L’11 aprile del 1901 nasceva ad Ivrea, Adriano Olivetti, uno dei più grandi industriali italiani del Novecento e simbolo della rinascita del Paese nel secondo Dopoguerra. Figlio di Camillo Olivetti, fondatore dell’azienda omonima, Adriano ha portato avanti l’eredità paterna, trasformando l’azienda in un punto di riferimento internazionale. L’azienda Olivetti, fondata nel 1908, era all’epoca conosciuta principalmente per le sue macchine da scrivere. Sotto la guida di Adriano, l’azienda avrebbe presto superato i confini nazionali per diventare un pioniere nell’industria dell’informatica e dell’elettronica. Oltre al successo imprenditoriale, è stato anche eletto deputato nel 1958. Spesso paragonato a Steve Jobs per la sua visione rivoluzionaria, Olivetti si distingueva per la sua concezione umana e sociale dell’impresa.
Olivetti non era solo un uomo d’affari, ma anche un visionario. La sua filosofia aziendale, basata sul concetto che il profitto aziendale debba essere reinvestito per il bene della comunità, lo distingueva da molti altri industriali del suo tempo. Era convinto che l’impresa avesse una responsabilità non solo economica, ma anche sociale e culturale verso la società in cui operava. Fu uno dei primi ad introdurre politiche aziendali avanzate, come il welfare dei dipendenti, la formazione professionale e la partecipazione dei lavoratori alla gestione dell’azienda.
Le origini di Adriano Olivetti
Adriano Olivetti nasce nel 1901 ad Ivrea (città di cui diverrà anche sindaco nel 1956) da una famiglia di religione ebraica che si convertì al cattolicesimo per sfuggire alla repressione fascista. Crebbe in un ambiente familiare ricco di influssi culturali e ideali progressisti. Dopo aver completato gli studi presso l’Istituto tecnico di Cuneo e aver prestato servizio militare come volontario nel 4º reggimento Alpini, si iscrisse al Politecnico di Torino. Qui si immerse nel dibattito sociale e politico, contribuendo attivamente alle riviste “L’azione riformista” e “Tempi Nuovi”, entrando così in contatto con figure come Piero Gobetti e Carlo Rosselli.
Adriano, laureatosi in Ingegneria chimica, si unì alla fabbrica di famiglia nel 1926, assumendo gradualmente ruoli di maggior responsabilità fino a diventare direttore generale nel 1932 e presidente nel 1938.
L’opposizione al regime fascista e il post guerra
Adriano Olivetti si oppose attivamente al regime fascista, collaborando con riviste antifasciste e partecipando a iniziative di resistenza. I suoi rapporti con il regime ebbero alti e bassi, complice anche l’evoluzione della politica del periodo e le influenze architettoniche del razionalismo.
Durante la Seconda Guerra Mondiale, l’azienda conobbe un boom, introducendo la prima addizionatrice nel 1940 e la Divisumma 14, la prima calcolatrice scrivente al mondo, nel 1945.
Dopo la guerra, Olivetti si impegnò nella ricostruzione del suo Paese, fondando il Movimento Comunità nel 1948, un’organizzazione che promuoveva ideali di democrazia partecipativa e federalismo europeo. Nel 1949, si convertì al cattolicesimo, e continuò a sostenere il suo impegno politico e sociale, diventando sindaco di Ivrea nel 1956 e deputato nel 1958. Il suo pensiero visionario si estese anche all’urbanistica e alla pianificazione, promuovendo progetti innovativi e creando opportunità di lavoro con salari sopra la media. Il suo impegno per la comunità e la sua visione umanistica furono riconosciuti a livello internazionale, ricevendo premi e onorificenze per la sua attività imprenditoriale e sociale.
Nel 1959, poco prima della sua morte, Olivetti sviluppò l’Elea 9003, uno dei primi mainframe computer transistorizzati al mondo, portando l’azienda al massimo successo negli anni ’60.
