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Beko, ansia per i cinque stabilimenti italiani dopo la chiusura di due fabbriche in Polonia

Beko affronta una crisi senza precedenti con la chiusura di due fabbriche in Polonia e una pesante perdita di utili nel 2024. La multinazionale turca, colpita dalla concorrenza asiatica e dalle guerre sui prezzi nel retail europeo, si confronta con difficili decisioni strategiche, tra cui delocalizzazioni e ristrutturazioni. Nel frattempo, le fabbriche italiane e il futuro dei 5000 dipendenti restano incerti, mentre le politiche green dell’azienda sono messe in dubbio dalle nuove dinamiche economiche e politiche

Beko, ansia per i cinque stabilimenti italiani dopo la chiusura di due fabbriche in Polonia

La prima avvisaglia di quello tsunami appena cominciato con la improvvisa chiusura da parte della Beko di due fabbriche in Polonia (1800 dipendenti) delocalizzando la produzione in Romania e Turchia, è stata la pesante perdita sugli utili – passata sotto silenzio – del primo semestre 2024, annunciata da Arçelik Anonim Sirketi, cioè la Beko, il 30 luglio (con un ritardo di un mese). Lo shock per la multinazionale turca, abituata a utili sempre molto floridi, deve essere stato notevole. Anche perché la velocissima espansione fuori dalla Turchia della Beko, voluta e condotta da Hakan Bulgurlu sulla base di numerose e assai costose acquisizioni, concluse con la impegnativa joint venture con la Whirlpool per la cessione delle attività in Europa, Africa e MO, è andata man mano a coincidere con le progressive e preoccupanti cadute delle vendite europee di majaps, appesantite dalla competizione sul prezzo da parte dei competitor asiatici.

Golden Power, basterà?

Le attese del governo e dei sindacati per le cinque fabbriche italiane e i 5mila circa dipendenti, si stanno rivelando difficili da soddisfare. L’annuncio dell’esercizio Golden Power da parte del Governo, non basterà: come ha sottolineato la CGIL di Ancona, in uno scenario complesso come quello attuale, con una contrazione di volumi che sta diventando strutturale, il semplice impegno a non effettuare delocalizzazioni potrebbe non essere sufficiente. E al sindacato dei metalmeccanici che aveva chiesto di essere coinvolto nel piano industriale la Beko ha risposto negativamente.

I perché della chiusura

Da alcuni anni la dissennata politica di delocalizzazione in Polonia da parte delle multinazionali, non funzionava più. A parte il fatto che il costo del lavoro è salito parecchio, la Polonia è diventata ricca, ha indici di disoccupazione molto bassi, i dipendenti licenziati trovano velocemente sistemazione e ristori. Le sue fabbriche, sovradimensionate, sono diventate poco redditizie perché le tipologie, tutte free standing, restavano da tempo invendute. Tecnicamente, i siti da anni e anni accusavano perdite abissali, in particolare Łódź e Wrocław, perché lavoravano a non più del 20 per cento della loro capacità (in totale arrivavano a solo 300mila majaps) per le errate scelte effettuate dalla Whirlpool. Qui i vertici Usa avevano investito massicciamente per creare la più grande piattaforma europea di elettrodomestici free standing. Esattamente il mega segmento dove trionfa da decenni il made in China di basso prezzo e bassa qualità. E dove quindi i margini, grazie anche alle folli guerre sui prezzi nel settore retail, sono stati distrutti.

Tutto il Free standing europeo a rischio

Quello che è accaduto in Polonia sta accadendo in parte e per alcune tipologie anche negli altri siti produttivi europei. Le vendite del free standing in forte calo hanno progressivamente abbassato capacità e redditività. Il break even di una manifattura arriva quando è attiva per circa il 75% della sua capacità. Da anni ormai il valore e la redditività provengono dagli apparecchi da incasso, segnatamente quelli della cottura e del trattamento dell’aria, che vantano design, personalizzazioni, contenuti di qualità, e la distribuzione professionale dei cucinieri i quali se ne sono ben guardati dall’abbattere i listini. A meno che nei prossimi mesi il recentissimo accordo tra il gigante Midea con Mondo Convenienza per la distribuzione dell’incasso made in China (un misto europeo-cinese di non eccelsa qualità formale e esecutiva) non cominci a erodere anche questo settore.

