23 maggio 1992: un giorno che ha segnato per sempre la storia d’Italia. 32 anni fa andava in scena un attentato mafioso di matrice terroristica che sconvolse il Paese: il giudice Giovanni Falcone, magistrato simbolo della lotta alla criminalità organizzata, veniva ucciso a Capaci, insieme alla moglie Francesca Morvillo, anche lei magistrato, e a tre agenti della sua scorta: Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vittorio Schifani.
Era il pomeriggio del 23 maggio quando il corteo di Falcone, proveniente dall’aeroporto di Palermo, venne dilaniato da un‘esplosione di tritolo sull’autostrada A29 all’altezza dello svincolo di Isola delle Femmine-Capaci. Oltre alle cinque vittime, l’attentato causò ventitré feriti fra i quali gli agenti di Polizia Paolo Capuzza, Angelo Corbo, Gaspare Cervello e l’autista del giudice, Giuseppe Costanza.
La strage di Capaci, chiamata così dal nome dello svincolo autostradale più prossimo al luogo della tragedia, rappresenta uno dei momenti più bui della storia repubblicana italiana. Un atto di violenza efferata che ha avuto l’obiettivo di spegnere le speranze di un Paese impegnato nella lotta contro la criminalità organizzata. Falcone, magistrato antimafia tenace e coraggioso, aveva dedicato la sua intera vita alla lotta contro Cosa Nostra. Le sue inchieste avevano portato a decine di arresti e condanne di esponenti mafiosi di alto livello.
L’attentato a Falcone
Gli attentatori, membri di Cosa Nostra, fecero esplodere un tratto dell’autostrada A29, alle ore 17:57, mentre vi transitava il corteo della scorta di Falcone, di ritorno da Roma con la moglie e gli agenti di Polizia, a bordo di tre Fiat Croma blindate. Gli ordigni, ben 500 kg di tritolo, furono nascosti in un tunnel sotto la strada. La prima auto, la Croma marrone, fu sbalzata in un giardino, uccidendo gli agenti Montinaro, Schifani e Dicillo. La seconda auto, quella del giudice, si schiantò contro i detriti dell’esplosione, ferendo gravemente Falcone e la moglie, che non indossando le cinture di sicurezza, furono proiettati con violenza contro il parabrezza. Gli agenti della terza auto, invece, sopravvissero e organizzarono i soccorsi.
Falcone e la moglie morirono in serata in ospedale, il primo alle 19.05 tra le braccia di Paolo Borsellino, la seconda poco dopo le 22 durante un’operazione chirurgica.
Fu un’azione criminale da parte di Cosa Nostra pianificata attentamente in ogni minimo dettaglio con un unico obiettivo possibile: eliminare in ogni modo Falcone, insieme a Borsellino, il loro nemico più grande.
La morte di Falcone fu uno shock per l’Italia, un duro colpo per lo Stato e le forze dell’ordine impegnate nella lotta alla mafia. Tuttavia, questa tragedia suscitò una nuova ondata di mobilitazione antimafia. La società civile reagisce con fermezza, riempiendo le piazze per chiedere giustizia e legalità. Lo Stato continuò le indagini, portando all’arresto di numerosi esponenti di Cosa Nostra, inclusi i mandanti e gli esecutori dell’attentato.
Il maxi processo a Cosa Nostra
L’uccisione di Giovanni Falcone fu decisa durante riunioni delle “Commissioni” regionale e provinciale di Cosa Nostra tra settembre e dicembre 1991, presiedute dal boss Salvatore Riina, catturato poi il 15 gennaio del 1993. Il coordinatore dell’attentato fu Giovanni Brusca, esponente di rilievo della mafia, condannato per oltre un centinaio di omicidi.
Il processo ai vertici mafiosi iniziò nel 1995 e nel 1997 la Corte d’Assise di Caltanissetta condannò all’ergastolo Riina e altri esponenti mafiosi, mentre alcuni furono assolti. Brusca, che azionò il detonatore, fu arrestato nel 1996 e confessò di aver partecipato anche alla strage di via D’Amelio in cui morì Paolo Borsellino.
Nel 2000, la Corte d’Assise d’Appello confermò tutte le condanne agli esponenti mafiosi. Nel 2002, invece la Corte di Cassazione annullò alcune condanne con rinvio. Non ci furono sconti per Riina che rimase in carcere fino alla morte avvenuta il 17 novembre 2017.
Il metodo Falcone
Giovanni Falcone, malgrado le gelosie e le incomprensioni di molti colleghi magistrati, non è stato solo un campione della lotta alla mafia ma ha lasciato in eredità un metodo di lotta alla criminalità più attuale che mai. “Follow the money” era il paradigma di lotta alla mafia che Falcone ha approfonditamente illustrato nel libro “Cose di Cosa Nostra” scritto con la giornalista francese Marcelle Padovani pochi mesi prima di essere assassinato nella strage di Capaci. Che voleva dire “Follow the money”? Voleva dire rintracciare e seguire meticolosamente tutti percorsi dei flussi di denaro in capo alle attività mafiose. Un metodo già importante agli inizi degli anni ’90 ma ancora più oggi in considerazione della metamorfosi che ha mafia ha subito, trasformandosi da mafia dei delitti in mafia economica e diventando ormai un elemento strutturale dell’economia e del business nazionale e internazionale. Una metamorfosi che impone di non abbassare la guardia e di rendere sempre più incisive le tecniche di lotta alla mafia salvaguardando la legislazione italiana antimafia che è apprezzata e ritenuta un modello anche all’estero e di cui bisogna essere grati a Giovanni Falcone che l’ha ispirata.
Falcone: un simbolo della lotta alla mafia
Giovanni Falcone è ancora oggi ricordato come un eroe, un esempio di coraggio e determinazione nella lotta alla criminalità organizzata. Il suo sacrificio non è stato vano. La sua eredità morale e professionale continua a ispirare le generazioni future nella battaglia per la legalità e la giustizia.