Prosegue il braccio di ferro sulle concessioni balneari tra Italia e Bruxelles. La Commissione europea ha deciso di compiere un passo avanti nella procedura d’infrazione lanciata nel 2020, inviando un parere motivato a Roma per il mancato adeguamento alla direttiva Bolkenstein. L’Europa da anni chiede all’Italia di rimettere mano al mercato e garantire libera concorrenza con gare d’assegnazione trasparenti e imparziali; eppure, Roma non si è mai adeguata, anzi ha sempre cercato di prendere tempo. Adesso però non si può più nascondere la testa sotto la sabbia. Dopo la lettera d’infrazione sulle concessioni balneari, cosa succede al nostro Paese? Da procedure, abbiamo due mesi per convincere Bruxelles a non procedere oltre altrimenti si rischia di arrivare fino alla Corte di Giustizia, e in caso di condanna, pagare una maximulta.
Le piroette dell’Italia sulle concessioni balneari
Facciamo un passo indietro. Nel dicembre 2006 il Parlamento europeo ha approvato la direttiva Bolkenstein sulla libera circolazione dei servizi. La disciplina – recepita dal nostro Paese solo nel 2010 – si applica anche alle concessioni balneari, per le quali è prevista una “procedura di selezione pubblica imparziale e trasparente per impedirne il rinnovo automatico. Ma i governi hanno sempre posticipato l’applicazione così le licenze per l’occupazione del demanio marittimo italiano si sono tramandate da una generazione all’altra.
Il primo governo Conte era arrivato addirittura a prorogare le concessioni fino al 31 dicembre 2033, dopo che Roma (nel 2016) era stata già condannata dalla Corte di giustizia Ue per il mancato rispetto della direttiva europea. Ciò ha fatto aprire una nuova procedura di infrazione contro il Belpaese nel 2020. Per tentare di mettere un cerotto su una ferita immensa, nel 2021 il Consiglio di Stato aveva fissato al 31 dicembre 2023 il termine per mettere a bando le concessioni demaniali marittime. Scadenza fissata anche dal governo Draghi ma con una scappatoia: in caso di pendenza di un contenzioso o difficoltà nell’espletamento della gara il termine poteva slittare al 31 dicembre 2024. Ovviamente il governo Meloni ha procrastinato ancora una volta la scadenza, a fine dicembre 2024 per tutti, con l’ultimo decreto Milleproroghe, a dispetto della nuova pronuncia di illegittimità espressa ad aprile scorso dalla Corte di Giustizia Ue nei confronti del comune tarantino di Ginosa Marina. Il provvedimento è finito anche nel mirino del Quirinale: lo scorso 24 febbraio il presidente della Repubblica Sergio Mattarella lo ha promulgato esprimendo non poche riserve. “È evidente che i profili di incompatibilità con il diritto europeo e con decisioni giurisdizionali definitive accrescono l’incertezza del quadro normativo e rendono indispensabili, a breve, ulteriori iniziative di governo e Parlamento”, aveva sottolineato.
Procedura d’infrazione sulle concessioni balneari: cosa succede ora?
Fatta la legge trovato l’inganno. L’obiettivo del governo è quello di provare ad aggirare la Bolkenstein dimostrando che non esiste “scarsità” del bene da assegnare. Infatti, l’articolo 12 della direttiva chiarisce che, laddove “il numero delle concessioni sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali, il rilascio deve avvenire tramite gara, per una durata limitata, senza rinnovo automatico e senza un vantaggio per il precedente concessionario”. Quindi, se le risorse in questione non sono scarse, la disciplina di riferimento diventa quella dell’articolo 11, che prevede una durata illimitata delle concessioni.
Roma, nel frattempo, ha mappato le spiagge italiane. Ed è emerso che “il 33% circa delle aree demaniali delle coste, un terzo del totale, è in concessione, mentre il 67% è libero”. La spiaggia libera non è una risorsa scarsa, per cui, il problema delle concessioni non esisterebbe. La linea che il governo di centrodestra vorrebbe adottare aprirebbe sì ai bandi di gara ma solo per le spiagge libere, senza toccare quelle attualmente occupate. Una strada che la Commissione non sembra apprezzare.
Nella lettera di Bruxelles, infatti, si fa riferimento proprio allo studio del tavolo tecnico, e spiega che la scarsità della risorsa non va calcolata solo su scala nazionale, ma anche su base locale, dato che sono i Comuni a rilasciare le concessioni. Se si guarda a livello comunale, infatti, ci sono località balneari dove la percentuale degli stabilimenti assegnata supera il 90% delle spiagge presenti.
Cosa farà il governo? Dopo i tassisti, continuerà a coccolare anche la lobby del mare facendoci pagare ancora una maxi multa?
La lobby dei balneari: affitti irrisori e tasse evase
Nell’attesa, i gestori continuano a pagare cifre ridicole per i canoni annuali di affitto allo Stato a fronte di un giro d’affari da miliardi di euro. E oltre a essere bassi, i canoni vengono spesso non pagati. Ad esempio, uno stabilimento come il Twiga, uno dei locali più esclusivi di Forte dei Marmi, come ammesso dallo Flavio Briatore che allora ne era socio insieme alla ministra Santanchè, pagava solo poche migliaia di euro a fronte di un fatturato, nel 2022, di 10 milioni di euro.
La questione del rispetto della direttiva è dunque molto più di un mero problema di prevalenza delle norme europee su quelle nazionali, ma una necessità per riaprire un mercato fermo, preda di favoritismi, che sottrae una significativa perdita di entrate allo Stato e dunque ai cittadini.