La scena politica europea è in fermento. I leader dei 27 Stati membri dell’Unione europea si riuniscono a Bruxelles per una cena informale, fondamentale per definire le figure chiave che occuperanno la presidenza della Commissione, del Consiglio europeo, del Parlamento e il ruolo di Alto rappresentante per gli Affari esteri. Giorgia Meloni, Ursula von der Leyen, Emmanuel Macron e Olaf Scholz sono al centro di una complessa partita di potere, ciascuno con strategie e obiettivi ben definiti.
Sebbene la nomina formale avverrà durante il Consiglio europeo alla fine del mese, l’incontro di stasera è decisivo per stabilire il consenso sui candidati. Mentre il Ppe sostiene la riconferma della maltese Roberta Metsola per il Parlamento, l’ex premier portoghese António Costa, favorito per il Consiglio europeo, deve affrontare un’indagine in corso sul suo ex capo di gabinetto. Per il ruolo di Alto rappresentante per gli Affari esteri, destinato ai liberali, è candidata la premier estone Kaja Kallas, sebbene alcune nazioni la trovino troppo critica verso la Russia.
Raggiungere un accordo oggi permetterebbe a von der Leyen di iniziare a lavorare sul programma e di avviare negoziati con le delegazioni parlamentari in vista del voto previsto per il 18 luglio. Ma la partita è complessa.
La battaglia di Ursula von der Leyen per il secondo mandato
Ursula von der Leyen, appartenente al Partito popolare europeo (Ppe), è consapevole delle sfide che la attendono per essere riconfermata presidente della Commissione europea. Deve superare due importanti ostacoli: ottenere la maggioranza qualificata dai leader della Ue e il voto favorevole di almeno 361 dei 720 eurodeputati al Parlamento europeo. Il percorso inizia con una cena informale questa sera, seguita dalla formalizzazione nel Consiglio europeo alla fine del mese. Il secondo passo cruciale sarà il voto in plenaria a Strasburgo il 18 luglio, dove von der Leyen avrà bisogno di un ampio sostegno.
I socialisti hanno posto una condizione: evitare l’inclusione dei Conservatori dell’Ecr, tra cui Giorgia Meloni, e vorrebbero invece avviare una trattativa con i Verdi. Mentre i popolari hanno un approccio opposto: rifiutare la collaborazione con i Verdi e aprirsi a tutti o a parte dell’Ecr, inclusi Fratelli d’Italia (con 25 eletti). Il possibile sostegno dei Verdi, che controllano 52 seggi, potrebbe far salire i voti a favore di von der Leyen fino a 458. Tuttavia, l’esito del voto segreto è incerto, con possibili “franchi tiratori” nel Parlamento europeo che potrebbero mettere a repentaglio la maggioranza prevista. E quindi ogni alleanza è cruciale. Von der Leyen cerca di evitare sorprese, considerando che cinque anni fa perse circa 80 voti per via di franchi tiratori e del voto segreto. Questa volta, Meloni potrebbe essere l’alleata chiave per raggiungere la maggioranza necessaria, sebbene il Ppe sia il primo gruppo in Parlamento e i socialisti il secondo, entrambi indispensabili per il successo, e che hanno già ampiamente esposto il loro dissenso.
Motivo per cui l’inquilina di Palazzo Berlaymont sta gestendo le trattative con i suoi interlocutori in modo separato. Durante il G7, ha avuto un primo scambio riservato con Meloni, ma deve ancora assicurarsi il suo pieno appoggio. Durante lo stesso summit, von der Leyen ha incontrato anche Macron e Scholz, un incontro che ha infastidito Meloni, soprattutto per la scelta di tenere la riunione a Borgo Egnazia, in Puglia, quasi come se stesse “tramando a casa sua”. Il cancelliere tedesco ha aggiunto tensione definendo Meloni come “all’estrema destra dello spettro politico” e proponendo una maggioranza che includa popolari, socialisti e liberali. Tuttavia, questa coalizione raggiungerebbe solo 406 voti.