Acque agitate per il Ceo

Quel piano di riorganizzazione che l’azienda aveva annunciato per settembre non ci sarà o, perlomeno, non ci sarà prima di ottobre e comunque richiederà pesanti aggiustamenti dei siti produttivi italiani. Intanto anche la fabbrica inglese ex Indesit di Yate va verso la cessazione delle attività, peraltro annunciata da tempo. Altra avvisaglia: il brillante e dinamico Bulgurlu, accreditatosi presso la stampa e le istituzioni di Bruxelles come fervente ambientalista, avrebbe incontrato critiche nemmeno tanto velate in patria, all’interno delle aziende della holding. Con una frenata della sua promozione ai massimi livelli della Koç, come invece è prassi tradizionale per i Ceo Arçelik, e come era accaduto al padre Bullent, promosso a Ceo del Gruppo. E comunque, come è avvenuto per la chiusura dei due siti polacchi, tutto viene deciso a Istanbul, esclusivamente dal ristretto vertice famigliare della famiglia Koç.

La frenata europea sul green

Altra frenata, quella agli ambiziosi programmi ambientalisti dell’Europa, provocata dall’avanzata dei populisti-leghisti, che ha inferto un durissimo colpo alle aziende europee impegnate nella assai costosa transazione green ma colpite dalla concorrenza sleale delle multinazionali asiatiche che non hanno su tutti i mercati mondiali vincoli sociali, ambientali, economici e politici di nessun genere. E la Beko, che sotto la direzione di Bulgurlu ha da tempo scelto un percorso di forte impronta green, deve fare i conti con questi cambiamenti.

Per Beko, niente sanzioni alla Russia

La crisi delle vendite dei mercati europei è molto più grave per il settore dei tv e dell’elettronica di consumo, settori dove il gruppo opera anche con il brand Grundig (acquisito dopo il fallimento dell’omonima aziende tedesca). Rispetto ai competitor europei la Beko però può vantare tre asset decisamente strategici e redditizi a partire dalla prolungata e elevata svalutazione della lira turca che favorisce da anni e anni parecchio le esportazioni del Gruppo. Secondo asset la grande capacità produttiva nel settore della climatizzazione, un segmento che è e che sarà in costante crescita. Il terzo asset, la Russia, è ancora più favorevole e ancora una volta penalizza le aziende europee colpite dalle sanzioni volute dagli Usa. Né la Bosch né l’Electrolux sono più presenti nel grande mercato russo e in quelli dei numerosi paesi russofoni, che vantano economie in forte crescita. La Turchia non ha mai accettato di sottoporsi al diktat Usa e di conseguenze le aziende turche – compresa la Beko – operano su quei mercati senza nessun limite. Un vantaggio gigantesco. Per questo Arçelik nel 2022 aveva sborsato oltre 220 milioni di dollari per le due fabbriche russe ex Indesit ed ex Whirlpool, dotate di una capacità di 2,8 milioni di devices tra frigoriferi e lavatrici ai primissimi posti su quel mercato.

13 anni di acquisizioni

Da oltre dieci anni la crescita accelerata della Beko in Europa, MO e in Asia e i debutti ottimi nelle Americhe, hanno alle spalle una serie molto costosa di acquisizioni, sostenute peraltro da una holding tra le più ricche del panorama mondiale. Acquisizioni e aperture di hub che i rallentamenti delle vendite globali cominciano a insidiare. Ecco un sintetico elenco delle operazioni più importanti.

  • 2011: Acquisizione di Defy, n.1 degli elettrodomestici e clima in Sud Africa, per 230 milioni di dollari, e successiva espansione in Africa
  • 2016: Thailandia, nuovo sito da 100 milioni di dollari
  • 2016: Acquisizione di Dawlance, n.1 in Pakistan, per 258 milioni di dollari
  • 2017: Romania, nuovo sito lavabiancheria da 100 milioni di dollari
  • 2017: India, joint con Voltas della multinazionale Tata per una nuova fabbrica di frigoriferi da 100 milioni di dollari
  • 2019: Acquisizione di Singer, leader in Bangladesh, per 75 milioni di dollari
  • 2020: Acquisizione del 60% di Hitachi Appliances per 350 milioni di dollari e successiva espansione in Asia
  • 2021: Acquisizione delle unità di refrigerazione e lavaggio di Whirlpool Global Holdings
  • 2021: Acquisizione dello stabilimento di frigoriferi a Manisa (Turchia) da Whirlpool per 78,3 milioni di euro
  • 2022: Acquisizione delle due manifatture ex-Indesit e ex-Whirlpool in Russia per 220 milioni di euro
  • 2022: Egitto, avvio della costruzione del secondo stabilimento per un investimento di 100 milioni di dollari
  • 2023: Acquisizione delle attività di Whirlpool in Medio Oriente e Africa per 20 milioni di dollari
  • 2024: Perfezionamento della transazione tra Whirlpool Corporation e Arçelik per la cessione del 75 per cento di Whirlpool EMEA per 750 milioni di euro alla società turca

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