L’attenzione del commercio internazionale in questi giorni è concentrata sugli attacchi dei terroristi Houthi alle navi che transitano nel Mar Rosso.
La diplomazia politica e militare sembra aver scoperto all’improvviso l’importanza dei traffici marittimi che, al contrario, non sono mai venuti meno alla funzione di grande regolatore dell’economia mondiale. Senza le navi che trasportano container da una parte all’altra del mondo l’economia globalizzata non ci sarebbe. Il mare è tutto o quasi, e i nuovi pirati yemeniti non sono sciocchi.
Il Mediterraneo è ormai nel perimetro di stretta sorveglianza militare delle potenze occudentali per tutto ciò che arriva negli stabilimenti o dentro casa attraverso il canale di Suez. I prossimi giorni si annunciano molto cupi in relazione a quello che sta succedendo a Gaza.
In questo straordinario risiko da milioni di dollari e di merci da far arrivare a destinazione senza che nessun paese, industria o compagnia di assicurazione ci rimetta, troviamo il porto italiano di Gioia Tauro.
È uno scalo strategico dove la compagnia MSC è iperattiva da anni e che ieri ha raggiunto il record di 3 milioni e 500mila container movimentati. Un dato che conferma la forza degli armatori che sostanzialmente gestiscono i porti mercantili. Lo ha capito anche l’Europa che gli chiede i soldi per le scie di fumo delle navi.
Il porto calabrese ha, infatti, un conto aperto con l’Ue per questioni ambientali. Prima o poi dovrà avere una soluzione per rispettare le regole comunitarie e dare un senso ai soldi che si spendono.
I porti italiani sono tutti interessati a crescere e misurarsi con le decisioni internazionali e chi più, chi meno ha scelto la causa green. Non deve essere uno slogan, ma realtà applicata al business.
Scali sostenibili: chi paga?
Dal punto di vista infrastrutturale Gioia Tauro è grande ma non ben attrezzato per ricevere portacontainer di grandissime dimensioni. Per fortuna di chi ci lavora, del Mediterraneo e dell’economia italiana il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici giorni fa ha autorizzato lavori di approfondimento marino lungo le banchine. Un’autorizzazione che dà fiducia, se si pensa che solo due mesi fa tutti temevano la completa chiusura dello scalo. Una specie di Ilva 2 per aspetti ambientali. È accaduto che l’Europa chiede l’adeguamento dei limiti delle emissioni atmosferiche delle navi e di tutto il porto a partire dal 2030. A pagare devono essere gli armatori che hanno subito contestato la direttiva ed ancora mantengono il punto con una catena di solidarietà dai sindacati fino al Ministero dell’Ambiente
Per ora il pericolo è scampato, ma ritornerà, soprattutto quando qui arriveranno navi di stazza maggiore e di conseguenza molto impattanti con l’ambiente.
Gioia Tauro si prepara a fare da catalizzatore delle merci asiatiche, avrà fondali fino a 18 metri di profondità e banchine lunghe da 450 a oltre 700 metri. Un transhipment più competitivo per diventare la porta Sud dell’Europa? Va bene, è una sfida economica ed imprenditoriale italiana. Tuttavia l’Europa è una sola, la stessa che non vuole che i porti continuino ad inquinare. È il caso di predisporsi per sagge conclusioni.