La concezione del lavoro per Adriano Olivetti
Adriano Olivetti ha creato un’esperienza industriale unica nel secondo dopoguerra italiano, caratterizzata da un equilibrio tra solidarietà sociale e profitto. La sua fabbrica offriva condizioni migliori per gli operai, con salari più alti, asili e abitazioni vicine rispettose dell’ambiente. All’interno, l’ambiente era innovativo, con biblioteche, concerti e dibattiti durante le pause, e una cultura aziendale che favoriva l’interazione tra ingegneri e operai. Olivetti accoglieva anche artisti e poeti, convinto che la creatività arricchisse il lavoro.
Credeva nell’idea di comunità come soluzione per superare le divisioni tra industria, agricoltura e produzione e cultura. Voleva coinvolgere azionisti, enti pubblici, università e lavoratori in una fondazione per eliminare differenze ideologiche ed economiche. Il suo sogno era estendere questo modello a livello nazionale.
La morte di Adriano Olivetti
Il 27 febbraio 1960, Adriano Olivetti prese un treno da Arona con destinazione Losanna, ma durante il viaggio, vicino ad Aigle, dopo il confine svizzero, fu colpito da un’improvvisa emorragia cerebrale. Nonostante i tentativi di soccorso, Olivetti morì poco dopo il trasporto in ambulanza all’ospedale locale. Il referto medico indicò “ischemia cerebrale”, ma l’autopsia non fu eseguita, dando luogo a teorie di complotto in favore di lobby statunitensi. In quel momento, l’azienda Olivetti era al suo apice, con circa 36.000 dipendenti, la metà dei quali all’estero.
Successivamente, si scoprì che Olivetti era oggetto di indagini da parte della CIA, come rivelato dalla desecretazione di documenti dell’agenzia. Un esemplare dell’Elea 9003, prodotto dall’Olivetti, che doveva essere installato a Roma, non arrivò mai a destinazione. Tecnici dell’Olivetti notarono caratteristiche tecniche simili in un elaboratore di un’industria statunitense un anno dopo. La morte di Mario Tchou, dirigente della Olivetti, in circostanze particolari un anno dopo quella di Olivetti, mise fine al progetto Elea e all’industria elettronica italiana.
In segno di lutto per la perdita di Olivetti e Tchou, la città di Ivrea annullò le festività del Carnevale, una decisione raramente presa nella storia della città.
La Olivetti dopo Adriano
Alla morte di Olivetti l’azienda aveva raggiunto l’apice: era presente su tutti i maggiori mercati mondiali e divenne un colosso internazionale, con la Fiat tra i suoi azionisti. Negli anni ’80 e ’90, sotto la guida di De Benedetti, l’azienda iniziò un declino inesorabile, segnando l’inizio di una fase difficile. Oggi, la Olivetti fa parte del gruppo Tim, ma il suo periodo di massimo splendore rimane legato all’epoca di Adriano Olivetti.
Adriano Olivetti, un italiano del Novecento
Adriano Olivetti è considerato un’icona dell’industria, della creatività e della cultura italiana nel Novecento. Per spiegare la sua figura c’è un bellissimo libro di Paolo Bricco, brillante giornalista economico del Sole 24 Ore, dal titolo “Adriano Olivetti, un italiano del Novecento” edito da Rizzoli. Bricco, evitando l’agiografia, ha analizzato il fascino di Olivetti, evidenziando non solo i suoi successi e la sua visione imprenditoriale lungimirante, ma anche le sue contraddizioni e le aree di incompiutezza. La figura di Olivetti è stata descritta come un vero spartiacque, evidenziando l’impatto significativo che ha avuto sul mondo imprenditoriale e culturale.
“Adriano Olivetti – scrive Bricco nella presentazione del volume – è riuscito a mescolare elementi in apparenza diversissimi: il profitto e la bellezza, l’innovazione industriale e la tensione verso un modello sociale basato sulla comunità. La sua carica innovativa e i suoi interventi sia sul piano industriale sia su quello estetico e culturale, spiegano il perché sia stato affiancato dai maggiori intellettuali del periodo”.