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Rivolta dei trattori: “Dal Governo scelte dissennate”. “Irresponsabile dire di no a una lista anti-sovranista”: parla Bellanova (Iv)

Intervista a Teresa Bellanova, ex ministra dell’Agricoltura e dirigente di Italia Viva: “Bisogna tener conto della protesta degli agricoltori ma il Governo ha fatto errori su errori perché ha un’idea arretrata del settore e non sa innovare”, Ecco cosa farebbe un Governo competente. Alle elezioni europee occorre “una lista di scopo anti-sovranista con chi ci sta: senza infantilismi e risentimenti personali”

Rivolta dei trattori: “Dal Governo scelte dissennate”. “Irresponsabile dire di no a una lista anti-sovranista”: parla Bellanova (Iv)

Le proteste sono cominciate a gennaio in Germania e sono arrivate fino a Sanremo, inteso come festival della canzone italiana. Per ragioni comuni contro le politiche europee e ragioni nazionali. Parliamo delle manifestazioni che i giornali hanno sintetizzato in “proteste dei trattori”, cioè il rigurgito del mondo agricolo europeo contro problemi rimasti sotto il tappeto a livello nazionale (per gli italiani la questione della differenza fra il costo del prodotto alla fonte e quello che paga il consumatore, oltre all’introduzione dell’Irpef sui terreni, abolita nel 2017) e tutto quello che può essere inserito nel grande file di “transizione green”. Vale a dire: accordi per limitare le emissioni di anidride carbonica  prodotte dagli allevamenti zootecnici; accordi per aumentare l’estensione dei terreni da far riposare per favorire la riproduzione di fauna e insetti impollinatori; riduzione dell’uso dei pesticidi per arrivare a metodi alternativi. Tutte decisioni stralciate dopo la protesta, ed è stato semplice malignare: mai sia continuare un conflitto con (potenti) elettori a pochi mesi dal voto di giugno per il rinnovo del Parlamento. Così come è stata congelata la trattativa con i principali Paesi sudamericani riuniti nel Mercosur sugli accordi di libero scambio, da sempre nel mirino degli agricoltori europei. E infine la Ue ha introdotto un meccanismo che frena le importazioni di grano, mais e semi di girasoli dall’Ucraina a tasso zero che impoveriscono polacchi, ungheresi, francesi e italiani.  

Insomma, almeno per le regole che riguardano tutti, il mondo agricolo di ogni parte d’Europa sembra aver vinto su tutta la linea, pazienza se questo significherà ritardi sulla tabella di marcia di salvaguardia del futuro ecologico e quello degli stessi agricoltori. 

Ne parliamo con Teresa Bellanova, dirigente di Italia viva, la cui professionalità per quel  che riguarda il mondo agricolo, e in generale quello del lavoro, è universalmente riconosciuta, avendo ricoperto tutti i ruoli, da lavoratrice nelle campagne pugliesi a sindacalista, e poi parlamentare fino a diventare sottosegretaria al Lavoro e ministra dell’Agricoltura.       

Che idea si è fatta e che valutazione dà della rivolta dei trattori?

“Partiamo dal fatto che siamo arrivati a questa situazione perché sono stati commessi una quantità enorme di errori. E stabiliamo alcuni punti di chiarezza: è vero che nel settore agroalimentare italiano ci sono tante criticità, ma anche moltissimi punti di forza. Non dobbiamo mai dimenticare che il nostro agroalimentare è riconosciuto come il lusso in tutto il mondo, è di grandissima qualità e che esso è universalmente apprezzato. E anche le criticità, rispetto a tanti anni fa, quando il settore era veramente arretrato, non ci sono paragoni. Oggi il settore agricolo è soprattutto innovazione. E riguarda tanti giovani e tante donne. Basti pensare al grande numero di iscritti negli istituti agrari, alberghieri e nelle facoltà agrarie. Questo significa che al settore non vanno dedicati slogan, ma molta attenzione. Per esempio, sarebbe necessario non strumentalizzarne i problemi in vista delle elezioni europee. E questo riguarda anche i singoli cittadini che devono ricordare che durante la fase del Covid, l’unica normalità nella nostra vita in cui nulla era più normale, era stata la tenuta della filiera agricola, oltre ovviamente a quella della sanità. Adesso bisogna dare risposta a questo settore, per quel che riguarda il reddito, innanzitutto. Una cosa deve essere chiara però, il problema che abbiamo oggi non è il rispetto delle regole europee, la Pac, come si sa, ma il reperimento delle risorse umane da impiegare nel settore. E quindi il lavoro degli immigrati nel settore agricolo è fondamentale. Ma alcune parti più oltranziste continuano a presentarsi come il nemico del Paese e di questo settore”.    

Quindi lei ritiene che la rivolta sia giusta?

