Ci sono le cozze poi ci sono – ad Ancona – i Moscioli selvatici, ovvero mitili (Mytilus galloprovincialis), “selvaggi” che sprigionano un intenso profumo e sapore di alghe e di mare, e che nella cucina locale sono veramente memorabili aperti su una lastra posata sul fuoco, senza alcun condimento, oppure alla marinara, aperti in pentola con aglio, prezzemolo, olio e pepe. Ma sono eccellenti anche come sugo nei primi piatti, oppure alla tarantina, o ancora ripieni con carne macinata e parmigiano, se non arrosto. Perché selvatici? Perché queste cozze si riproducono naturalmente e vivono attaccate agli scogli sommersi della costa del Conero.
Un piatti identitario della cucina di mare anconetana rischia di scomparire
La presenza di moscioli in questi mari è testimoniata in maniera precisa già dall’inizio del Novecento; la pesca, però, era molto limitata e le colonie di molluschi erano concentrate sullo scoglio del Trave e su pochi altri scogli e secche tra Pietralacroce e Sirolo. Fino al secondo dopoguerra la pesca era effettuata con barche a remi, le batane, e rappresentava un’integrazione al reddito per i contadini delle frazioni di Poggio, Varano, Massignano e Pietralacroce e del Comune di Sirolo, e per le maestranze del porto di Ancona.
L’attrezzo che serviva per strappare i moscioli dagli scogli, simile a un forcone, non era particolarmente dannoso: più dannosa fu, col passare del tempo, l’adozione della “moscioliniera”, una lunga pertica con in fondo dei denti di ferro ricurvi con la quale si raschiano gli scogli dalla barca. In questo modo venivano strappati sia i moscioli grandi sia quelli piccolissimi: paradossalmente però tale tipo di pesca ha contribuito alla proliferazione dei moscioli in quasi tutti gli altri scogli sommersi del Conero. Infatti, alcuni dei moscioli più piccoli, ributtati in mare, riuscivano a sopravvivere e a colonizzare nuove zone.
I presidi Slow Food ritardano di un mese la pesca dopo aver anticipato di due mesi la chiusura della stagione 2023
Tradizionalmente il periodo di pesca del mosciolo va da metà maggio a metà ottobre. Ma ahimè ora rischiamo di dover dire addio a questa prelibatezza identitaria di un territorio marino e di una tradizione culinaria centenaria.
La pesca illegale e gli effetti di siccità e riscaldamento del mare hanno infatti messo in crisi i Presìdi Slow Food del mosciolo selvatico di Portonovo. Così, responsabilmente per salvare questa preziosa risorsa di biodiversità i presidi hanno deciso quest’anno di rinviare di un mese la raccolta dei molluschi e se questo non basterà si profila addirittura un fermo pesca di un anno.
«Il mosciolo per Ancona, racconta Roberto Rubegni, responsabile Slow Food del Presidio del Mosciolo selvatico di Portonovo, non è soltanto un’economia importante e una tradizione in cucina: è una questione identitaria. Non c’è anconetano che non si sia immerso almeno una volta nella vita a pescare il mosciolo selvatico… E persino i tifosi della squadra di calcio, quando vanno in trasferta, cantando ricordano a tutti che noi ‘C’avemo i moscioli’».
«Da due anni i pescatori denunciano la presenza di pochi moscioli – prosegue Rubegni –. Nel 2022 hanno chiuso la stagione a fine agosto, anziché a fine ottobre come previsto dal disciplinare, e la scorsa estate ancora prima. L’hanno fatto per cercare di salvare la stagione successiva, cioè quella che si sarebbe dovuta aprire il 15 maggio». Ma la misura adottata non è stata sufficiente: i molluschi sono pochi anche quest’anno, e così le due principali cooperative di pescatori attive nella zona (tra cui le tre barche di chi aderisce al Presidio Slow Food) hanno scelto di rinviare l’inizio della raccolta al 15 giugno. «Siamo preoccupati e per questo motivo già nei mesi scorsi, come Condotta Slow Food, abbiamo esortato il sindaco di Ancona ad aprire un tavolo, con partner scientifici come l’Università Politecnica delle Marche, l’Istituto zooprofilattico sperimentale dell’Umbria e delle Marche, il Cnr e Arpa, per indagare le cause del declino della popolazione di moscioli. Ma oltre agli aspetti scientifici – conclude Rubegni – pesa la pesca illegale, ovvero chi si immerge nelle acque del promontorio, preleva decine di chili se non quintali di molluschi, e li rivende attraverso canali poco limpidi.
