Condividi

Trump, la Corte Suprema Usa lo ha difeso a spada tratta pur di garantirgli la vittoria: scelta antiamericana e di convenienza politica? Sì, ecco perché

La Corte Suprema Usa ha difeso Trump, concedendogli una “vasta” immunità presidenziale, nonostante le gravi accuse di manipolazione elettorale e incitamento all’assalto al Campidoglio. Una decisione criticata per il suo impatto sui principi fondamentali di giustizia e uguaglianza

Trump, la Corte Suprema Usa lo ha difeso a spada tratta pur di garantirgli la vittoria: scelta antiamericana e di convenienza politica? Sì, ecco perché

La Corte Suprema degli Stati Uniti, come appariva molto probabile già due mesi fa, ha deciso a maggioranza, sei o meglio cinque e mezzo su nove, di difendere Donald Trump a spada tratta. Non ha esitato quindi a cambiare di fatto la Costituzione degli Stati Uniti pur di coprire con una immunità presidenziale assolutamente smisurata il ruolo dell’ex presidente nel tentativo di cambiare i risultati elettorali del 2020 con la frode e la violenza. Vedasi l’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021 da lui istigato e le minacce al vicepresidente Mike Pence, convinto che il risultato del voto fosse sostanzialmente corretto. Per non aggiungere le continue, quotidiane anche oggi, menzogne su presunti brogli 2020 mai dimostrati in oltre 60 cause legali tutte perdute, e il continuo appello ai rivoltosi del Campidoglio come patrioti ed eroi massacrati da una giustizia “corrotta”: a centinaia sono stati condannati a varie pene, alcune anche pesanti.

La Corte Suprema con un lungo e leguleico responso si è arroccata il 1° luglio scorso su una concezione decisamente antiamericana, da sovranità regale insindacabile di modello seicentesco europeo, dell’immunità presidenziale e si è confermata pronta a tutto pur di garantire la vittoria di Donald Trump fra quattro mesi. Brevemente, vediamo come lo ha fatto, e cerchiamo di spiegare le ragioni profonde, al di là di una personale preferenza dei giudici conservatori (sei su nove) per il partito repubblicano, di questo comportamento moralmente molto discutibile, giuridicamente contorto, storicamente non americano.

Corte Suprema e Trump: quando la legalità diventa una questione di convenienza politica

La debolezza morale del tutto deriva dall’evidente, plateale tentativo di Donald Trump, quattro anni fa, di stravolgere la volontà degli elettori che avevano assegnato la vittoria a Joe Biden. In particolare, due interventi presidenziali già subito noti all’opinione pubblica sono stati poi ampiamente dimostrati dall’indagine parlamentare prima, e dall’azione penale poi. Trump, ancora in carica dopo il voto e fino al passaggio della consegna a metà gennaio del 2021, chiedeva al suo ministero della Giustizia di dichiarare nullo il voto per eccesso di brogli in modo che poi “io e i parlamentari repubblicani” potessero risolvere la questione al Congresso. Lo stesso Trump esercitava fortissime pressioni sul suo vice Mike Pence che, nel ruolo costituzionale di presidente del Senato che spetta al vicepresidente, stava certificando i risultati ufficiali trasmessi al Congresso da tutti i 50 Stati (nel complesso sistema americano non è direttamente il voto del popolo, ma sono gli Stati che sulla base del voto eleggono il presidente) . E poi Trump, il mondo intero lo ha visto in tv, incitava la folla che poco dopo attaccava il Campidoglio, sfondava porte e finestre, gridava “impicchiamo Pence, impicchiamo Pence”. Ora sono patrioti ed eroi e vanno legalmente perdonati ed è una delle prime cose che farà, Trump ha detto e ripetuto, sicuro della vittoria esattamente perché sicuro di avere vinto anche nel 2020 e di essere stato defraudato. Biden? Un usurpatore ha detto più volte.

Che cosa dice ora la Corte Suprema?

