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Matteotti, cent’anni dopo l’assassinio fascista: “Un eroe civile che oggi è un monito anche per la sinistra”. Parla Concetto Vecchio

Nel libro “Io vi accuso” dedicato a Giacomo Matteotti, il giornalista Concetto Vecchio racconta il rapporto che c’è oggi tra il Paese e il deputato socialista assassinato per mano fascista nel 1924: “Il senso è soprattutto quello di una rimozione molto forte di un trauma pubblico ma anche di un trauma privato”

Matteotti, cent’anni dopo l’assassinio fascista: “Un eroe civile che oggi è un monito anche per la sinistra”. Parla Concetto Vecchio

Cinquant’anni fa, nell’Italia delle stragi neofasciste ma anche del via libera al divorzio, per celebrare la figura di Giacomo Matteotti e ricordarne l’assassinio per mano fascista – accadde il 10 giugno 1924 – fu pubblicato un solo libro: era una biografia e a scriverla fu lo storico Antonio Casanova. Oltre al libro, fu prodotto anche un film diretto da Florestano Vancini: Il delitto Matteotti. Protagonista l’attore Franco Nero. Quest’anno, in occasione del centenario, l’Italia è un Paese profondamente diverso e, forse a sorpresa, i libri disponibili sono già 28. Uno più degli altri, secondo Aldo Cazzullo e Liliana Segre, merita attenta lettura. Si intitola Io vi accuso – Giacomo Matteotti e noi (Utet) e l’autore è Concetto Vecchio, giornalista di Repubblica. Uno che per documentarsi gira ancora col taccuino in tasca.

Vecchio, quest’anno il 10 giugno cade all’indomani delle Europee. Proviamo a calare Matteotti nell’attualità: che cosa rappresenta la sua storia nell’Italia di oggi?

“Il primo valore è dato dal fatto che Matteotti è stato uno strenuo difensore della democrazia, del Parlamento, dello Stato di diritto e della scuola pubblica in un modo appassionato: oggi questi valori sono super attuali e decisamente necessari. Il secondo valore è che in lui c’è una lezione di moralità politica perché affrontare così, a viso aperto, una dittatura non è affatto da tutti: ciò è un esempio alto, grande, di idealità non comune. Il terzo valore, a mio avviso, sta nell’essere stato un uomo di sinistra molto concreto e particolarmente attento alla questione delle diseguaglianze. Infatti ha veramente cambiato il destino delle donne e degli uomini del Polesine che lui ha realmente istruito ed educato: ha dato loro responsabilità, ha organizzato le leghe e loro lo hanno osannato e votato anche quando lui non era più lì. Matteotti era un vero uomo di sinistra, attento alle ragioni degli ultimi in una maniera molto fattiva”.

Rappresenta quindi un monito per la sinistra?

“Il problema della sinistra oggi è il suo rapporto con gli strati popolari, con le diseguaglianze: il rapporto con i ceti storici della sinistra è sostanzialmente perso. Abbiamo il 40% degli italiani che non va più a votare e molti di questi sono fragili, precari o elettori ormai del tutto indifferenti. Quella di Matteotti è una lezione attuale. E sì, c’è un monito per la sinistra molto forte”.

E per la destra invece?

“La destra non riesce a fare i conti con il proprio passato. Mi colpisce che la frase pronunciata dalla premier Giorgia Meloni ma, di fatto, tirata fuori con la tenaglia – Matteotti fu “ucciso da squadrismo fascista” – sia stata notizia da prima pagina: ha detto un’ovvietà. Questo spiega, più di tante altre cose, che tipo di rapporto ancora oggi la destra abbia col fascismo. Sa che il fascismo è una malattia nazionale, è un nostro prodotto che ci interpella, per cui la destra se ne sta alla larga. Se Meloni avesse il coraggio, come fu per Fini, di compiere quella traversata, allora ne uscirebbe sotto un’altra luce ma non ha l’imprinting per condurre in porto un mutamento culturale”.

Il giornalista di Repubblica Concetto Vecchio, autore di Io vi accuso

Perché, nonostante il sacrificio della vita che ne ha fatto un grande martire, Matteotti rispetto all’antifascismo è stato considerato per tutto il Novecento figlio di un Dio minore?

“Intanto perché era un socialista riformista e questo ha avuto la sua importanza perché il riformismo a sinistra, nella seconda parte del Novecento, era del tutto minoritario come cultura. Matteotti ha scontato, peraltro, l’egemonia culturale comunista che era predominante e lui era stato un anti-comunista. Ha pagato questo prezzo: non era figlio di quella cultura. E i comunisti non l’amavano. Poi è stato anche figlio di una scissione: i socialisti infatti a un certo punto si divisero e Matteotti fu tra i fondatori del Psu, un piccolo partito. Nel dopoguerra, dunque, lui era figlio dei socialdemocratici. Quindi paradossalmente si è trovato – nella toponomastica – su molte strade ma non nel favore popolare, anche a sinistra. Eppure è stato un uomo di una statura straordinaria, un nostro eroe civile, che non ha avuto ciò che hanno avuto Gramsci, Pasolini, Moro”.

