La Bce mette in guardia la politica europea dagli effetti del Green Deal. Un’economia solo verde? Non è scontato che faccia bene, può avere impatti negativi sulla produttività delle aziende. Lo studio dedicato all’evoluzione della strategia della Commissione fa discutere. Dentro sta scritto chiaramente che gli impatti climatici hanno effetti diversi sui paesi e quindi bisogna riflettere prima di fare scelte di un certo tipo. Tutto questo era noto, ma la Banca lo ribadisce con nettezza ora a poche settimane dalle elezioni del nuovo parlamento. Era noto e da quando è partito il Green Deal con una lunga serie di provvedimenti molte misure ne hanno tenuto conto. La transizione verso un’economia più rispettosa del clima vuole un approccio organizzato per mitigare i costi durevoli sulla produttività aggiunge Bce. In sostanza, in ogni paese ci devono essere valutazioni e politiche diverse a seconda degli scenari che si prospettano.
La determinazione con la quale Ursula von der Leyen ha difeso la sua idea madre è, dunque, messa in discussione dalla più potente istituzione finanziaria europea. Gli analisti della Banca hanno studiato sei economie : Germania, Francia, Spagna, Portogallo, Belgio, Italia. Nel breve-medio termine per avere sostenibilità ambientale, le imprese sopporteranno l’aumento dei prezzi dei fattori produttivi e saranno guai.
La politica al centro di tutto
È ripartita, allora, la discussione tra favorevoli e contrari alla politica verde perseguita in questi anni dalla Commissione. La presidente von der Leyen è ricandidata all’Europarlamento sebbene la cosiddetta maggioranza Ursula resterà solo nei libri di storia. Il giudizio della Banca a poche settimane dal voto somiglia molto a un sentenza su una Commissione che sta andando a casa. “La formulazione delle politiche di transizione detiene il potenziale per promuovere l’innovazione verde senza tuttavia sostituire altre iniziative stringenti con normative climatiche che potrebbero impedire l’aumento della produttività delle sostanze inquinanti delle imprese emittenti.” La transizione può erodere opportunità di lavoro, “con un probabile calo di nuove iniziative imprenditoriali all’interno dei settori colpiti”. Ma qui c’è un punto che va chiarito: l mercato del lavoro green sta crescendo, nuove professioni e mestieri stanno scuotendo domanda e offerta di lavoro in tutto il mondo. Solo l’Europa deve aver paura?
La severità della struttura guidata da Christine Lagarde obiettivamente dà sostegno alle politiche sovraniste contrarie a una trasformazione pur necessaria contro i cambiamenti climatici. L’unico appoggio che viene fuori dallo studio, sono gli effetti a lungo termine della transizione. Qui emerge un secondo punto che alla Bce non possono non conoscere. Alcuni governi hanno inquadrato in maniera differente dalla Commissione Ue gli obiettivi al 2030, 2050. Vogliamo misurare la capacità industriale di emettere meno CO2? La Bce stima che per combattere le emissioni la produttività cala di un terzo nell’arco di cinque anni. Eppure a sostenere le imprese c’è denaro pubblico. Ci sono programmi della stessa Bce che aiutano a trasformare produzioni riducendo gli impatti ambientali. Dire che la transizione verde darà risultati in tempi lunghi è come togliere il vento alla nave che solca il mare.
Gli industriali di tutta Europa hanno fatto la fila a Bruxelles per avere soldi e protezioni. Hanno presentato dossier pesantissimi indebolendo certe convinzioni hard della Commissione e sono stati ascoltati. Ursula von der Leyen si ricandida ma ha già detto che il “suo” Green Deal va aggiornato. Lei ha iniziato alleggerendo le misure per gli agricoltori in rivolta sui trattori. Gli analisti della Banca non hanno percepito un senso di realpolitik (anche dubbio) della presidente? Diciamolo a futura memoria. Se Ursula dovesse essere rieletta andrà certamente alla Bce a discutere dello studio che da candidata e presidente uscente, di sicuro non l’ha entusiasmata.