Fa una distinzione tra comportamenti ufficiali e comportamenti privati del presidente, questo il perno. Sui primi decreta una immunità totale. Sui secondi, ma a certe condizioni, anche il presidente è sottoposto alla legge. Vuol dire che cercare di stravolgere un risultato elettorale fa parte delle prerogative ufficiali di un presidente? Vuol dire che il suo interesse personale non c’entra ed è stato tutto nell’interesse del Paese? Secondo la maggioranza della Corte Suprema, che su questo ovviamente non risponde, di fatto sì, e per garantire il tutto avvolge ogni decisione presidenziale, ogni rapporto tra il presidente e ciascun ministero agenzia o servizio, di un alone sacrale, non giuridico e quindi con le responsabilità che questo comporta, ma sacrale, per cui nessun inquisitore potrà mai utilizzare come prova d’accusa l’ordine o la richiesta del presidente o la risposta ottenuta. Si sa benissimo che cosa Trump chiedeva alla Giustizia e a Pence nel dicembre-gennaio di quattro anni fa, ma non ha valore di prova, l’immunità lo impedisce. Bisogna risalire a Carlo V a Luigi XIV o ai re britannici prima di Cromwell per trovare qualcosa di simile, perché in Europa tale sacralità già a metà Ottocento ampiamente scricchiolava.

L’immunità presidenziale: un privilegio o un abuso di potere?

Il tutto è stato fatto dalla Suprema Corte in una brodaglia di ambiguità e ipocrisia asfissianti. La giustificazione è che occorreva definire una volta per tutte, “per le generazioni future”, i contorni del potere presidenziale, un unicum che pone l’uomo della Casa Bianca su un terreno ben diverso da quello di un comune cittadino (certo, ma non al di sopra della legge, è stato detto finora). Quindi, si vola nei piani alti del diritto, pare. In realtà la Corte ha sguazzato nella melma del diritto, perché il tutto è servito a garantire e a giustificare “nobilmente” il rinvio sine die della causa legale intentata dal ministero della Giustizia contro Trump per i fatti del gennaio 2021. Il dossier torna alla Corte federale distrettuale di Washington, ma non per una rapida conclusione. Il giudice di Washington dovrà, caso per caso, e così gli ordina la suprema magistratura, garantendo si esplicita tutti i diritti della difesa, vedere dove l’accusa può avere spazio e dove invece la distinzione tra ruolo ufficiale e ruolo privato blocca ogni azione. Dove cioè il presidente non è più attaccabile, anche se ha ordinato l’eliminazione fisica di un rivale e il comandante dei corpi speciali che ha eseguito l’ordine è pronto a testimoniare. Il lavoro certosino del giudice federale di Washington finirà, se finirà, nel 2025 inoltrato e Trump, che la Corte Suprema vede allora tranquillamente alla Casa Bianca, potrà autoperdonarsi e chiudere il tutto.

Questa è l’America del 2024, e c’è da chiedersi se è ancora America, dato che quel Paese è nato non da un sangue comune e nemmeno da una storia comune ma da una legge comune, basata prima di tutto sul principio dell’uguaglianza di tutti di fronte alla norma suprema e sulla negazione di ogni superiore autorità regale.

Perché siamo arrivati a questo?

