Il costo del Superbonus 110% è sproporzionato rispetto ai benefici che può apportare all’economia e alla transizione energetica. A dimostrarlo dati, studi, analisi, ma soprattutto relazione conclusiva della Commissione Bilancio della Camera. Secondo l’Osservatorio Cpi, guidato da Giampaolo Galli, ci sono però altri due parametri da considerare per arrivare una valutazione complessiva: lo straordinario extra deficit (ben 39 miliardi, l’1,8% del Pil) che il Superbonus ha causato nel 2023 rispetto alle previsioni formulate a fine settembre nella Nadef e gli effetti recessivi sull’economia dell’abolizione del Superbonus.
Tutti i danni del Superbonus 110%
Il Superbonus 110% fu introdotto dal decreto Rilancio del 2020. Da allora un’ampia letteratura ha consentito di appurare alcuni fatti relativi al beneficio. In larga misura, come detto, tali valutazioni sono contenute nella bozza di relazione conclusiva dell’indagine della Commissione Bilancio della Camera sugli incentivi edilizi, che si fu avviata il 28 febbraio dello scorso anno. Cosa dice questa relazione, in estrema sintesi? Il Superbonus 110% elimina il contrasto di interessi fra chi compra e chi vende (compresa la filiera dei fornitor)i, causando aumenti dei costi che vengono addebitati allo Stato e incentivando le frodi “per l’ovvio motivo che acquirente e venditore si possono mettere d’accordo per dividersi tra loro gli extra costi, tanto paga lo Stato”, dice a chiare lettere l’Osservatorio Cpi.
Secondo le stime degli esperti, per ogni 100 euro di spesa relativi al Superbonus ne rientrano circa 20 sotto forma di maggiori imposte e contributi sociali. Stando agli ultimi dati Enea, il Superbonus è costato fino ad oggi 114,4 miliardi di euro; il suo costo netto per lo Stato si aggira quindi attorno ai 91 miliardi.
“Stime basate sui dati Enea indicano che la spesa necessaria per coprire l’intero patrimonio immobiliare italiano si aggirerebbe attorno ai 2 mila miliardi di euro, circa il 100 per cento del Pil. Ad oggi, la misura ha avuto un impatto su poco più del 10 per cento del totale degli edifici condominiali italiani e del 4 per cento del totale degli edifici residenziali censiti in Italia”, spiega l’Osservatorio sui conti pubblici che poi sottolinea come gli incentivi per le ristrutturazioni favoriscono i più ricchi, con una concentrazione degli interventi finanziati con il Superbonus nelle categorie catastali più elevate.
Il Superbonus e l’extra deficit del 2023
Il consuntivo Istat, pubblicato lo scorso 1° marzo, ha certificato che la previsione del governo sul deficit 2023 formulata a fine settembre era errata di ben 39 miliardi di euro, pari all’1,8 per cento del Pil. “Si tratta di un errore di proporzioni gigantesche in una previsione fatta tre mesi prima della chiusura dell’esercizio”, che non ha precedenti, spiega l’Osservatorio Cpi.
Ma c’è di più spiega l’ente guidato da Giampaolo Galli: “si osserva un forte disallineamento fra i dati di finanza pubblica, da cui emerge il boom del Superbonus 110% negli ultimi mesi dell’anno, e i dati dell’economia reale dell’Istat (riferiti a investimenti in abitazioni e occupazione in costruzione), da cui non si rileva assolutamente nessun andamento anomalo. Nulla emerge anche dai dati pubblicati mensilmente dall’Enea”.
Cosa è accaduto? Secondo l’Osservatorio è facile ipotizzare che negli ultimi mesi dell’anno molti soggetti si siano affrettati a fare i pagamenti per lavori non finiti, o addirittura fittizi, per usufruire del sussidio al 110 per cento.
Numeri alla mano dunque, “si deve ragionare su uno stock di crediti maturati di 114,4 miliardi a fine 2023. Al netto del 20 per cento (la nostra stima dell’effetto indotto sul gettito), si trova che l’effetto del bonus sul debito pubblico a oggi è di circa 91 miliardi. Se fossero resi noti i dati dell’Agenzia delle Entrate, si potrebbe fare un conto di come questo debito complessivo ha già pesato sulle casse dello Stato e quanto peserà sugli anni prossimi, man mano che i detentori dei crediti li scaleranno dalle imposte. Si può comunque tranquillamente affermare che l’effetto è di almeno un punto di Pil all’anno per i prossimi tre anni”, spiegano gli esperti.
Il rallentamento del settore delle costruzioni
Da gennaio del 2023 il Superbonus è sostanzialmente abolito e la sua abolizione è dovuta al fatto che, lungi dall’autofinanziarsi, il Superbonus sta recando notevoli squilibri ai conti pubblici. Ciò significa che per valutarne gli effetti sull’economia reale occorre valutare l’intero ciclo di vita della misura.
“Come ha notato Giovanni Tria, non vi è alcuna ragione per pensare che il bonus abbia avuto un effetto virtuoso sul potenziale di crescita dell’economia. Questo significa che quando lo stimolo viene tolto, come sta avvenendo in questi mesi, si provoca un effetto recessivo che in linea di massima ha le stesse dimensioni e segno contrario rispetto allo stimolo iniziale. L’economia torna dunque al punto di partenza, posizionandosi sul sentiero di crescita che si sarebbe verificato in assenza del bonus”, analizza l’Osservatorio.
Nel 2023 gli investimenti in costruzioni hanno segnato un aumento del 3,1%, in forte. riduzione rispetto agli anni precedenti (+28 per cento nel 2021 e +12 per cento nel 2022) perché è terminato l’effetto rimbalzo post-Covid e si è ridotto l’effetto dei crediti edilizi. Per il 2024, il rapporto prevede un crollo degli investimenti in ristrutturazione e un forte calo degli investimenti totali.
L’ufficio studi dell’Ance prevede un crollo del 7,4% del totale degli investimenti in costruzioni, mentre secondo il centro studi del Cresme, la caduta sarebbe maggiore, pari al -8,5%. Sempre secondo il Cresme, “l’attività di manutenzione del patrimonio residenziale ha iniziato la sua contrazione che diverrà pesante nel 2024 e nel 2025: dai 120 miliardi a valori correnti del 2022 ai 60 del 2026; l’eccezionale spinta delle opere pubbliche [dovuta al PNRR] non è in grado di garantire la tenuta dell’intero mercato, ma solo di attenuarne la caduta”.
“Dunque, in questo momento, il bonus non sta solo pesando negativamente sui conti pubblici, ma sta anche pesando negativamente sulla crescita dell’economia”, commenta l’Osservatorio Cpi, definendo questo punto “assolutamente essenziale”. Gli esperti dicono chiaro e tondo: “Il bonus può aver avuto un effetto positivo in un momento di recessione dell’economia. Ma, valutato alla distanza, ossia dopo essere stato ritirato, il suo effetto sull’economia è, quasi per definizione, uguale a zero”.
In questo contesto, gli effetti sull’efficienza energetica rimangono, ma si tratta di effetti abbastanza contenuti, che riguardano circa il 4 per cento del patrimonio immobiliare italiano che è stato oggetto degli investimenti incentivati. In linea di massima, questi effetti rimangono, mentre quelli sul Pil si annullano. Così come rimangono gli effetti sul debito pubblico. “Quindi alla fine la domanda da porsi è se valga la pena di fare oltre 90 miliardi di debito pubblico per finanziare la ristrutturazione di un 4 per cento del patrimonio immobiliare”, conclude l’Osservatorio.