciato alla fine del 2025.
Non solo. Gelsinger e il top management del gruppo stanno lavorando a un nuovo piano strategico che potrebbe includere la vendita dell’unità di chip programmabili Altera e anche l’accantonamento del progetto di una super factory da 32 miliardi di dollari in Germania. Intel ha già separato l’attività di fonderia da quella di progettazione e ora vorrebbe offrire unità di elaborazione grafica a prezzi più competitivi rispetto a quelle di Nvidia. Per quest’anno la stima è di circa 4 miliardi di dollari di vendite di chip AI, numeri lontani anni luce rispetto ai 30 miliardi riportati da Nvidia in un singolo trimestre.
Intel e i Quattro Cavalieri dell’era delle dot-com
Intel faceva parte dei Quattro Cavalieri dell’era delle dotcom, insieme a Cisco Systems, Microsoft e Dell. Sul fronte OpenAI, Microsoft è intervenuta effettuando un investimento nel 2019, proiettandosi in prima linea nell’era dell’intelligenza artificiale innescata dal lancio di ChatGPT nel 2022 e da una frenesia di attività tra le più grandi aziende al mondo per implementare l’intelligenza artificiale.
Ma poi c’erano Nokia, SunMicrosystem, Ibm, Blackberry, Motorola,: che non sono salite subito sul primo treno dell’intelligenza artificiale e che ora cercano affannosamente di recuperare ognuno in modo diverso. Altro momento chiave per loro è stato il 2010 quando le società ai vertici della gamma a quei tempi non hanno capito la grande innovazione portata dagli schermi touch di Apple.
Ibm per esempio è stata una delle prime aziende a esplorare l’intelligenza artificiale con il progetto Watson. Anch’essa ha scelto di non investire in OpenAI, focalizzandosi invece su altre aree come il cloud computing. Tuttavia, nonostante i suoi investimenti iniziali, non ha saputo capitalizzare adeguatamente l’IA rispetto a concorrenti più aggressivi e ha attraversato difficoltà economiche e ristrutturazioni nel corso degli anni.
Anche se non specificamente legata all’IA, Nokia è un altro esempio di azienda che ha mancato di investire in una tecnologia emergente, in questo caso il settore degli smartphone, e non è riuscita a competere efficacemente con Apple e Android. Nokia ha anche esitato ad adottare tecnologie avanzate, tra cui l’IA, nei suoi servizi e prodotti, portandola a perdere molte quote di un mercato dovi un tempo era ai vertici. La società ha chiuso il secondo trimestre di quest’anno con una perdita netta di 142 milioni di euro nel trimestre mentre l’utile comparabile è stato di 328 milioni di euro (-20%).
BlackBerry, come Nokia, ha dominato il mercato degli smartphone all’inizio, ma non ha investito in nuove tecnologie, tra cui l’intelligenza artificiale, per migliorare l’esperienza utente e mantenere la competitività. Così ha perso la sua posizione di leader affrontando anni di calo nelle vendite e nelle entrate.
I casi di Google e Amazon
Oltre a Intel, altre grandi aziende tecnologiche, come Google e Amazon, hanno scelto di non investire in OpenAI in modo diretto, almeno nelle fasi iniziali sulla base di priorità aziendali diverse, strategie di investimento differenti o il desiderio di sviluppare internamente le proprie soluzioni di intelligenza artificiale (IA). Google, ad esempio, ha investito molto in DeepMind e nei suoi progetti di IA, mentre Amazon ha sviluppato le proprie tecnologie AI come Alexa e i servizi di AWS per l’apprendimento automatico.