Anche a Torre Guaceto in Puglia i Presidi Slow Food hanno deciso un fermo pesca di un anno
Pesca illegale e effetti di siccità e riscaldamento delle acque hanno messo in crisi cinquecento chilometri più a sud i pescatori di Torre Guaceto che stanno vivendo la stessa drammatica situazione dei Presidi del Mosciolo: il mare, fino a pochi anni fa ricco di risorse, sta presentando il conto. Non ci sono più pesci né molluschi e così, per provare a salvare il loro mare e il loro lavoro, hanno deciso di fermarsi ma all’interno dell’area marina protetta pugliese la misura è stata molto più drastica lo stop durerà un intero anno.
Uno spettro dalle gravi conseguenze economiche per il settore della pesca si ripresenta a Torre Guaceto a distanza di quasi venti anni, quando la pesca venne sospesa per ben cinque: «Successe tra il 2000 e il 2005 – ricorda Marcello Longo, presidente di Slow Food Puglia –, periodo nel quale osservammo un incremento della popolazione ittica del 400%», un dato che si sarebbe poi attestato intorno al 250% con la ripresa dell’attività dei pescatori. Una pesca normata in maniera rigorosa: Torre Guaceto è un’area marina protetta, all’interno della quale possono operare soltanto un numero ristretto di barche autorizzate (sette, cioè quelle che aderiscono al Presidio Slow Food della piccola pesca di Torre Guaceto), un solo giorno alla settimana e soltanto nell’area più esterna. Eppure, la situazione è tornata critica. Il motivo lo ha messo nero su bianco il Consorzio di gestione di Torre Guaceto, l’ente che gestisce l’area protetta: la pesca illegale. “I pescatori di frodo hanno danneggiato l’importante lavoro condotto dall’ente di gestione e dai pescatori professionali” si legge sul sito della Riserva. Così, studi scientifici alla mano, si è deciso di fermare l’attività per un anno, fino a maggio 2025.
Installato un servizio di videosorveglianza per combattere nell’area protetta i pescatori di frodo
«Sono stati gli stessi pescatori del Presidio Slow Food, con un atto di responsabilità, a voler fermare la pesca» conclude Longo. Nel frattempo, per combattere la piaga della pesca di frodo, il Consorzio di gestione di Torre Guaceto ha installato un sistema di videosorveglianza che consentirà di allertare velocemente le forze dell’ordine nel caso in cui, nell’area protetta, dovessero entrare imbarcazioni non autorizzate. I pescatori artigianali, che per dodici mesi non potranno pescare, saranno invece coinvolti in un progetto (retribuito) di monitoraggio, per verificare l’efficacia del fermo pesca.
L’area protetta del brindisino non è soltanto un bacino di pesca da tutelare, ma anche un territorio interessante per la natura, la storia, l’architettura e la cultura, dove risuona la cultura pugliese dell’accoglienza. E per chi ha voglia di sperimentare il turismo lento, Torre Guaceto è uno degli itinerari di Slow Food Travel, dove incontrare comunità di cuochi, osti, guide esperte, contadini, pescatori, pastori, casari e artigiani che ogni giorno lavorano salvaguardando la biodiversità locale e offrendo ospitalità nelle botteghe, nei laboratori, nei campi e nei luoghi della loro vita quotidiana.