“Dico che la protesta c’è e che bisogna tenerne conto. Il governo ha fatto scelte dissennate soprattutto perché non conosce il settore. Elenchiamo i tre più gravi problemi che gli agricoltori italiani stanno affrontando negli ultimi mesi: l’aumento delle materie prime, i gravi eventi meteorologici che hanno interessato il nord e il sud del nostro paese, l’ingresso del grano, del mais e dei semi di girasole provenienti dall’ Ucraina sui nostri mercati. E invece di gestire queste difficoltà e di sostenere il settore che cosa fa il governo? Taglia l’esonero Irpef, che per il settore vale 248 milioni di euro. Delle due l’una: o non conosci i problemi o sei inadeguato, e non so quale sia il  peggio. Insomma tagliare le tasse ai piccoli agricoltori, ai giovani che rappresentano il cambio generazionale nel settore, non è un regalo, ma una necessità. Certo, ora stanno tornando indietro, senza avere il coraggio di dire però che hanno sbagliato”. 

E tuttavia se tutto ciò sembra sacrosanto, abbiamo assistito anche a una marcia indietro meno onorevole: quella della commissione Ue sulle misure necessarie alla transizione energetica. Non sono stati anche loro vittime del clima elettorale?

“È il segnale della debolezza della politica. Di una politica che invece di cercare consenso sulla visione strategica, non si mostra rigorosa sulle scelte che riguardano l’avvenire del settore, cede e si piega a quelle contingenti. E tuttavia bisogna essere chiari anche su questo: la transizione ecologica non si fa contro gli agricoltori, ma insieme con loro, sostenendoli laddove perdono reddito. Ed è dissennato lasciar intendere che la colpa di tutto ciò sia della Pac, cioè delle regole europee. Al contrario la Pac garantisce la transizione, ma ovviamente bisogna accompagnare le regole europee con misure adeguate a ciascuna esigenza. Non a caso le proteste sono differenti Paese per Paese. In Francia chiedono la diminuzione del gasolio e il divieto di importare prodotti agricoli da Paesi estranei al mercato europeo; in Germania vogliono sussidi per l’energia; in Olanda non vogliono abbattere il 30% del bestiame per diminuire le emissioni del CO2; in Belgio chiedono la compensazione per tutti i veicoli mentre in Italia chiedono l’eliminazione dell’Irpef agricola, reintrodotta dopo che era stata cancellata nel 2017, prezzi più giusti dal produttore al consumatore, e di non revisionare la Pac sull’equa redistribuzione”.

Qual è la sua opinione sulla Pac?

“La Pac, continuo a dire, è uno strumento fondamentale per garantire la sicurezza alimentare, perché hai bisogno di buone pratiche di produzione e diminuire anche le emissioni. Ma lo devi fare sostenendo gli agricoltori: i pesticidi possono essere sostituiti solo dalla scienza. Devi cambiare il parco macchine con nuove tecnologie, perché per non usare più il gasolio devi investire risorse per avere trattori elettrici e fare in modo che i piccoli agricoltori possano comprarli. La Pac non è sussidio, non è assistenza, finanzia un settore che deve produrre cibo di qualità e che deve tutelare l’ambiente. Fra l’altro è stata approvata da tutti i Paesi membri della Ue e sostenuta da un ministro europeo della stessa parte politica di Meloni e Salvini. Non si deve dimenticare, infine, che è il settore più delicato, che incide sulla vita delle famiglie, perché se non si può accedere al cibo di qualità a prezzi giusti, si può creare un’ingovernabilità nei nostri Paesi”. 

Voi di Italia Viva siete stati gli unici a denunciare la Lollo tax che ha portato all’aumento delle tasse per gli agricoltori: nella rivolta dei trattori, oltre ai dissensi sulla politica europea, quanto ha pesato la politica del governo Meloni e del ministro Lollobrigida?

“Siamo stati gli unici perché non facciamo parte della politica parolaia, leggiamo i dossier, conosciamo i problemi, non amiamo discutere dei problemi passeggiando negli studi televisivi. Il reddito degli agricoltori è un problema da tempo perché non c’è dubbio che una volta prodotta la merce si deve sapere a chi conferirla e per quale valore. Ma non accade in automatico. Bisogna gestire e monitorare gli accordi. Quando arriva sullo scaffale del supermercato il prodotto ha subito un ricarico del 300%. Questo succede perché fra il produttore e la grande distribuzione c’è una lunga filiera: l’intermediario, il grossista, il trasportatore, l’imballaggio. Che fare? Aiutare i produttori ad aggregarsi fra di loro per avere più potere contrattuale sarebbe la prima strada. Come hanno fatto i coltivatori di mele della Val di Non. Senza contare che andrebbe potenziata la direttiva europea che vieta la pratica sleale delle aste a doppio ribasso che sono caporalato in giacca e cravatta: chi fa il prezzo più basso entra negli scaffali. La rivolta dei trattori, nel nostro Paese almeno, è stata sicuramente scatenata dalle scelte del governo, in primis sull’Irpef agricola; ma anche per  il disinteresse dimostrato per affrontare i problemi della filiera”. 

