Fragilità del territorio, si sente dire dopo ogni alluvione e altri disastri naturali. Nessuno che si muova fino in fondo per farvi fronte. Il Governo? Naviga a vista e mercanteggia leggi. Mentre Milano e molti Comuni della Lombardia sono invasi dalle acque dei torrenti che straripano, in Parlamento si discute la legge delega sulla Ricostruzione.
Come tutte le declamazioni cui ci ha abituati, l’esecutivo Meloni per bocca del ministro Nello Musumeci ha detto che vuole porre un freno alle gestioni emergenziali che seguono eventi disastrosi. I commissari non possono durare in eterno, ha detto: e ci mancherebbe altro. In un Paese dove con l’accise sulla benzina si pagano ancora 0,00516 euro (ex 10 lire) per la ricostruzione del disastro del Vajont del 1963, altrettanto per il dopo terremoto del Belice del 1968, fino alle alluvioni di Liguria e Toscana del 2011, Musumeci ha spiegato che le ricostruzioni durano troppo e costano tanto. Ci vuole un modello normativo perché “si polverizzano esperienze e diversificano gli interventi da un territorio all’altro”. Si dà il caso che a dicembre 2023, il Consiglio dei Ministri ha approvato in via definitiva il testo del disegno di legge sulla Ricostruzione presentato dallo stesso Musumeci. Dopo 17 mesi, al convegno “Calamità nuovi percorsi per la ricostruzione” apprendiamo che qualcosa (forse) si comincia a muovere. Intanto i conti delle calamità naturali sono stati fatti e rifatti: negli ultimi 40 anni sono stati spesi più di 200 miliardi di euro per ricostruire, quando ne sarebbero bastati la metà per poter mettere in sicurezza i territori.
Ricostruire e innovare
Prima di farci riascoltare tutti i discorsi sulla prevenzione , il governo ha rievocato la stesura di un Codice di Ricostruzione, per uniformare gli interventi. “I modelli sono estremamente diversificati, anche con efficienza e risultati diversi” ha detto Il capo della Protezione civile, Fabrizio Curcio. Quando si prenderà coscienza che in ogni periodo dell’anno gli italiani corrono rischi molto più alti di quelli degli altri paesi europei? Siamo i più vulnerabili. Le tragedie passate non pesano sulle spalle di chi ha a cuore la Nazione. Le giornate pazze di queste settimane tra Nord e Sud ricordano alla politica e agli esperti la debolezza del suolo, dei canali, degli argini, l’urgenza di piani di sicurezza. Dopo ogni calamità i territori soffrono lo spopolamento e la depressione economica. Lo Stato interviene tardi e male per rimettere a posto case e capannoni.
Le persone non sono disposte ad aspettare e visti i precedenti sanno che i tempi sono lunghi. E poi le lungaggini favoriscono truffe e magagne, talvolta non lontane da coperture politiche. “Ci sono paesi piccoli in cui si registra una frana per ogni abitante”, ha detto il Generale Francesco Paolo Figliuolo, commissario per le alluvioni in Emilia Romagna, Toscana e Marche e la ricostruzione è anche un’occasione di innovazione . Si deve ricostruire secondo criteri di sicurezza e in base a regole di compatibilità ambientale. Ci domandiamo se nelle stanze del Governo la pensano allo stesso modo.