Sui lontani mercati agroalimentari si stanno verificando anomale impennate sui prezzi di prodotti molto diffusi a causa di motivi di vario genere, dalla siccità alle malattie delle piante. Ciò potrebbe ripercuotersi anche sui mercati più vicini e a cascata anche sul carrello della spesa. E’ il caso per esempio delle arance, del cacao, del caffè e anche del riso. Ma ci sono prodotti italiani che stanno spopolando. Vediamo nel dettaglio
Il succo d’arancia diventa un bene prezioso
La scorsa settimana, i prezzi del succo d’arancia concentrato hanno raggiunto un nuovo record storico. Più di un commentatore ha fatto riferimento al film Una poltrona per due di John Landis con Dan Aykroyd e Eddie Murphy del 1983. Ma questa volta non è colpa dei Duke Brothers. Nel film i due trader vendono allo scoperto 200 contratti futures di succo d’arancia con scadenza ad aprile: stavolta nella realtà, alle negoziazioni all’Intercontinental Exchange di New York, il prezzo della bevanda ha toccato in questi giorni i 4,92 dollari a libbra, quasi il doppio rispetto a un anno fa e con una crescita addirittura del 300% rispetto alla fine del 2021. Che cosa è successo? Da una parte il clima, dall’altra gli insetti, dall’altra gli speculatori: insomma una tempesta perfetta.
Brasile e Florida in affanno
Il Brasile, principale esportatore di arance e succo d’arancia, prevede per quest’anno il peggiore raccolto degli ultimi 36 anni, a causa del clima sfavorevole e di una malattia degli agrumi chiamata “drago giallo” o batterio greening. Stando alle stime dell’organizzazione dei coltivatori di agrumi, Fundecitrus, la produzione sudamericana si è ridotta di un quarto quest’anno. Anche uno studio di Rabobank evidenzia che il 40% degli aranceti brasiliani è stato colpito dal batterio greening e il resto è stato danneggiato da temperature più alte della media e una produzione più bassa.
Anche la Florida, che un tempo era un colosso delle arance, è stata messa in ginocchio dagli uragani e dalla stessa malattia. E, come se non bastasse, sembra che abbiano finito le scorte di emergenza: di solito, per evitare sbalzi di prezzo e di gusto tra una stagione e l’altra, si usava il succo d’arancia congelato. Ma, dopo tre anni di raccolti scarsi, anche questo è agli sgoccioli.
La strada del mandarino
In un reportage del Financial Times di questi giorni viene evidenziato come il crollo della produzione di arance porterà a un cambiamento radicale nell’industria del succo d’arancia, con aziende che si stanno riorganizzando per modificare la ricetta e sostituire la materia prima. Visto che anche le scorte di succo congelato si stanno esaurendo ora si pensa ai mandarini, che crescono su alberi più resistenti ai cambiamenti climatici. Il presidente dell’Associazione internazionale di frutta e verdura (Ifu) Kees Cools, ha detto al FT che per far fronte alla crisi delle arance si sta pensando di realizzare la bevanda con “diverse specie di frutta, che non intacchino la naturalezza e l’immagine del prodotto”.
La strada del mandarino è già percorsa dal Giappone, che importa succo d’arancia prodotto al 90% da piante brasiliane, Ma Seven & i Holdings, proprietario dei negozi della catena dei 7-Eleven, ha già introdotto nella filiera una bevanda a base di arancia e mandarini. Negli Usa tuttavia il passaggio non è così immediato. Per introdurre questa modifica nell’industria statunitense è necessario un iter legislativo che ammetta la miscela sia nel Codex Alimentarius dell’Onu sia da parte di enti nazionali come la Food and Drug Administration. Kees Cools ha fatto capire che un cambio sarà inevitabile: “Non abbiamo mai visto nulla di simile, nemmeno durante le grandi gelate e i grandi uragani”.
Lo scenario per ora non riguarda l’Italia, dove la produzione è destinata per lo più al mercato del fresco. “Solo il 25% viene trasformato” dice Elena Albertini, vice presidente del Consorzio Arancia Rossa di Sicilia IGP. Coldiretti stima una produzione in crescita del 20% ma è cauta: il 60% delle arance viene dalla Sicilia, dove mesi di siccità hanno diminuito i frutti per calibro e quantità.
Il cacao ancora in salita
Già la scorsa primavera il cacao era stato protagonista sui mercati con forti rialzi dei prezzi in un mercato globale in deficit di circa 400 mila tonnellate nel raccolto 2023-2024 a causa soprattutto di piogge e siccità eccezionali in Africa, primo produttore mondiale. Ad aprile il record dei rincari sul mercato Ice di Londra, con circa 10mila sterline a tonnellata, il triplo di un anno fa. Per l’analista della società Areté Filippo Roda, consulente UnionFood sulle materie prime, i prezzi hanno sforato gli equilibri dettati dai fondamentali. “Pesano la ritenzione dell’offerta, l’incertezza sul clima, i blocchi del canale di Suez e la norma Ue sulla deforestazione, la speculazione sui mercati finanziari e i comportamenti anomali degli operatori commerciali”.