Le mire di Giorgia Meloni sui vertici dell’Europa
Meloni si trova davanti a un bivio: tentare di aggregarsi alla coalizione Ursula, strappando importanti concessioni, oppure optare per un azzardo sovranista, mettendosi di traverso e rallentando un accordo lampo su von der Leyen.
Uno scenario ideale per Meloni sarebbe quello di ritardare le decisioni sui top job fino a dopo le elezioni legislative francesi, sperando in una vittoria del Rassemblemant national di Marine Le Pen che indebolirebbe ulteriormente Macron. In tal caso, la premier italiana potrebbe favorire soluzioni diverse per la guida della Commissione. Se invece Macron dovesse prevalere, Meloni potrebbe chiedere un portafoglio di peso in cambio del suo appoggio.
Oltre a Roberto Fitto, scartato per la reticenza di aprire un rimpasto ministeriale, è stata avanzata l’ipotesi di Elisabetta Belloni, capo dei servizi e sherpa del G7, il cui profilo potrebbe adattarsi all’Alto rappresentante per gli affari esteri, anche se non è tra le prime scelte. I ruoli più ambiti rimangono quelli economici, come la Concorrenza e il Mercato interno, attualmente occupati da rappresentanti di Danimarca e Francia. L’obiettivo per Meloni sarebbe garantire un portafoglio di rilievo per l’Italia nella nuova Commissione, possibilmente anche una vicepresidenza esecutiva, sebbene ci sia la necessità di un profilo tecnico per ruoli come la Concorrenza, ancora da designare.
Scholz, Sanchez e Macron: il fronte anti-Meloni
Ma l’intesa tra von der Leyen e Meloni è gravata dall’ombra di Francia, Germania e Spagna. Il cancelliere tedesco Olaf Scholz e il premier spagnolo Pedro Sanchez – entrambi esponenti del partito socialista – insieme al presidente francese, Emmanuel Macron, pur essendo liberale, hanno manifestato la loro netta opposizione a qualsiasi coinvolgimento delle forze sovraniste nel futuro assetto istituzionale della Ue. In breve, von der Leyen deve interrompere qualsiasi dialogo con Giorgia Meloni e l’Ecr, e deve farlo pubblicamente, altrimenti rischia di perdere il loro cruciale sostegno.
Considerando che la designazione del presidente della Commissione europea deve essere approvata a maggioranza dal Consiglio europeo, con un quorum di Paesi rappresentanti almeno il 65% della popolazione Ue, l’assenza di sostegno da parte di Germania, Francia e Spagna potrebbe cancellare completamente i margini di von der Leyen.
È chiaro che Francia e Germania sono motivate a concludere la questione senza concedere legittimità all’estrema destra: Macron affronta Marine Le Pen come un nemico interno in vista delle elezioni anticipate, mentre Scholz deve affrontare la crescente presenza dei neonazisti dell’Afd. Dall’altra parte, l’Italia cerca un riconoscimento per la sua coalizione di destra, cercando di superare il tradizionale “cordone sanitario” contro l’estrema destra nelle istituzioni europee.
Meloni non ha più scuse sulla ratifica del Mes
Oltre alle complesse trattative per le nomine chiave dell’Unione europea nella prossima legislatura, Giorgia Meloni deve affrontare numerosi nodi cruciali nel suo rapporto con Bruxelles. Uno di questi è certamente il Meccanismo europeo di stabilità (Mes). Con il voto concluso, termina la campagna elettorale, eliminando ogni scusa per procrastinare la ratifica della riforma del “Salva Stati”. Giovedì 20 giugno si terrà il board dei governatori del Meccanismo europeo di stabilità, con focus sulle priorità e sul report sugli strumenti di assistenza finanziaria. Non è previsto un punto all’agenda riguardante la ratifica mancante da parte dell’Italia del Mes, respinta dal Parlamento italiano lo scorso 21 dicembre, ma ci si aspetta che al ministro Giancarlo Giorgetti vengano poste domande in merito. Con venerdì che segna il passaggio dei sei mesi necessari prima che un progetto di legge respinto possa essere ripresentato alle Camere, la questione sarà di nuovo sul tavolo.