A proposito di toponomastica, com’è finita la storia di via Pisanelli? Gli abitanti del palazzo di Roma in cui visse il deputato socialista hanno detto no alla “mano fascista” nella targa-omaggio.

“Si è trovato un compromesso: il Comune aveva proposto “ucciso dal fascismo”, invece i condòmini hanno detto no. Alla fine vi sarà scritto “vile assassinio” perché in nessuna delle targhe o dei monumenti che a Roma ricordano Matteotti è contenuta la parola fascismo. Quindi i condòmini di via Pisanelli non vogliono essere etichettati in tal modo per timore di vandalismi.

L’Italia oggi è questo?

“C’è un brodo di coltura di italiani che non sono fascisti ma che non vogliono neanche essere etichettati come antifascisti: questa a mio avviso è una delle ragioni per cui Meloni non si schiera con l’antifascismo. È un giacimento di umori e caratteri molto ampio ma anche molto silenzioso e influente. E questa vicenda del condominio di via Pisanelli, che se vogliamo è piccola ma allo stesso tempo istruttiva, lo dimostra”.

Aldo Cazzullo, giornalista e scrittore, sostiene che il tuo sia “il migliore tra i libri in uscita su Giacomo Matteotti”: in cosa è diverso dagli altri 27?

“Questo è il libro di un giornalista e quindi io non sono stato soltanto in biblioteca o sulle bancarelle a comprare vecchi libri, non ho accumulato solo carte. Io a un certo punto mi sono messo in cammino, ho intrapreso un viaggio perché volevo capire che rapporto ci fosse oggi tra il Paese e Matteotti. E capita che quando uno si mette in viaggio, con la penna in mano e il taccuino in tasca, se davvero si ha un po’ voglia di girare, di guardare dentro alle cose in ogni tappa che fa, ecco, capita che trovi una storia. E io ho trovato la mia storia: da via Pisanelli alla famiglia di Matteotti. Mettendo in fila i tasselli ho scoperto il senso di questo libro che è soprattutto quello di una rimozione molto forte di un trauma pubblico ma anche di un trauma privato. È un’inchiesta sulla dimenticanza. I libri devono avere un senso, io volevo raccontare il “mio” Matteotti e questa è stata la difficoltà iniziale del mio libro. Poi però è stato il giornalismo a guidarmi e a fornirmi la chiave”.

Per tensione morale, coraggio e determinazione politica, c’è qualcuno nell’Italia di oggi che assomiglia a Matteotti?

“In Italia ci sono tanti italiani che fanno il loro dovere ogni giorno, con grande coraggio, abnegazione e senso civico”.

Neanche un nome?

“Io reputo Matteotti un grande anti-italiano. Come Falcone, Borsellino, Ambrosoli, Pasolini, Sciascia che erano fuori da ogni conformismo”.

Ma tutti estranei alla politica come mestiere.

“Vero. Ma è anche vero che Matteotti dovrebbe essere preso a esempio, dovrebbe essere praticato, non declamato. E questo è soprattutto un compito che spetta alla sinistra, la quale ha tante più cose da imparare da Matteotti rispetto alla destra. La destra non lo amerà mai, ma la sinistra che lo cita spesso, dovrebbe invece metterne in pratica la lezione. Quest’uomo rappresenta un esempio bellissimo e la sinistra deve recuperare gli ultimi, le periferie, quelli che non vanno a votare, i precari, i giovani. E proprio Matteotti può spiegare alla sinistra com’è che si fa”.

Con un esempio che però è incentrato sulla concretezza, non sulle chiacchiere.

“Questo secondo me fa di lui un italiano atipico perché io penso che Matteotti sia stato al contempo un anti-italiano ma penso pure che, in quanto anti-italiano, era italianissimo.

Pare una contraddizione. Lo è?

“Nel suo ultimo discorso, quello del 30 maggio, quando Matteotti spiattella ai fascisti tutte le violenze perpetrate per vincere le elezioni del 1924, lui avrebbe potuto fare un discorso retorico come sarebbe stato nello spirito del tempo. Invece no. È chirurgico. Quel discorso è esemplare, sembra scritto da un giornalista perché, per ogni città, spiega come sono avvenute le truffe e le violenze, spiega perché quel voto è un voto corrotto dal fascismo. Si tratta di un discorso lunghissimo e appassionato. Ed è un discorso molto poco italiano perché noi non siamo così per cultura, noi siamo caratterizzati da grandi discorsi ma senza interrogativi, discorsi che, alla fine, non pongono domande. Invece da quel discorso scaturivano tante domande, tanti interrogativi, tanti fatti: perché c’è una religione dei fatti in Matteotti. I fascisti, esasperati, gli dicono “taci che tu non sei italiano” perché diffamando il fascismo Matteotti diffamava la nazione, quindi la patria. I fascisti avevano capito la sua alterità e ne erano spaventati”.

E Mussolini?

“Anche Mussolini lo era perché si trovava dinanzi ad un uomo irriducibile, che non si poteva imbrigliare. Il nostro carattere di italiani è nella contraddizione. Ma la storia dell’Italia è piena di anti-italiani – definizione che non c’entra nulla con le accuse dei fascisti a Matteotti – che hanno fatto il proprio dovere fino in fondo e che hanno pagato un caro prezzo”.

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