Forconi d’Oriente e d’Occidente unitevi. Non c’è solo la protesta dei trattori che in fila indiana si accingono a circondare Bruxelles tanto per imporre all’Europa una o più correzioni alla filosofia del Green Deal che, accusano gli agricoltori, grava quasi suolo su chi lavora la terra. Ad insorgere in questi giorni sono anche i contadini della “terra dei cinque fiumi”, l’enorme area a sud dell’Himalaya bagnata dal Gange, da sempre il cuore dell’economia agricola Indiana. Sono loro a brandire i forconi, insidiando la popolarità del premier Modi che pure piò contare sul sostegno del nazionalismo hindù, nonché sui successi dell’economia, nonché sul gradimento dei grandi del business, dai grandi tycoon miliardari a Satya Nadella di Microsoft, uno dei campioni dell’intelligenza artificiale emersi quasi all’improvviso nel Paese più popolato del pianeta.
Ebbene, il consenso accumulato in questi anni è messo in questi giorni a grave rischio dalla protesta degli agricoltori che chiedono al potere centrale di rispettare le promesse fatte nel 2012 quando il premier su era spinto a promettere un salto di qualità reddito delle regioni rurali indiane dove il tasso di povertà è pari al 25 per cento (contro il 14 delle aree urbane. Ora, secondo i leader della contestazione, è arrivato il momento di rispettare le promesse. Ovvero far salire il reddito degli agricoltori, a rischio fame.
Crisi agricola indiana: lotta per la sopravvivenza tra debiti e riforme
L’India ha un enorme problema: come nutrire adeguatamente 1,4 miliardi di persone (ed esportare) con un settore agricolo fortemente arretrato, di piccola scala e spesso di pura sussistenza, dalle rese esigue ed ostaggio dei cambiamenti climatici. E complicare il quadro ci pensano mercati inefficienti a controllo pubblico, la debolezza finanziaria che rende difficile la meccanizzazione ed il contrasto dei parassiti. Di qui uno stato di debolezza endemica che si riflette sui debiti dei contadini, la vera piaga sociale del subcontinente: l’indebitamento è aumentato di un terzo negli ultimi sei anni. Il numero degli agricoltori indebitati è passato da 69 milioni a 100 milioni, a conferma della crescente antieconomicità del comparto agricolo. Di qui le richieste per una cancellazione o alleggerimento sostanziale del debito già oggi fortemente sovvenzionato. Ma, al di là dei costi finanziari, le riforme si scontrano con le richieste di assistenzialismo del sistema. Nel 2021 il governo Modi è stato costretto a ritirare tre leggi che avrebbero riformato i mercati all’ingrosso, oggi in mano pubblica, consentendo l’ingresso dei privati. Gli agricoltori hanno assediato la capitale Delhi, sostenendo che l’ingresso dei privati avrebbe portato alla cancellazione degli aiuti pubblici e all’aumento della concentrazione nelle mani di poche grandi imprese. In pratica, ha commentato Mario Seminerio, “è come se i piccoli e piccolissimi farmer dovessero scegliere se essere rovinati per mano dell’aumento di concentrazione oppure per l’antieconomicità della loro dimensione”.
Insomma, l’ostilità dei contadini è il maggior vincolo al boom del modello Modi, a conferma che il mondo agricolo, a Nord come a Sud, dispone della capacità di influire sulla politica più di quel che è il suo peso in un’economia emergente, seppur assai apprezzata dai grandi gestori internazionali. Come è il caso dell’India che 2023 ha portato a termine il decimo anno consecutivo di guadagno con un progresso del +14% e che lo scorso 16 gennaio ha toccato il nuovo livello record.