Non si può qui neppure accennare alla complessa rete del pensiero della destra americana che soprattutto dagli anni 30 e poi ancora dagli anni 50 ha difeso una sua visione nazionalista, antieuropea spesso, anticomunista naturalmente ma in modo disordinato e inefficace, e di fedeltà a un passato di purezza ideologica sospettosa dei nuovi arrivati. Trump ha avuto dei precursori, due in particolare. Newton Gingrich, che alla Camera ha radicalizzato 30 anni fa metodi e parole d’ordine dei repubblicani e distrutto la un tempo nutrita compagine dei repubblicani liberal. Gingrich è oggi un ardente alleato di Trump. E poi Pat Buchanan, isolazionista, che ha idealizzato un passato al quale tornare. Un episodio però ha alla fine coalizzato una sufficiente massa elettorale di “esclusi”, la crisi finanziaria del 2008, peggiore per alcuni aspetti di quella del 1929, anche se fronteggiata con enormi risorse federali. Anche di recente, e anche in Italia, questo fatto è stato ricordato. Ma quello che quasi mai viene detto è che, a fronte delle pesanti conseguenze per la gente comune, a partire dai mutui impazziti, l’amministrazione di Barack Obama non fece molto per le famiglie mentre salvò Wall Street e non mandò di fronte alla giustizia penale neppure un banchiere. Basti citare un episodio, quello del cramdown, il tentativo cioè di far passare nel 2009 una norma che obbligasse le banche a calmierare i mutui, come promesso in campagna elettorale. Obama aveva fatto discorsi chiarissimi e forti nei giorni della crisi, settembre 2008, promesso un sano populismo progressista contro chi aveva truccato la finanza. Ma il cramdown fu sconfitto al Senato, osteggiato dal Tesoro di Obama, e dal presidente non venne una parola di rammarico. “Le banche sono ancora la lobby più potente a Capitol Hill”, commentò il senatore democratico Dick Durbin, che aveva guidato la battaglia, “francamente, comandano loro”. È noto da tempo che fu Wall Street, in primis, a finanziare nel 2008 l’elezione di Obama.

Per quanto personalmente assai poco credibile, Trump è stato il presunto populista di destra che ha capitalizzato su tutto questo. Non bisogna sottovalutare un fatto: sulle circa 3200 contee americane, 700 che avevano votato Obama nel 2008 votarono Trump nel 2016. Erano gli insoddisfatti, i più esposti alla concorrenza degli immigrati, i blue collars con il posto di lavoro a rischio, i semi esclusi insomma dalla gran torta del benessere americano. Con in più gli acculturati delle varie destre, di cui sei giudici della Corte Suprema sono espressione. Una, l’ultima nominata, la docente universitaria Amy Coney Barrett, tende a distinguersi in parte dai cinque, non rinuncia a qualche obiezione probabilmente per pudore, ma vota con loro.

Che succede ora?

Strada spianata per Donald Trump. Grave crisi dei democratici perché le condizioni di Joe Biden sono precarie ed è difficile vederlo in grado di contrastare davvero Trump. Nel dibattito del 27 giugno ha avuto almeno quattro occasioni, ma non la lucidità per infilzarlo, quando Trump lo accusava di essere “il peggior presidente” e avrebbe dovuto dirgli qualcosa del tipo “ma guarda che quello che ci ha fatto fare la figura della repubblica delle banane sei stato tu il 6 gennaio del 2021”. Che faranno i democratici? È un vero peccato, perché se da un lato la Corte Suprema ha aiutato brutalmente Trump, dall’altro l’enormità del suo leguleismo sta convincendo molti indipendenti a votare in senso opposto. Ma per chi? Mantenere Biden ha chiari rischi, ma sostituirlo anche.

Sarà una campagna carica di colpi di scena. Noi europei non siamo solo spettatori. Trump ha ricordato il 27 giugno che tra l’America e l’Europa esiste un grosso oceano, ed è nota la sua posizione (anche Franklin Roosevelt era di questa idea, si badi bene, fin quasi agli ultimi giorni di vita) per cui l’Europa è piuttosto un affare della Russia che degli Stati Uniti, se gli europei non vogliono sbrigarsela da soli. L’antiamericanismo diffuso in Europa e in particolare in Italia potrà gioire di una (per ora teorica) vittoria di Trump, per motivi diversi a destra e a sinistra ma comunque gioire. Arriverebbero però presto vari gravi motivi di riflessione. Sono 80 anni che le due sponde dell’Atlantico sono strettamente legate, e aldilà di tutte le masturbazioni mentali si fatica a trovare qualcuno che possa sostenere che questi 80 anni sono stati i peggiori della nostra vita.

Commenta