Qual’è il futuro di Gaza dopo Hamas? Il piano Usa è quello di affidare la Striscia all’Autorità palestinese, quella che governa la Cisgiordania. “Ad un certo punto, ciò che avrebbe più senso sarebbe che un’Autorità Nazionale Palestinese efficace e rivitalizzata avesse la governo e, in ultima analisi, la responsabilità della sicurezza per Gaza”, aveva dichiarato nei giorni scorsi il segretario di Stato americano Antony Blinken in un’audizione al Congresso. La creazione di uno Stato palestinese faceva già parte dei colloqui con l’Arabia Saudita per la normalizzazione dei rapporti con Israele. Questo però non basta a convincere gli alleati arabi, che hanno pubblicamente contestato l’opposizione degli Usa al cessate il fuoco immediato, ma anche gli israeliani che dopo gli atroci attacchi del 7 ottobre commessi da Hamas sono sempre meno a favore di due Stati.
La missione di Blinken in Medio Oriente
La Casa Bianca – attraverso il capo della diplomazia Usa – cammina sul filo del rasoio nel tentativo di gestire il conflitto in Medio Oriente. Blinken dopo Tel Aviv è andato a parlare di questo con i rappresentanti di Giordania, Egitto, Qatar, Arabia Saudita, Libano e Autorità palestinese. Alla fine dei colloqui, però, le distanze sono emerse durante la conferenza stampa. I ministri degli Esteri di Egitto e Giordania, Sameh Shoukry e Ayman Safadi, hanno chiesto il cessate il fuoco immediato: “Ogni missile che cade allontana la pace e produce un’altra generazione di odio”. Il segretario Usa ha risposto che “un cessate il fuoco ora aiuterebbe solo Hamas a riorganizzarsi e preparare altri 7 ottobre” e ha lanciato la formula delle “pause umanitarie”, tregue limitate nel tempo, finalizzate al passaggio e alla distribuzione di aiuti alla popolazione civile. Al termine della conferenza il segretario americano è partito per la Turchia, dopo che il presidente Erdogan ha ritirato l’ambasciatore e ha dichiarato Israele “criminale di guerra davanti al mondo”. E con queste premesse è sempre più difficile pensare al dopo.
Guerra in Medio Oriente: esiste una soluzione?
Aldilà della controffensiva di Israele, il vero tema è che cosa succederà a Gaza dopo lo smantellamento di Hamas. La strategia americana prevede innanzitutto il ritiro delle forze israeliane dalla Striscia, poi l’insediamento di un’amministrazione temporanea della lega araba o di altre forze internazionali e, infine, la restituzione del potere a Gaza all’Autorità Nazionale Palestinese (Anp), l’organismo che dal 1993 governa i Territori Autonomi in Cisgiordania e che li controllava anche a Gaza fino al 2006, quando fu espulso da Hamas. Dopodiché potrebbero riprendere i negoziati fra Stato ebraico e Anp per creare uno Stato palestinese. Ma è una strada percorribile?
L’idea di affidare Gaza a una forza internazionale gestita dai paesi arabi dopo che Israele ha effettuato massicci bombardamenti è un po’ zoppicante. Anche se Hamas fosse messo fuori gioco, l’offensiva di Israele rischia di fomentare nuovo odio, preparando una nuova generazione di terroristi e isolando lo Stato ebraico dai leader arabi più moderati. Inoltre, affidare la Striscia all’Autorità palestinese – vista come una forza timida, spenta e corrotta – sembra una soluzione piuttosto debole. O almeno non può essere quella presieduta da Mahmoud Abbas, noto ai più come Abu Mazen, che verrebbe vista come un agente di Israele. Per questo, esperti e leader occidentali premono su Israele affinché faccia qualcosa per ridare legittimità e prestigio all’Autorità Nazionale Palestinese. Anche se Israele lo facesse potrebbe essere troppo tardi. E a subirne le conseguenze sono i civili palestinesi.