Pavel Durov, il visionario e controverso fondatore e ceo di Telegram, si trova attualmente in una posizione delicata e sorvegliata. Dopo 96 ore di detenzione provvisoria, la procura di Parigi ha annunciato ieri sera che il top manager, arrestato sabato scorso all’aeroporto di Le Bourget, è stato rilasciato, ma solo dopo aver sborsato una cauzione di 5 milioni di euro. Le condizioni del rilascio sono particolarmente severe: divieto di espatrio e deve presentarsi due volte a settimana al commissariato. Il procuratore di Parigi, Laure Beccuau, ha confermato che il giudice ha ritenuto sufficienti i motivi per avviare un’inchiesta formale su tutte e 12 le accuse che hanno portato alla sua detenzione. Le accuse includono sospetti di complicità nella gestione di una piattaforma per transazioni illegali, pornografia infantile, traffico di droga e frodi. Inoltre, il miliardario russo è accusato di non aver collaborato con le autorità, di riciclaggio di denaro e di aver fornito servizi crittografici a criminali.
E non è tutto. Durov è anche indagato per presunti abusi violenti verso uno dei suoi figli, nato nel 2017. La denuncia sarebbe stata presentata da Irina Bolgar, ex compagna di Durov con la quale ha avuto tre bambini tra il 2013 e il 2017. Inoltre, pende un mandato di arresto anche sul fratello Nikolai.
L’ipocrisia di Mosca sul caso Durov
Questi sviluppi hanno scatenato un vero e proprio terremoto, attirando l’attenzione internazionale su Durov e la sua app. Il 39enne russo, residente a Dubai e con una collezione di passaporti che farebbe invidia a James Bond, ha sempre ritratto Telegram come un bastione della privacy e della libertà di comunicazione. Tuttavia, la reale sicurezza dell’app è stata spesso messa in discussione dagli esperti, che da tempo dibattono sulle effettive protezioni offerte dalla piattaforma.
L’arresto di Durov ha innescato una valanga di reazioni a livello globale. Elon Musk, sempre pronto a prendere posizione su temi legati alla libertà di espressione, ha lanciato dure critiche alla Francia, accusandola di minare i principi fondamentali di free speech che dovrebbero essere tutelati in ogni democrazia. Dall’altra parte, il governo russo non ha perso l’occasione per strumentalizzare la vicenda, definendo il fermo di Durov un chiaro esempio di processo politico. Mosca ha ricordato come il magnate russo sia stato costretto a lasciare la Russia proprio a causa delle pressioni del regime, presentandolo ora come una sorta di vittima del gioco di potere internazionale.
Tutti i misteri del caso Durov: dagli incontri con Macron ai rapporti con la Russia
Ma c’è di più: il Wall Street Journal ha rivelato che nel 2018 il presidente francese Emmanuel Macron avrebbe invitato Durov a trasferire la sede di Telegram a Parigi, offrendogli anche la cittadinanza francese. Il top manager ha rifiutato l’offerta, e così la società è rimasta a Dubai. L’Eliseo ha confermato che ci sono stati solo pochi incontri tra Macron e Durov e che il riconoscimento di Durov come “straniero emerito” per aver “contribuito allo splendore della Francia” era noto, ma non ha avuto seguito. Questo riconoscimento ha sollevato interrogativi, soprattutto considerando il rifiuto di Durov di trasferire la sede.
Fonti vicine all’inchiesta hanno rivelato che nel 2017 il fondatore di Telegram fu coinvolto in un’operazione di spionaggio chiamata “Purple Music”, organizzata dai servizi segreti francesi in collaborazione con quelli degli Emirati Arabi Uniti, dove ha sede Telegram. L’operazione è stata condotta per monitorare l’uso della piattaforma da parte di vari gruppi, tra cui dimostranti pro-democrazia, dissidenti, militanti islamici, trafficanti di droga e criminali informatici.
Inoltre, è emerso che, contrariamente a quanto dichiarato dal ceo riguardo al suo esilio dalla Russia, egli ha visitato il suo paese natale oltre 60 volte dal suo allontanamento. Alcuni ritengono che Durov sia andato in Francia proprio per evitare arresti in aeroporti con minori garanzie legali.