La tazzina del caffè sempre più bollente
Ma ora il nuovo focus è sul caffè. Tra condizioni meteo in Brasile e cambio euro-dollaro sfavorevole arrivano rincari che potrebbero pesare sulla tazzina del caffè amata soprattutto dagli italiani: in media il prezzo è arrivato a 1,20 euro in Italia, secondo gli ultimi dati del Mimit rielaborati da Assoutenti. Ma importatori e torrefattori lanciano un ulteriore allarme, tanto che per arrivare a 2 euro a tazzina ormai la strada è breve. Solo poco tempo fa la qualità Arabica aveva visto un prezzo elevato sulle quotazioni, ma questo era bilanciato da prezzi in calo sulla qualità Robusta. Altoga, l’associazione nazionale torrefattori, importatori di Caffè e grossisti alimentari aderente a Federgrossisti-Confcommercio, spiega che negli ultimi 6 mesi le quotazioni di borsa del caffè Robusta sono praticamente raddoppiate: hanno registrato un rialzo di oltre il 90% (da 2.200 a 4.195 dollari la tonnellata), e quelle della varietà Arabica del 55% (da 155,25 a 239,85 centesimi alla libbra). Giuseppe Lavazza è il presidente dell’omonimo gruppo di famiglia, il maggior player italiano del caffé con 3,1 miliardi di fatturato, ma anche presidente del Comitato italiano del caffè, l’associazione delle imprese di categoria che fa parte dell’Unione italiana food, ha lanciato l’allarme. “Si pensava che il 2024 avrebbe portato stabilità, invece il settore resta travolto da una tempesta perfetta”, dice Lavazza. “È una situazione mai vista prima” con il rialzo sia di Arabica che di Robusta, “spinti anche dall’impennata della domanda di consumatori nuovi come i cinesi” dice ancora Lavazza. “Se a questo si aggiunge l’effetto dollaro, incrementato del 10%, si vede come sulla categoria si sia scaricata una massa impressionante di costi”.
Timori per le semine del riso. Tutti pazzi per ciliege e Bronte
L’incertezza domina anche sul riso. Al contrario di un anno fa, oggi siamo in presenza di un mercato globale in crisi per la varietà Indica, prodotta soprattutto in Asia, e invece favorevole per la Japonica coltivata tra gli altri in Usa e Ue. In Italia nel 2024 gli ettari previsti sono in aumento del 4%, ma le semine sono in corso, e per Coldiretti il maltempo rischia di far rivedere al ribasso le stime, specie nel Pavese, con campi allagati che è difficile capire quando torneranno agibili.
Sotto i riflettori, tra gli altri, due prodotti italiani: le ciliege e il pistacchio di Bronte. Per le ciliege sti stanno verificando i pilastri del mercato: produzione in calo, qualità alta e ovviamente prezzo elevato, soprattutto lontano dai luoghi di produzione. Chi, in questi giorni, ha provato ad acquistare ciliegie, si è imbattuto a prezzi non inferiori ai 10 euro al chilo, spesso a 15 euro fino a sfiorare quota 20. Coldiretti di Puglia, una delle regioni a più alta produzione di ciliegie (nella provincia di Bari si coltiva il 40% della produzione nazionale, in particolare tra Conversano e Turi) dice: “A fronte di un brusco calo produttivo, gli agricoltori hanno dovuto far fronte al balzo dei costi di produzione e alla grave siccità. Con il caldo anomalo della primavera, risulta più che dimezzata la produzione delle pregiate ciliegie Ferrovia con un calo del 50%-60% di frutti sugli alberi rispetto allo scorso anno”. Stesso discorso anche per la qualità Bigarreau.
Il fenomeno dell’oro verde di Bronte ha assunto un valore nazionale e internazionale, che ha spinto la crescita economico-sociale dei territori attorno all’Etna in cui viene coltivato. Trentamila tonnellate di pistacchio prodotte a Bronte e nei vicini comuni etnei di Biancavilla e Adrano rappresentano più dell’85% della produzione nazionale. Quest’anno il business complessivo dell’oro verde di Bronte è già sui 90 milioni di euro. Quello di Bronte è il pistacchio più ricercato nel mondo e persino i cinesi hanno puntato la loro attenzione sul fenomeno dell’oro verde etneo, utilizzato in molti ambiti della gastronomia e non solo in pasticceria e gelateria. Un chilo di pistacchio di Bronte (sgusciato) sul piano commerciale ha una media intorno ai 40/50 euro, con punte di oltre 70/80 euro.