Forse gli agricoltori non sono considerati elettori di questo governo? Al contrario delle regole per i tassisti, che sembrano intoccabili, non si è pensato due volte a rimettere l’Irpef sui terreni…

“Il fatto è che questo governo ha un’idea arretrata del settore agricolo. Non possiamo stare fermi, bisogna innovare. E devi portare il settore con te su questo progetto. Quindi non devi metterti a cercare le risorse attraverso le tasse, ma al contrario devi investire sulle innovazioni. Il settore agro-alimentare è sempre di più quello che deve guardare all’agricoltura di precisione, all’innovazione meccanica, che deve alleviare la fatica dell’uomo e dare redditività più alta. Alle risorse della Pac, del valore di 386,6 miliardi, un terzo del bilancio della Ue, sono stati aggiunti 8 miliardi dalla Next Generation Eu per aiutare le zone rurali a realizzare la transizione verde. All’Italia andranno 37 milioni. Ma il Pnrr non deve ridursi a decantare la quantità di risorse che prendi e quelle che destini al settore. È necessario accettare la sfida per cambiare: devi pensare alla logistica, hai bisogno di far arrivare prodotti non solo delle grandi imprese, devi affrontare il dissesto idrogeologico. Ho la sensazione che nel governo  non ci sia questa consapevolezza”. 

A questo punto della rivolta, secondo lei, un governo lungimirante che cosa dovrebbe fare per venire incontro alle istanze degli agricoltori senza sconfessare la politica di sostenibilità ambientale?

“Va bene semplificare le regole e snellire la burocrazia. Ma bisogna anche tenere presente tutto il contesto in cui lavorano gli agricoltori. Prendiamo gli eventi climatici: vuol dire capire cosa è accaduto e agire di conseguenza. Se un giorno il caldo ammazza le colture e il giorno dopo arriva un’inondazione, non ci si può limitare ad affrontare l’emergenza. E poi bisogna continuare con l’etichettatura: i nostri prodotti vanno tutelati, ma non nella maniera in cui pensano al governo, con la chiusura dei confini, ma al contrario proprio allargandoli. Lo stiamo vedendo in questi giorni in cui si parla delle merci che arrivano da paesi fuori della Ue, nello specifico del Mercosur, dai paesi dell’America latina. Si parla di dazi, di chiusura dei confini, di barriere. La nostra agricoltura ha bisogno di grande apertura, proprio perché è considerata lusso ha bisogno di mercati, di export. Oggi esso vale 60 miliardi annui, ma bisogna aumentare. Il consumatore in Italia e nel mondo deve sapere dove e come è stata prodotta quella merce. Il made in Italy costa di più, lo sappiamo, rispetto a un prodotto proveniente da un Paese senza regole. Ma noi possiamo sostenerlo. E queste scelte attengono solo a noi.  Cioè a un governo competente e responsabile”.

Perché c’è ancora tanto lavoro nero nelle campagne?

“Questo Paese ha la legge più innovativa d’Europa, quella contro il caporalato (che porta fra l’altro il nome di Bellanova ndr.), ma per contrastare il lavoro nero deve essere chiaro che bisogna svuotare i ghetti. Se continuiamo a tenere gli immigrati rinchiusi in specie di lager, nella disponibilità non di imprenditori, ma di schiavisti che pensano di utilizzare queste persone per qualche euro e farli vivere nelle condizioni che sappiamo, non sapremo fare nessuna battaglia contro il lavoro nero e contro il caporalato. E chi si ostina a identificare gli immigrati come nemici è il primo responsabile della presenza del lavoro nero”.  

In questi mesi è emersa con evidenza la cinghia di trasmissione tra la potentissima Coldiretti e il ministro Lollobrigida: che voto dà alla politica di Prandini?

“Il voto ai propri dirigenti lo danno gli associati, però credo che se arriviamo a slogan contro l’Europa, contro le politiche agricole dell’Europa evidentemente non si può fare finta di niente. Sono sempre stata convinta, anche quando ho fatto un altro mestiere, che le cinghie di trasmissione, annullando l’autonomia dei singoli soggetti, fanno male a tutti i protagonisti. Le responsabilità vanno esercitate, la rappresentanza deve essere autonoma perché il tutto e le parti trovino equilibrio. Prendiamo la storia delle tassa sui terreni. Se ci fosse stata autonomia non si sarebbe fatto l’errore che si è fatto. La buona politica ascolta tutti e poi decide. I confronti devono essere chiari e trasparenti”. 

Infine una domanda tutta politica: nei giorni scorsi Emma Bonino ha lanciato la proposta di una lista di scopo anti sovranista in vista delle prossime elezioni europee e aperta a Iv. Azione, +Europa con capacità di dialogo col Pd. Boschi ha apprezzato, Calenda l’ha bocciata. Lei che cosa ne pensa e, se Calenda si tirasse indietro, è possibile un accordo elettorale tra Bonino e Renzi?

“Penso che sia da irresponsabili non impegnarsi per una lista di scopo che affronti la sfida europea. Hai una destra aggressiva, un sovranismo che rischia di mettere in discussione le fondamenta d’Europa, non puoi affrontare questa sfida con infantilismo e risentimento personale. Io credo che chi si sottrae alla costruzione di una lista di scopo si assume la responsabilità di agevolare il sovranismo. Da riformista pragmatica quale io sono spero che prevalga la politica e che si costruisca una lista di scopo. Con chi ci sta”.  

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